Il Piano B (all’Euro) del lettore. Dopo che lo scrivente in passato si è sbizzarrito nell’analizzare il famoso Piano B di Paolo Savona (v.articolo), nell’elencare casi concreti di secessione da una confederazione (v.articolo) e, infine, nel presentare gli scenari di una possibile uscita dall’Italia dall’Unione europea (v.articolo), la scorsa settimana avevamo proposto che fossero i lettori a gettare lo sguardo oltre l’Eurozona, partendo da una premessa: al netto dell’ipotesi dell’Europa a due velocità, non esistendo una clausola di recessione dall’Eurozona, chiunque volesse uscire da Eurolandia deve per forza di cose uscire anche dall’Unione europea. Al lettore, sia un convinto europeista sia un accanito euroscettico, avevamo richiesto di illustrare lo scenario della così detta Italexit, l’uscita del nostro Paese dalla moneta unica e dall’Unione, provando a illustrarci la situazione dell’Italia nel breve-medio termine, tenendo buon conto della nostra Costituzione, dei trattati internazionali, delle (inevitabili) reazioni dei Paesi e delle decisioni delle istituzioni coinvolte.
Abbiamo ricevuto molti articoli interessanti e abbiamo deciso di concedere l’onore della pubblicazione a quattro di loro, perché latori di altrettante posizioni originali e distinte tra di loro, che pubblichiamo qui di seguito. In coda, il lettore troverà le considerazioni dello scrivente sul tema dell’Italexit e il tema della prossima settimana. Speriamo che questa rubrica continui a piacervi!
Il lettore Gianni Berardi ha colto bene la madre di tutti i nostri problemi: la scarsa credibilità internazionale dell’Italia, non causata da un singolo governo ma male cronico del Belpaese, percepito come ben poco affidabile dai partner europei e non solo. Diciamolo: nemmeno tentiamo di nascondere il fatto che spesso ci comportiamo come degli allegri cialtroni. La conclusione del lettore prefigura uno scenario di declino definitivo: il paragone con gli standard economici dei Paesi di Visegrad è efficace, ma ingiusto verso questi Paesi si accaparrano avidamente tutti i finanziamenti europei che riescono ad arraffare - e che noi spesso facciamo tornare alla base - e hanno standard di vita crescenti. Basti dire che i salari in Polonia nel 2017 sono cresciuti di quasi il 4%, mentre in Italia (e nel Regno Unito della Brexit) sono scesi di quasi l’1%.
L’annosa incapacità italiana, diversamente modulata lungo tutto lo stivale, di seguire le regole o di darsene di efficaci e di mantenere gli impegni, appare palese con l’operato degli ultimi governi; e come da tempo accade, si traduce in una visione di breve respiro che fa debito per mantenere consenso. Peccato tanto più grande in questi tempi di prolungato e prolungabile Quantitative Easing, operante all’interno di una peculiarità storica per la quale un aumento della base monetaria non produce indesiderate conseguenze sull'inflazione.
Una peculiarità storica è però tale perché non dura. Alla successiva crisi del debito, ormai private del potente strumento di politica monetaria, le istituzioni europee devono salvare sé stesse e i propri portabandiera. Ecco materializzarsi un'eterodiretta uscita dall’euro lunga ben più di un anno sul piano formale, ma velocissima su quello pratico con la richiesta di regolamento immediato dei saldi Target2 nei confronti della BCE, mentre svalutazione ed inflazione si rincorrono in un amarcord anni '70. L’Italia c’è ancora, ma l’economia trova un punto di equilibrio che avvicina stipendi e patrimonio degli italiani a quelli delle matricole europee di Visegrad, percorso già concretamente intrapreso, quale sinistro presagio, dalla nostra nazionale di calcio.
