Davide Gnola
Ed. Minerva, Argelato (BO) 2014
pagg. 127
L’autore, direttore del Museo della Marineria di Cesenatico, racconta, in questo saggio, le imprese dei corsari nel Mediterraneo, dal XVI secolo agli inizi del XIX secolo. Infatti “torri e altre difese costiere, canzoni e leggende, tradizioni popolari e opere teatrali stanno a ricordarci di una realtà storica, la guerra corsara e la conseguente schiavitù, che dagli inizi del Cinquecento al 1830 circa costituì un aspetto dominante, già presente peraltro nei secoli precedenti, nei rapporti fra cristiani e musulmani rivieraschi nel Mediterraneo.”
Dopo Lepanto, con la fine degli scontri diretti tra le flotte degli Stati,“il Mediterraneo diventa teatro di una guerra inferiore, cioè della pratica estesa della guerra di corsa.” Agendo con il beneplacito dell’Impero Ottomano, i corsari stabiliscono le loro basi non nelle grandi capitali marittime del Mediterraneo, ma in altri porti, quali Tripoli, Tunisi e soprattutto Algeri, città del nordafrica appartenenti alla Barberia. Alcuni di loro, come Khayr al – Din (Barbarossa), Dragut, Uluç Alì diventano ammiragli della flotta ottomana.
La guerra di corsa, abolita ufficialmente nel 1856 con il Trattato di Parigi, vide tra i suoi protagonisti, per un breve periodo del 1837, anche Giuseppe Garibaldi, che operò a bordo di una garopera - barca da pesca brasiliana - quando sposò la causa dell’indipendenza delle regione brasiliana del Rio Grande do Sul. Altro corsaro sconosciuto ai più fu il genovese Giuseppe Bavastro (1760 – 1833) “che svolse la sua attività al servizio della Francia nel periodo napoleonico.”
A testimoniare quanto fossero frequenti gli attacchi corsari per la gente di mare ci sono gli ex voto, esposti nelle chiese e nei santuari delle coste del mediterraneo come ringraziamento per lo scampato pericolo. La difesa da tali attacchi, oltre a essere passiva, come dimostrano le innumerevoli torri d’avvistamento ancora presenti sul litorale italiano, era anche attiva, attraverso azioni di pattugliamento e di repressione in mare svolte inizialmente dalle navi dei Cavalieri Ospitalieri di Malta e da quelli d Santo Stefano con base a Livorno. Ci furono anche spedizioni organizzate e pagate da privati, come quella voluta, nel 1763, dal ceto mercantile di Genova, che armò il San Francesco di Paola, una nave di 32 cannoni e 207 uomini di equipaggio. A testimonianza della ferocia dello scontro con la flotta barbaresca, comunque vinto dalla nave genovese, rimane un dipinto, esposto nel Museo del Mare di Genova, dove si può notare il sangue che gronda dagli ombrinali delle navi barbaresche.
Galee, galeazze, barze, galeoni, fuste, sciabecchi, fregate, corvette, vascelli, brigantini, tartane, galeotte sono nomi che stanno a indicare le varie tipologie di imbarcazioni tipiche di questo periodo. Esse solcavano il Mediterraneo trasportando, a bordo, merci comuni, ma soprattutto uomini e donne, che erano le prede più preziose: rapite in mare o dalle località costiere, erano destinate a essere utilizzate come schiavi o per ricavarne un riscatto. Gli schiavi, una volta a destinazione, venivano adibiti a lavori di fatica e risiedevano in luoghi recintati denominati bagni. Alcuni schiavi cristiani, una volta rapiti, si convertivano all’Islam, facendo carriera: erano i Rinnegati. Tra di essi i più famosi furono Giovanni Dionigi Galeni, ovvero Uluç Alì e Scipione Cicala, ovvero Sinan (che significa genovese) Pascià. Un caso opposto, cioè di musulmano catturato e convertito al cristianesimo, fu quello di Leone l’Africano.
”La fine dell’attività dei corsari barbareschi viene fatta coincidere con la conquista francese di Algeri, avvenuta nel 1830, che chiude la stagione delle reggenze barbaresche e inaugura per il nordafrica la nuova fase coloniale.” Nel 1849, poi, sorse, a Rimini, il primo stabilimento balneare della costa romagnola, con l’arrivo dei bagnanti che sostituirà lo sbarco dei corsari. “Si tratta di un cambiamento radicale: da luogo malsano e pericolosa frontiera da sorvegliare, il litorale diventa una nuova risorsa da sfruttare, trasformandosi – specie in Romagna - nel luogo familiare per eccellenza; e le torri di guardia lasciano il posto, sulla spiaggia, agli stabilimenti balneari.”
Gianlorenzo Capano