Abbiamo già letto e scritto su questo giornale che i conflitti di oggi sono a-lineari, ibridi, giocati molto spesso con l’involontaria complicità della pubblica opinione, al tempo stesso strumento e destinatario di azioni mirate a far prevalere “particolari” interessi economici e geostategici.
Tale premessa torna utile per inquadrare la recente attenzione che alcuni media internazionali hanno riservato al nostro Paese e all’azione accorta di un suo ministro insolitamente competente, l’on Marco Minniti, che ha ottenuto nei mesi scorso una drastica diminuzione del flusso migratorio in arrivo.
Partiamo dai fatti. Un video della CNN diffuso qualche giorno fa (leggi) ha mostrato in Libia un uomo nell’atto di vendere un proprio simile (sarebbe, al riguardo, interessante conoscere se è stato girato da un proprio operatore, o semplicemente acquisito dai tanti collaboratori locali, perché in quest’ultimo caso la situazione cambia non poco in termini di verifica oggettiva del prodotto).
Situazione che ha portato l’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu, Zeid Raad Al Hussein (foto) a descrivere le sofferenze dei migranti in Libia come "un oltraggio alla coscienza dell’umanità" perpetrato senza che "l’Ue e i suoi Stati membri abbiano fatto nulla per ridurre gli abusi".
Anche l‘inviato speciale del Nazioni Unite in Libia, il libanese Ghassan Salamè, ha lanciato l’allarme per le continue e gravi violazioni dei diritti umani nella ex colonia italiana, accusando la UE e implicitamente anche all’Italia, di non aver fatto abbastanza per il miglioramento delle condizioni di vita dei tanti, poveri disgraziati che sono ammassati a migliaia e trattati come bestie.
La rinnovata attenzione verso la sponda sud del mediterraneo, dopo mesi in cui di fatto l’Italia è stata lasciata sola dalla comunità internazionale, è iniziata molto prima, la scorsa estate.
L’agenzia britannica (ma dai..) Reuter, seguita dalla Associated Press (AP), hanno denunciato alla fine di agosto i presunti accordi del governo italiano con le due principali milizie libiche di Sabratha, dal quale sarebbe conseguito il dimezzamento delle partenze verso le nostre coste rispetto all’anno precedente.
Il 22 agosto Reuter riportava “gruppi di poliziotti, civili e militari, che impediscono ai migranti di imbarcarsi per l’Italia” e la AP, con un lungo reportage, illustrava i presunti accordi tra Roma e le milizie, omettendo però di precisare al lettore che volenti o nolenti anche su di esse si basa oggi in Libia l’esercizio dell’autorità statuale e quello del controllo sul territorio.
A tale circo mediatico non poteva poi sottrarsi Le Monde, autorevole quotidiano parigino ed icona della sinistra d’oltralpe, che titolava a settembre un generico “Accordo tra Italia e trafficanti libici”.
Qui non è in discussione il diritto sacrosanto di ogni uomo a vedersi riconoscere i più basilari diritti umani e a venire trattato di conseguenza. Su questo non si discute.
Colpisce però il tempismo delle denunce, la attenzione di cotanti osservatori, non così accorta nel periodo in cui l’entità dei flussi migratori era diretta verso un solo Paese lasciato solo a gestirla e grandemente agevolata dall’intervento in massa delle marine militari di FRONTEX e EUNAVFOR MED, e delle navi appartenenti alle più svariate NGO’s, alcune delle quali si son poi rivelate, per così dire, non particolarmente scevre da contatti poco raccomandabili con gli stessi trafficanti di uomini.
E non si può inoltre non notare come tale attenzione raggiunga il picco proprio con l’insolito e premiante intervento italiano, che ha coinvolto tutte le autorità locali e provinciali delle città libiche attraversate dal flusso, oltre alle tribù del Fezzan e le autorità degli stati confinanti.
Sembra allora che si sia voluto creare un danno “di consenso” al nostro governo - per ritornare al tema di questo articolo - rivolgendosi direttamente ai vasti segmenti della nostra opinione pubblica, tradizionalmente molto sensibili alle ragioni dell’accoglienza incondizionata, per motivi politici ma anche per gli interessi economici che da essa scaturiscono.
E, perché no, con un occhio alle prossime scadenze elettorali, nelle quali Minniti (nella foto a sx) e il suo partito cercheranno di portare all’incasso il successo ottenuto la scorsa estate.
Già si registrano, infatti, da più parti rinnovate critiche al ministro, che già in passato aveva trovato importanti resistenze, anche in seno al CdM, da parte di suoi stessi compagni di partito (Graziano Delrio), tanto da indurre il Capo dello Stato a blindarlo con pubblici atti di approvazione.
L’opinione di chi scrive è che brucia a molti l’attivismo italiano in Africa: ad una Francia, storicamente non incline a condividere l’esercizio dell’ influenza in quelli che ritiene ancora suoi protettorati, abituata come è a considerare l’area del Sahel (Algeria, Ciad, Niger,Mali) come il proprio “back yard”; ed al Regno Unito impegnato a contendere in campo petrolifero - ma non solo - il primato italiano nel Paese africano.
Occorre quindi respingerla, questa “offensiva”, ricordando che spetta agli organismi internazionali la soluzione del problema umanitario in Libia; gli unici, al momento, in grado di operare nel Paese in un quadro di piena legittimità (a settembre scorso, l‘Italia ha dato al UNHCR e all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ben 28 milioni di euro, da spendere nella nostra ex colonia).
E rammentare alle tante anime belle nostrane che gli Stati, tutti, decidono e operano solo in base all’interesse nazionale, lo stesso sempre fatto valere dai nostri vicini francesi, che nel loro essere (giustamente) attenti a distinguere tra migranti economici, rifugiati e profughi, hanno sempre rispedito indietro, cioè a noi, i migranti che volevano entrare nella République, senza preoccuparsi di come venivano trattati nel nostro Paese.
(foto: Ministère des Armées / OHCHR / ministero della difesa)