“Ogni giorno si impara qualcosa in più su questo bellissimo Paese e sul suo popolo” - è uno dei primi commenti dal Libano del generale Rodolfo Sganga, Aquila 1 della brigata Folgore, tramite il profilo facebook.
Dal 12 ottobre la brigata Folgore è nel Paese dei Cedri con la responsabilità del settore ovest della missione Unifil a Shama, per l’operazione Leonte.
Parliamo di gente altamente specializzata, per cui non ci si improvvisa e le partenze dei contingenti sono preparate mesi prima, senza lasciare nulla al caso, ma sapendo che ci si porterà dietro un bagaglio di esperienza e professionalità, oltre che la propria storia di Corpo, di appartenenza.
Il comandante Sganga questo concetto lo ha ribadito spesso, anche lo scorso 6 ottobre in occasione della festa della Folgore e del ricordo delle battaglie di El Alamein, in anticipo sui tempi proprio per l’imminente partenza della brigata per il Libano.
“Il 23 ottobre ricorre il 75esimo anniversario della battaglia di El Alamein, data sacra per i paracadutisti”, ha spiegato Aquila 1. “ È proprio la sacralità dell’evento che mi ha spinto a decidere di festeggiarla oggi, in anticipo sulla data prevista e prima che la Folgore si schieri in diversi teatri operativi. L’alternativa sarebbe stata quella di non commemorarla, perché il 23 ottobre saremo già in Libano. Invece noi vogliamo e dobbiamo ricordare e onorare chi non è più tra noi, chi è caduto per un ideale, chi ha offerto alla Patria e alla propria unità quanto di più caro e prezioso possedeva per assolvere al compito assegnato. Noi della Folgore non smetteremo mai di guardare i nostri caduti come fonte di ispirazione per fare il nostro dovere”. Ispirazione e mission nei vari teatri operativi, chiariti nel gremito piazzale El Alamein della caserma Gamerra di Pisa, dove è il CAPAR e quindi la casa madre dei paracadutisti, e anche in conferenza stampa, presente il comandante della divisione Friuli, generale Carlo Lamanna.
“Mi piace evidenziare che la Folgore si è recentemente distinta in Libia quale unica componente militare schierata in quel teatro”, ha ricordato Sganga.
“Oggi la brigata paracadutisti Folgore è in procinto di essere nuovamente impiegata in operazioni. Ci attende il Libano ma anche il Kosovo e con assetti più ridotti la Somalia, l’Iraq, Mali, Gibuti. Il primo contingente a partire è quello destinato proprio al Libano, un teatro operativo molto particolare, in cui la capacità di limitare l’uso della forza è molto più importante che saperla impiegare in maniera indiscriminata.
In un ambiente operativo caratterizzato da una situazione delicatissima, da un equilibrio di forze precarie, al paracadutista sarà chiesto di prendere decisioni in maniera autonoma, anticipando gli effetti che queste decisioni potranno produrre. Ogni uomo in pattuglia sarà chiamato a relazionarsi con la popolazione locale appartenente a diciotto confessioni religiose differenti, stabilendo un contatto umano che vada oltre la barriera linguistica. Ad ognuno del contingente sarà chiesto di applicare, con la massima flessibilità, le competenze militari finora acquisite nel supportare le Forze Armate libanesi nel ripristino del controllo del proprio territorio e nell’acquisizione di nuove capacità.
Al paracadutista della Folgore che si appresta a schierarsi in teatro operativo sarà chiesto di dimostrare spregiudicatezza ed iniziativa nella presa di decisioni, coraggio nel imitare l’uso della forza per evitare danni collaterali o effetti indesiderati, senso del dovere e dell’onore per essere sempre da esempio con una condotta impeccabile. E con l’orgoglio di comandante, posso dirvi che i miei paracadutisti sono pronti per affrontare la sfida, qualunque sia la missione da assolvere”.
La brigata Folgore torna in Libano dopo dieci anni e in uno dei momenti più delicati, in cui la tensione tra Israele ed Hezbollah è massima, anche in relazione alla Siria. Sono ambedue indiscutibili vincitori e rivali: Hezbollah, che ha vinto sul terreno appoggiando la liberazione della Siria da quei terroristi che in Italia qualcuno chiamava “ribelli democratici” e Israele che, di fatto, ha neutralizzato per decenni la Siria come minaccia.
Va da sé che quella della brigata Folgore, vista la fluidità della situazione libanese, potrebbe essere una missione difficile, ma di questo il comandante Sganga è pienamente consapevole. “La missione è, probabilmente, la più difficile degli ultimi anni ma a noi le difficoltà non spaventano minimamente. Noi approcciamo questa missione in aderenza a quanto previsto dal mandato delle Nazioni Unite, quindi non ci discosteremo da lì e non vediamo l’ora di poterci relazionare con la popolazione locale e con le Forze Armate libanesi per poterle supportare, così come previsto dal mandato”.
