Quale sia il confine tra iniziativa ed insubordinazione è spesso difficile da comprendere, soprattutto durante le concitate fasi di una offensiva militare; ed è all’interno di questo “solco amletico” che si dipana il ragionamento dedicato ad uno dei più grandi tattici della storia militare, Il tenente Erwinn Rommel.
A quasi cento anni dalle mirabolanti marce che dal Kolovrat lo condussero a Longarone, mettendo in scacco decine di reparti italiani, resta viva una domanda: quanti Rommel avrebbe potuto sostenere la XIV Armata di von Below?
Una domanda ed una premessa per scandagliare uno degli avvenimenti bellici più controversi ed esaltanti della storia militare, la dura lotta tra le valli friulane del giovane tenente Erwin Rommel alla testa di uno sparuto gruppo di jager dell’esercito tedesco alla conquista della gloria immortale.
Innovazione, rapidità, visione tattica, capacità di ripianificazione, spregiudicatezza, ambizione.
In questi sei temi, che accompagnarono l’impresa della futura Volpe del Deserto, si cercherà di scandagliare l’uomo ed il soldato, al fine di offrire una risposta ragionevole alle premesse di questa riflessione.
Rommel l’innovatore, così potrebbe intitolarsi una biografia celebrativa dell’ufficiale tedesco ed in effetti, ad una superficiale lettura dei fatti, con un conflitto bloccato nelle trincee, la celerità di movimento e la profondità di penetrazione, in particolare nel dispositivo italiano del 1917, da parte dei tedeschi, lascerebbe presumere una qualche novità, almeno dal punto di vista tattico, in realtà nulla era cambiato sotto il sole della 1^ Guerra Mondiale, certamente il tenente Erwin, si mostrò dotato di un acume tattico senza pari, nonché di un significativo spirito di osservazione, e proprio attraverso tale spirito che ebbe modo di imparare come i francesi cercassero, lungo il pantano del fronte occidentale, un modo per spezzare la staticità del conflitto attraverso manovre di avvolgimento localizzato. Quanto appreso in Francia Rommel ebbe la possibilità di riproporlo sul fronte italiano, peraltro aiutato da una significativa compartimentazione del territorio, oltre che da una disposizione operativa delle truppe italiane strutturata per sostenere attività militari offensive e non difensive.
In un ambiente caratterizzato dalla rapidità di intervento, con la XIV Armata costituita in tempi decisamente brevi, schierata sul fronte italo-austriaco attraverso sforzi logistici mirabolanti per l’epoca ed in un clima di attesa per il possibile cambiamento del corso del conflitto il terreno mentale e psicologico su cui crebbe il giovane ufficiale Rommel appare abbastanza fertile affinché la sua personalità, certo non comune potesse emergere, dare dei frutti positivi e per certi versi avvelenati.
Sulla prima linea di difesa italiana, nata come linea di partenza per la XII Battaglia dell’Isonzo è ancora oggi ambizioso ritenere di poter condurre uno sfondamento, soprattutto se si osserva il fronte dal punto di vista delle forze austro-tedesche, in fondo Rommel stesso doveva avere parecchi dubbi sull’effettivo posizionamento delle forze avversarie, nonché sulle capacità di unità che avevano alle proprie spalle il territorio nazionale, con tutti i vantaggi che ciò può comportare dal punto di vista dei rifornimenti ed anche psicologico.
Tenuto conto delle premesse e delle azioni condotte, con particolare riguardo all’aggiramento delle artiglierie italiane, alla presa del Matajur, passando per il combattimento a passo Cimolai e quindi alla cattura di parte della 1^ Divisione italiana a Longarone sembra proprio che la visione tattica di Rommel sia stata benedetta dal dio Marte in persona.
Avrebbe dovuto coprire il fianco destro della 114^ Divisione nella valle dell’Isonzo ed invece si ritrovò a fare su e giù per le creste del Kolovrat sulla sinistra della propria “missione” probabilmente alla ricerca della Brigata Salerno o di quella Croce Pour le Merit, che gli verrà però negata sul Matajur e successivamente concessa per i fatti di Longarone, quando, ancora una volta, al di fuori della propria unità di appartenenza, ma unitosi a reparti austroungarici, ne costituì l’avanguardia e con un nuovo mirabolante saliscendi di montagna colse di sorpresa sul Piave la 1^ Divisione italiana in ripiegamento. Ripianificatore di se stesso in base alle opportunità offerte dal campo di battaglia, oggi si potrebbe parlerebbe di Mission Command? A quei tempi qualcuno azzardò all’idea di insubordinazione.
Spregiudicato ed ambizioso il giovane tenente Rommel teneva al successo della Germania e lo dimostrò certamente in Francia e Romania, ma in Italia c’è da giurarci, la questione era diversa, per Rommel, come per tutte le forze tedesche che costituivano la XIV Armata; di fatto erano lì per dare una mano ad un alleato troppo poco risoluto e lento, forse di malavoglia, certamente con obiettivi strategici limitati, in un quadro operativo tale, un carattere come quello di Rommel non avrebbe potuto fare altro che ricercare la gloria personale, d’altronde aveva ben poco da perdere, era estraneo alle elites militari prussiane, un parvenue che solo con i propri meriti e la propria ambizione appunto, sarebbe stato in grado di rompere i rigidi schemi gerarchici della Germania guglielmina.
Nel breve racconto fatto circa l’azione del tenente Rommel, in merito ai sei temi connessi alla sua abilità militare ed alla sua personalità, vi è la risposta alla domanda iniziale: di Rommel la XIV Armata ne avrebbe potuto sopportare al massimo uno e non solo perché la sua iniziativa era molto simile all’insubordinazione, ma perché la sua ambizione personale, durante i fatti di Caporetto, giganteggiò sull’interesse generale, inoltre, a ben guardare la situazione operativa, egli fece di tutto per evitare il confronto con l’avversario e di fatto non lo impegnò come avrebbe dovuto, così facendo affidò il suo continuo macinare terreno in avanguardia più alla fortuna ed all’inadeguatezze dei difensori che non ad un vero e proprio concetto d’azione.
Fu certamente audace e degna di nota l’attività di Rommel, ma resta il dubbio che la cronaca dei fatti, elaborata anni dopo dallo stesso protagonista, avesse molto di evocativo ed auto celebrativo, in più non va dimenticato, in questa narrazione, il ruolo storico giocato dagli anglo-americani, un ruolo legato alla seconda guerra mondiale ed alla necessità di demonizzare, ma nello stesso tempo celebrare la forza dell’avversario, in un approccio psicologico tale per cui quanto più forte è il mio nemico tanto più abile, determinato e bravo sarò stato io che l’ho sconfitto, insomma il generale Rommel per essere quel gran nemico che fu sarebbe dovuto essere un altrettanto eccezionale subalterno.
Del giovane Rommel è stato scritto molto, ma ancora non è stata fatta una serena disamina di quanto accaduto a Caporetto, avvenimenti da egli stesso raccontati nelle sue memorie “fanterie all’attacco”, ma che molto raramente hanno trovato posto in un confronto scientifico serrato e sereno.
Con questa riflessione si vuole fornire uno spunto affinché si possa generare, a quasi cento anni da quegli avvenimenti, un sereno e franco dibattito, scevro dai commenti di maniera e dalle celebrazioni eroiche tipiche di vincitori e vinti.