Suicidi tra imprenditori e disoccupati: vittime di un’ingiustizia di Stato? Meglio parlarne...

(di Gianluca Celentano)
24/07/18

La rabbia e il senso di abbandono non hanno confini sull’angoscioso tema della disoccupazione; una condizione spesso indescrivibile quando ascoltiamo i comprensibili sfoghi dei cittadini vittime di un’ingiustizia a cui la politica sembra non essere stata all’altezza, almeno per ora di offrire reali risposte al dramma.

Sono circa 3 milioni, fonte Istat 2017, i disoccupati nel nostro Paese e tra questi una buona parte ha un’età compresa tra i 30 e 50 anni, generalmente i più plurispecializzati.

Una realtà spesso vissuta dai nostri connazionali, come una profonda frustrazione ma anche come un’ingiusta vergogna, almeno per i più maturi; e dichiarare apertamente la disapprovazione verso un sistema incapace di dar loro le opportunità lavorative non è esente da timori di ritorsioni, o ancor peggio di una definitiva esclusione dal mondo del lavoro.

Assurdi anche i suicidi

Lo stato d’abbandono, la lontananza di risposte concrete e il continuare a ricevere dalla TV notizie rassicuranti che però non si trasformano, almeno nell’immediato, in soluzioni arginanti il dramma, ha condotto una parte di esclusi dal diritto al lavoro a vere e proprie condizioni di depressione senza eguali e con evidenti costi pubblici.

In molti casi citati dalla cronaca, i più deboli e sfiancati nel bacino di questa condizione formato anche da imprenditori oltreché ex lavoratori, non sono stati pochi i fenomeni autolesionisti o peggio, coloro che dopo lunghe sofferenze e pregiudizi ricevuti durante i colloqui sostenuti hanno scelto di togliersi la vita.

Per dare un’idea della grandezza del fenomeno potremmo analizzare un articolo di “La Repubblica” riguardo uno studio svolto dal Dipartimento di Psichiatria di Zurigo e pubblicato nel 2015, che denuncia circa 900 suicidi in Italia riconducibili alla disoccupazione, cioè poco più della metà dei 1500 morti per incidenti stradali rilevati nel 2017 (fonte Sky Tg24).

Senza voler peccare di populismo - e sempre che sia un peccato esserlo - a molti di voi verranno in mente dopo questi dati, gli articoli 1, 4 e 36 citati nella Costituzione della Repubblica italiana, articoli che con il nuovo secolo e in special modo dopo il 2007 sembrano essere diventati la speranza dei propri diritti cui si aggrappano migliaia tra giovani e meno giovani che potremmo definire "trasparenti".

“Le faremo sapere…”

Infatti se l’allarme disoccupazione è una delle questioni sottolineate in rosso nell’agenda del nuovo Governo, è anche vero che i continui “le faremo sapere” ricevuti durante i colloqui, relegano questi cittadini in uno status di privazione di un diritto basilare ma anche di trasparenza e segretezza nei confronti di un contesto sociale che dovrebbe essere sano, privo di pregiudizi e garantista.

Il jobs act: la mia esperienza (come tante) premiato e liquidato

Dopo aver abbandonato l’idea di mettermi in proprio nel trasporto persone considerati i costi, nel 2013 dopo un periodo da "trasparente", sono stato contattato da una multinazionale di trasporto pubblico e regionale con i bus.

Nonostante l’euforia per un lavoro di linea part time, in due anni e mezzo mi sono stati somministrati, una serie di contratti a tempo determinato.

Cinque mesi prima della scadenza dell’ultimo contratto previsto per giugno 2015, ricevo dal direttore generale una lettera protocollata di elogio per la qualità con cui avevo svolto il mio lavoro gestendo al meglio anche il difficile rapporto con i passeggeri. È una consuetudine e un’ottima iniziativa la lettera di referenza nei Paesi anglosassoni e che permette la fisiologica continuità lavorativa in altre aziende ma qui da noi non sembra essere proprio così.

Nonostante pensassi di avercela fatta a stabilizzarmi, a giugno il contratto non mi è stato rinnovato finendo nel vortice della precarietà, affrontato però a testa alta.

Poi ci sono coloro che non rispondono al telefono… Manca l’altruismo?

Non mandare comunicazioni di riscontro o farsi negare telefonicamente, sono quelle fastidiose abitudini di chi seppur comprendendo il dramma della precarietà - almeno si spera - preferisce seppellire sotto alla sabbia il problema piuttosto che affrontarlo nel limite delle sue possibilità.

Un “gentile” sindacalista confederale con la carica di referente provinciale per una famosa sigla, si era proposto di seguire la posizione degli autisti part time anche se per il momento non eravamo chiaramente iscritti.

Tutto molto lodevole, come le sue rassicurazioni sul nostro futuro lavorativo, peccato però che il gentile referente dopo la scadenza finale del contratto si sia dileguato lasciandomi solo e senza alternative o comunicazioni.