La tesi del lettore Giovanni Cabiddu è, per così dire, quella “classica” dei No-Euro: con l’uscita dall’UE/Eurozona, nell’immediato, il nostro Paese subirebbe pesanti contraccolpi (inflazione galoppante, perdita di valore della nuova Lira ecc.), ma poi - stante l’implosione della moneta unica e in definitiva dell’Unione europea - l’Italia diventerebbe più competitiva. È una tesi che troviamo spesso anche sulla bocca di esponenti dell’attuale maggioranza giallo-verde e che chi scrive rispetta per le sue motivazioni patriottiche, ma che, a voler essere sinceri, non viene mai sostenuta da esponenti dell’economia reale, quelli stessi che, secondo i No Euro, ne trarrebbero i maggiori benefici. Questo perché lo tsunami provocato dall’Italexit, proprio nelle prime fasi, scuoterebbe fino alle fondamenta il nostro Paese, al punto di dubitare della sua sussistenza come Nazione unitaria. Chi fa impresa non crede che le tante piccole aziende italiane sopravviverebbero allo “scossone” secessionista; tuttavia, non dubita che, in un mondo in cui l’Italia avesse la serietà politica del Regno unito o un’economia ricca come la Svizzera, quanto auspicato dai No Euro sarebbe davvero una grande tentazione…
È bene puntualizzare che la cosiddetta Italexit non esiste. L’uscita dell’Italia dall’area euro porterebbe all’implosione dell’area stessa e metterebbe a rischio la stessa UE. Ecco perché:
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L’euro avrebbe un’immediata forte rivalutazione generata dall’uscita dell’Italia che, con la sua finanza pubblica precaria, consentiva una quotazione di relativa debolezza nei confronti del dollaro e delle altre valute.
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La rivalutazione dell’Euro genererebbe immediatamente un crollo dell’avanzo commerciale dei paesi del nord Europa, Germania in primis, aggravando la situazione dei paesi già in disavanzo commerciale, come Francia e Spagna. Ciò genererebbe, successivamente, crisi aziendali, disoccupazione, tagli salariali con conseguente riduzione dei consumi e porterebbe a uno scenario sociale estremamente pericoloso. Inoltre, il sistema finanziario e bancario di molti di questi paesi, virtuosi nel debito pubblico ma dissoluti nel debito privato salterebbe, stante l’impossibilità di famiglie e imprese di ripagare i debiti. L’area euro sarebbe spacciata.
In Italia si avrebbe:
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Nell’immediato, una forte difficoltà a far fronte al finanziamento del debito pubblico, con la necessità di approvvigionarsi in valuta straniera ad alti tassi d’interesse, mitigata però dalla Banca Centrale italiana che potrebbe stampare e “inflazionare” un po’ l’economia, tenendo conto che, in un paese che ha la macchina produttiva al minimo, prima di generare alta inflazione si hanno ampi spazi di manovra. La svalutazione della nuova valuta italiana verso l’estero sarebbe attenuata dal fatto che avendo un avanzo commerciale, la domanda per essa sarebbe elevata ed andrebbe a crescere.
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Successivamente un rilancio dell’economia, in quanto la nuova valuta nazionale consentirebbe un aumento della competitività delle aziende italiane che andrebbe ad aumentare il nostro già buon avanzo commerciale, aumenterebbe quindi l’occupazione e ripartirebbero consumi, investimenti, raccolta bancaria e introiti fiscali.
Non mi preoccuperei delle reazioni di altri paesi nei confronti dell’Italia, stante la situazione tutti avrebbero ben altri problemi da risolvere, compresa la tenuta della UE che non sarebbe più la stessa.
Luca Morandini ha uno stile davvero personale nello scrivere, ma sostiene, argomentando con convinzione, una tesi molto interessante: perché non alziamo i tacchi da quella casa fallimentare che, per alcuni, è l’Unione europea e chiediamo di diventare il cinquantunesimo stato della federazione nordamericana? Lo fa a partire da “quanto ci unisce” e con sincero apprezzamento - forse un po’ troppo ottimistico - della grande Nazione anglosassone. La questione, molto seria pur nella sua originalità, è un’altra: se non pensano di aderire agli Stati uniti d’America l’Irlanda e il Regno unito, che hanno ancora di più in comune con gli USA, perché noi? Appurato che c’è chi vende (l’Italia), siamo sicuri che ci sia qualcuno disposto a comprare (gli USA stessi)? E poi, siamo certi che i nostri rappresentanti al Congresso difenderebbero gli interessi del nuovo stato meglio degli eurodeputati italiani?