Le LAF (Lebanese Armed Forces) sono ormai ampiamente riconosciute come istituzione nazionale e in tutto il Libano. Addestrarle, soprattutto nel sud del Paese, fa parte della risoluzione 1.701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, insieme alle attività di Cimic e al monitoraggio costante della Blue Line.
“Noi andiamo con uno dei compiti assegnati al contingente che è quello di supportare il rischieramento delle Laf nell’area sud del Libano e, evidentemente, addestrarle”, ha aggiunto Sganga. “Quindi, abbiamo tutte le professionalità e tutte le procedure già in atto per poterlo fare in maniera efficace. E noi non vediamo l’ora, perché l’addestramento congiunto ha una relazione biunivoca: non siamo solo noi ad insegnare ma siamo noi che apprendiamo da loro, perché parliamo di relazionarci con esponenti di una popolazione estremamente diversificata per cui, quella di confrontarci in maniera efficiente con le LAF, è una sfida per ognuno dei miei uomini e per me”.
Ricordando El Alamein
Tra la Folgore di oggi e quella di ieri c’è un filo di storia ed eroismo senza soluzione di continuità, un prima e un dopo, un anno zero chiamato El Alamein, il battesimo ufficiale del paracadutismo militare italiano dopo il “debutto” in Libia del 1938. Per questo, anche se in anticipo sul 23 ottobre, non si poteva non festeggiare. La memoria è importante. El Alamein ha rappresentato un momento doloroso e insieme glorioso per i soldati italiani, che ha visto un manipolo di uomini battersi per l’amor patrio e per senso dell’onore oltre che del dovere, gente con la schiena dritta che ha lottato fino alla fine pur sapendo di aver perso la battaglia prima di iniziare a combattere, dotati di equipaggiamenti ridicoli, armi desuete, senza rifornimenti, continuando per mesi a bere acqua che sapeva di benzina, praticamente abbandonati dal governo centrale. Fu il declino delle armate dell’Asse in nord Africa, ma in quella parte d’Egitto dove chi c’è stato sa quanto il deserto sia ostile, quanto in zone come la depressione del Qattara il caldo ti chiuda la gola, in quell’ottobre del 1942 è nata la leggenda. È storia, ma è anche il mito dei paracadutisti e del grido Folgore.
E 75 anni, tanti ne sono scorsi da quel 1942, sono un numero importante. Peccato che l’evento sia passato pressoché inosservato dalle istituzioni ufficiali e governative. Quando nel piazzale della Gamerra, poco prima dell’inizio della cerimonia ufficiale, entra il leone della Folgore Santo Pelliccia, reduce proprio da El Alamein, il boato che si alza dalle gradinate è da brivido. Non è folklore, non è fanatismo, nemmeno nostalgia, è piuttosto ammirazione e riconoscenza da parte di chi abbia ancora un minimo di orgoglio patrio. E vedere tanti giovani assistere all’evento, applaudire, ascoltare, è quantomeno sinonimo di speranza.
Staffetta degli Ideali
Il comandante della brigata Folgore Rodolfo Sganga ha un ottimo rapporto con l’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia, oggipresieduta dal generale Marco Bertolini e ha ringraziato gli iscritti perché “sempre numerosi partecipano alla nostra commemorazione annuale: grazie per essere qui, a custodia delle nostre tradizioni e quali messaggeri dei valori della nostra meravigliosa specialità. Una specialità che noi serviamo oggi e che voi avete servito ieri, una specialità unica, composta da uomini e donne decisamente fuori dal comune”.
Tra i vari modi in cui si custodisce la memoria, rendendola viva ogni volta, c’è la Staffetta degli Ideali che, istituita anni fa dall’allora presidente nazionale dell’ANPdI, generale Francesco Merlino, è ormai una tradizione consolidata. Tre le fiaccole che partono da Viterbo, da Tarquinia e da Tradate (Varese), per poi ricongiungersi a Pisa e accendere il fuoco nel braciere davanti al sacrario degli eroi. Perché di ricongiungimento si tratta, con i pensieri e gli ideali di quei paracadutisti che hanno sacrificato la vita per la Patria. L’appuntamento è stato nel pomeriggio del 4 ottobre, davanti al piccolo Sacrario del cimitero di Tarquinia, la prima scuola di paracadutismo militare in Italia, la madre di ogni ala. Qui è arrivata la fiaccola partita da Viterbo, dal monumento voluto da Paolo Caccia Dominioni. A fare gli onori di casa il presidente della sezione ANPd’I di Tarquinia Giulio Ciurluini e il vice sindaco Manuel Catini. Molti i paracadutisti presenti, la sezione di Roma in gran numero compreso il presidente AdrianoTocchi e il paracadutista reduce della Repubblica sociale Citterich.