Posso capire anche se non comprendo, le necessità di un’azienda di far profitto, fino a un certo punto s’intende; ma quello che mi dà più fastidio è il comportamento ipocrita e falso di chi ha scelto di difendere il lavoro sottraendosi invece alle sue responsabilità.

Troppa distanza tra i salotti bene” e la realtà

Questo è uno dei motivi che ha contribuito all’affossamento di una parte politica favorendo gli schieramenti più radicali, quelli che oggi sono accusati di "populismo".

Gli interrogativi sarebbero molti ma uno in particolare mi viene in mente: “Come si può pensare, scegliendo d’avere una carica di Governo, di perseverare politiche alquanto miopi alle necessità del Paese seguendo senza la giusta negoziazione solo le volontà imposte dai Paesi più virtuosi, e convinti che il popolo se ne stia buono e zitto senza batter ciglio?

A fronte di questo, ricordo un passaggio su un libro scritto da un famoso Statista del secolo scorso: “Nella migliore delle ipotesi l’Europa sarà un limbo, nella peggiore un inferno” (Bettino Craxi, 1997)

La colpa di questo invitabile dramma lavorativo, va probabilmente ricercata negli anni passati e forse il dito va puntato verso coloro che sapevano ma non hanno parlato o sapevano ma non potevano muoversi diversamente.

Defiscalizzare il lavoro, deve convenire assumere i disoccupati

Mi rifiuto categoricamente di pensare ad una rivalità reale tra lavoratori italiani e stranieri anzi, semmai è vero che l’emancipazione civile e culturale italiana ha generato opportunità e spazi di lavoro proprio per i lavoratori stranieri.

D'altronde se un cittadino straniero è assunto in regola percepisce le stesse competenze contrattuali di un lavoratore italiano. È da domandarsi semmai quali differenze o sgravi fiscali possano esserci tra l’assunzione di lavoratori extra Cee e italiani.

Nel settore del trasporto merci, attualmente al collasso, non è difficile incappare in aziende estere che fanno profitto in Italia assumendo camionisti extra Cee, tuttavia il Governo sembra aver garantito il pugno di ferro verso questa realtà che penalizza il lavoro dei nostri autisti.

Degno di nota e con non poche ombre, come riportato da diversi quotidiani tra cui “L’eco di Bergamo” è il conseguimento delle patenti da parte di stranieri che a mala pena conoscono la lingua italiana, un argomento attuale e che magari affronteremo in un altro articolo.

Il lavoro del militare e la rappresentanza

Come già saprete il neo Ministro Trenta ha dimostrato apprezzamento e approvazione per una nuova pagina sui diritti dei nostri militari, un passo avanti rispetto al CoCer.

Del resto eravamo gli ultimi in Europa a non aver un sindacato per i cittadini con le stellette. Forse lo step successivo riguarderà una gerarchia più orizzontale e con più autonomia del soldato, un po' come avviene negli eserciti più moderni.

Fare sindacato vuol dire avere a cuore, comprendere e risolvere i problemi dei lavoratori garantendo e migliorando il buon lavoro, un aspetto importante e da sottolineare dopo aver osservato sui forum militari qualche scetticismo verso questa conquista.

Il problema disoccupazione riguarda anche i militari in ferma provvisoria, piuttosto di coloro in attesa di vincere un concorso in Spe (Servizio Permanente Effettivo, ndr) o in qualche Corpo dello Stato.

La tecnologia e i moderni assetti operativi, impongono e imporranno sempre più Forze Armate snelle, dinamiche e all’avanguardia, e questo forse diminuirà la garanzia per i giovani in uniforme di una permanenza indeterminata all’interno delle FFAA; per certi versi un rituale tramandato da padre in figlio.

La riserva selezionata cosi come un breve servizio di leva, potrebbero avere ancor più il semaforo verde soprattutto nell’ottica di una riduzione e ottimizzazione delle spese pubbliche, e da impegnare come ausilio o per attività logistiche e di protezione civile.

È lodevole in questo contesto l’iniziativa PREVIMIL strutturata dal Ministero della Difesa che tramite i Comandi militari di zona agevola il collocamento al lavoro civile dei militari congedati. Peccato che per i cittadini civili non sembra esistere una corsia preferenziale così ben organizzata.

Dedico questo articolo a tutte quelle persone che non hanno un lavoro, una certezza e una garanzia di sicurezza nelle già troppe sofferenze che, in silenzio e in solitudine, portano dentro di loro. Per me anche voi siete eroi di una pagina di storia sbagliata e, seppur sia difficile anche per me convincermene, mi sento di invitarvi all’ottimismo, condividendo il dolore che non deve mai e poi mai portare all’umiliazione o peggio a gesti estremi.

(foto: web / Quirinale / U.S. Army)