Il futuro: Buongiorno Italia! Dopo la difficile esperienza fallimentare europea, stanchi di essere saccheggiati e presi in giro, visto che come i figli dei fiori eravamo gli unici a pensare seriamente ad un’Europa: unita, felice, amica e paritetica, sognando una lingua comune, magari l'inglese, peace and love insomma... Ai nostri eroi, il popolo che fu dei CESARI, venne una grande idea, come fecero i Britannici: uscirono dall'Europa. L'idea nasceva dal fatto che: "visto che l'abbiamo scoperta..." Perché no? Aderiamo agli Stati uniti d'America!!!! Vantaggi per noi enormi: le nostre aziende protette nel mondo con un mercato enorme di 330 milioni di potenziali clienti, che comperano quasi solo esclusivamente made in USA (essendo noi adesso americani fatevi due conti); un esercito immenso con strutture e mezzi per i nostri soldati, una politica paritetica con gli altri stati dell'Unione, i nostri cittadini con diritti paritetici in tutto il paese, una lingua comune pur mantenendo la nostra identità, nessuno che ti saccheggia le aziende o ti umilia continuamente.
Gli Stati Uniti sono già più ricchi di noi. Siamo sempre stati lì: migliaia di nostri migranti l'hanno fatta diventare grande e migliaia di Italiani sono riusciti a diventare grandi. Noi siamo già ricchi di America: le basi nato, migliaia di soldati, molti già maritati con donne e uomini Italiani, cultura e musica a stelle e strisce, case automobilistiche in comune. Questo è il nostro posto. L'Europa? Solo un’illusione, un qualcosa dietro le Alpi che non ci appartiene, un'espressione geografica, non è quello che sempre hanno detto di noi Francesi e Tedeschi?
Al lettore Marco lasciamo la parola senza troppo commento: la sua argomentazione è così strutturata che o la si accetta perché - a suo modo - scientifica o la si rifiuta perché non abbastanza patriottica. A chi scrive piace.
Se l'Italia tornasse alla Lira, cosa succederebbe a livello Microeconomico?!
Supponiamo che in Italia la carta moneta in Euro sia convertita in Lire con cambio 1:1 per semplicità Lit.1000
I saldi dei conti correnti supponiamo siano Lit.4000 da cui M1=5000 Lire.
Il risparmio in titoli di Stato, Azioni, Obbligazioni, altri titoli di credito... supponiamo sia Lit.30000.
M1 allargata sarebbe circa 35000 Lire.
Immaginiamo che contestualmente scadano 20000 lire di titoli pubblici e Bankitalia stampi 20000 lire per comprare i nuovi titoli di stato, oppure lo Stato vari un mega-deficit finanziato con cartamoneta di pari importo.
La variazione monetaria sarebbe 20000/5000=+400% calcolata su M1
La variazione monetaria sarebbe 20000/35000=+57.14% calcolata su M1 allargata (inflazione da cause monetarie)
Quanto varrebbe la Lira, dopo un anno sui Mercati Valutari?!
Il cambio iniziale di Euro 1: Lira 1 assumendo che sul mercato finanziario la Lira fosse quotata con meccanismo Certo per Incerto, dopo un anno l'Euro varrebbe E1.00 ma la Lira 1*(1-0.57)=0.43 Lire, occorrerebbero 1/0.43=2.32 lire per acquistare un Euro, dopo un anno ci sarebbe anche un'inflazione importata del +232%
Ci sarebbero investitori esteri disposti ad allocare parte del loro portafoglio in Lire per diversificare? No!, perché le Attività Finanziarie in Lire sarebbero incapaci di mantenere il proprio valore nel tempo. Bankitalia dovrebbe difendere la Lira sui mercati finanziari, il TUS salirebbe di quanto?
inflazione da cause monetarie: +57%
crescita economica: circa +1%
inflazione importata: +232%
rischio paese: per convenzione circa 90% dell'inflazione 0.9*(232+57)=+260%
Totale circa TUS=550%
+rischio di settore: per convenzione circa il 90% del TUS=495%
Totale circa PRIME RATE=1045%
Nessun imprenditore italiano sarebbe capace di pagare tassi d'interesse galoppanti!.