Una cerimonia breve, commovente quando nel Sacrario dei paracadutisti di ieri e di oggi è stata aggiunta la foto di Giuseppe Pitruzzello, caporal maggiore ammalatosi in seguito a una missione nel 2003 in Bosnia, che ha lottato a lungo prima di cedere e a cui lo Stato ha riconosciuto le cause di servizio.
Da questo luogo, ideale e fisico punto di inizio e di confluenza, è partito il primo tedoforo con la fiaccola per venti chilometri, Tommaso Barrasso. Militare, originario della provincia di Avellino, fino a un mese fa in servizio al 185° artiglieria di Bracciano, ora a Firenze all’Istituto geografico militare. Paracadutista da 20 anni, istruttore, iscritto alla sezione ANPd’I di Tarquinia, “El Alamein è la nostra storia“, dice appena terminato il percorso, ancora emozionato e con il cuore a mille. “Mentre correvo pensavo alla finalità, perché questa è una giornata unica e sono tre giorni dedicati alla memoria dei fatti del lontano ’42. È veramente emozionante: quando porti una fiaccola, porti anche un ideale, che è lo stesso dei nostri antenati. E qualcuno è ancora vivo, quindi la memoria è ancora diretta e trasmissibile … Per me, questo è il luogo più importante, qui è nato il paracadutismo, questo luogo ne è la madre“. La staffetta, che si è snodata lungo l’Aurelia passando anche da Livorno davanti la caserma Vannucci, ha visto la partecipazione di decine di tedofori dalla sezione ANPd’I di Roma compresi istruttori e allievi e di tre paracadutisti da Barletta. Una bella dimostrazione che si può essere fratelli senza avere lo stesso sangue se si condivide un ideale, che quando è vero è eterno come quel fuoco acceso nel braciere sul piazzale della Gamerra il giorno dopo, all’arrivo a Pisa nel tardo pomeriggio, che è stato un vero tornare a casa.
Cosa voglia dire essere paracadutisti, il senso dii appartenenza così forte, lo ha spiegato il comandante Sganga nel suo discorso. “Noi paracadutisti, siamo una razza particolare: in servizio o in congedo, convenzionali o speciali, di Fanteria o di altre Armi, dell’Esercito o di altre Forze Armate, inquadrati in brigate diverse, anche se portiamo fregi differenti sui nostri baschi amaranto, nonostante vestiamo mostrine diverse sulle nostre uniformi, restiamo uniti da un cordone ombelicale comune, inconfutabilmente identico, un dna unico dal 1938, anno di nascita del paracadutismo militare nazionale, che identifica il paracadutista come combattente spregiudicato, in possesso di spiccata iniziativa, coraggioso e con grande senso del dovere. La spregiudicatezza è la ferrea volontà di assolvere a tutti i costi i compiti assegnati. L’iniziativa, deriva dalla consapevolezza di essere parte di una squadra in cui ogni componente sa benissimo che il successo del gruppo dipende da ognuno di loro. Il coraggio, dell’essere uomini e donne in armi, chiamati ad affrontare l’ignoto di situazioni di fronte alle quali tutti gli altri si fermerebbero. Il senso del dovere, dalla consapevolezza di essere cittadini a cui è chiesto qualcosa in più rispetto agli altri, perché abbiamo il privilegio di servire le Istituzioni. Siamo professionisti profondamente soddisfatti quando diamo il cento per cento, e profondamente insoddisfatti quando diamo il 99 per cento. Siamo soldati, che amano vivere con l’inquietudine generata dall’ignoto che si trova oltre la porta del velivolo all’atto di lanciarsi nel vuoto”.
I paracadutisti li ami o li odi, non c’è una via di mezzo. Ma soprattutto, non puoi non guardarli con occhi disincantati e non capire che dietro quel basco amaranto ci sono vite normali, ci sono speranze, sogni, delusioni e gioie. E naturalmente ci sono soldati, con dietro un addestramento ferreo, una professionalità altissima e un modo di porsi verso la comunità, che sia la nostra in caso di aiuto nelle calamità o all’estero dovunque serva, capaci di coniugare dovere e cuore. Riescono a tirarti fuori dallo squallore in cui politica e media vanno a braccetto un giorno sì e l’altro pure, come se regalassero anche a te un paio di ali per volare alto. E anche per questo ti fanno sentire onorata di condividerne la madre Patria.