Operai, impiegati, pensionati, disoccupati vedrebbero deteriorarsi il proprio salario reale! Assicurazioni, Fondi Pensione vedrebbero le proprie riserve matematiche perdere velocemente di valore. Lo Stato Italiano felice, trasformerebbe il proprio debito in carta straccia! L'Italia esporterebbe facilmente in Europa e nel mondo, con la Lira svalutata? No, perché in un contesto d'alta inflazione le aziende chiudono, per sopravvivere dovrebbero tornare in Euro: in Italia una rapidissima desertificazione economica devasterebbe il paese, molte aree cercherebbero di separarsi dall'Italia per rientrare in Fort Euro; i problemi d'ordine pubblico muterebbero escalando in problemi militari.No, perché se l'Italia uscisse dall'Euro, i titoli di stato italiani emessi e classati all'estero, se mantenessero la denominazione in Euro, sarebbero costosissimi da pagare per l'Italia, vanificando il beneficio dell'export, devastando l'italica bilancia dei pagamenti. No, perché se l'Italia uscisse dall'Euro, i titoli di stato italiani classati all'estero trasformati in Lire, causerebbero una perdita in conto interessi/capitale nei detentori stranieri che avrebbero cartastraccia, le nazioni estere reagirebbero con dazi e contingentamenti sui prodotti italiani, per proteggere i propri mercati in Euro.
Il tempo delle svalutazioni competitive è passato!, paesi come Cina, Sud Corea, Giappone, Taiwan, tigri asiatiche, India, producono prodotti con crescente qualità ed alto valore aggiunto, dispongono anche di possenti economie di scala e dimensione, il loro tessuto economico è composto da grandi aziende capaci di fare sviluppo e ricerca applicata con cui ottenere vantaggi competitivi. La maggioranza del tessuto industriale italiano è invece composto da aziende piccole (sotto i 10 dipendenti) che non hanno mai fatto - e non faranno mai - sviluppo e ricerca applicata.
Chi scrive si concede, a questo punto, poche righe per le sue considerazioni sul tema Italexit.
Il problema, a ben vedere, non è se uscire o quando uscire, ma in quali condizioni saremmo e quali risultati geopolitici produrremmo se uscissimo a breve termine. Mi spiego: un Paese con appena 37 miliardi di riserve valutarie, come può pensare di essere credibile nel momento in cui dovesse difendere - da solo! - la solidità di 1.800 miliardi di debito sovrano? Per fare un paragone, la Cina ha 3.100 miliardi di riserve, il Giappone oltre 1.200, la piccola Svizzera 737; persino i più “poveri” tra i partner europei fuori dall’Eurozona sono messi molto meglio di noi1. Chi parla di svalutazione competitiva ragiona un po’ come gli strateghi francesi che predisposero la Linea Maginot pensando alla Prima guerra mondiale e che produssero una difesa ormai anacronistica. Nessuno si è accorto che col ritorno in grande stile dei dazi e la fine della globalizzazione se anche acquisissimo un vantaggio competitivo, USA, Unione europea, Cina e Giappone alzerebbero barriere contro i nostri prodotti? Ma - a ben vedere - è tipico di noi italiani combattere ogni nuova guerra (anche quelle economico-finanziarie sono tali) con le armi di quella precedente. Vogliamo uscire dall’Eurozona? Facciamolo! Ma prima investiamo seriamente sul “Sistema Paese”, migliorando i fondamentali dell’economia (a partire dagli investimenti in ricerca e sviluppo, come sostenuto da uno dei lettori) e tagliando tanti privilegi medievali. Chiediamoci, ognuno, se siamo pronti a perdere oggi un po’ della nostra pigra quotidianità per ritrovarci a vivere domani in un Paese leader. Le guerre - perché l’uscita volontaria dall’Unione questo è: una sfida ai nostri “soci” - si cominciano quando si è in condizioni di vincerle, non perché si vuol essere, una volta nella vita, degli eroi romantici. Ma sfigati…
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Ciò detto, passiamo all’argomento della prossima settimana. Il lettore è richiesto di scrivere un’analisi - di massimo 300 parole e sempre seguendo le regole dei precedenti articoli - della situazione geopolitica della Federazione russa, in particolare con riferimento alle sfide che attendono il grande Paese euroasiatico nei prossimi dieci anni, presumibilmente gli ultimi dell’era putiniana. Non si tratta di esaltare la figura gigantesca dello statista russo o di evidenziarne i limiti in materia di rispetto dello stato di diritto e del diritto internazionale, piuttosto di collocare la Russia nelle evoluzioni dello scenario internazionale.
L'email a cui inviare è geopolitica@difesaonline.it
1 La Repubblica Ceca 150 miliardi, la Polonia 120, l’Ungheria 43.
(foto: U.S. Marine Corps)