70 anni... e dimostrarli tutti

(di Walter Raleigh)
23/04/19

Come ogni guerra, anche la seconda Guerra Mondiale ha lasciato le sue eredità; il nuovo ordine, plasmato dai vincitori, portava afflati liberatori per i più, ed una nuova visione politico – economico – strategica destinata a durare negli anni per coloro che potevano guardare in modo più concreto al futuro. Il conflitto più violento della storia umana apriva le porte ad un istituzionalismo intriso di solido realismo che forniva precisi indirizzi sulle aree dove poi si sarebbero sviluppati interessi e competizioni.

Il 4 aprile 1949 prendeva forma l’organizzazione politico - militare più longeva dell’epoca moderna, indirizzata a prevenire e contenere l’espansione sovietica già paventata tre anni prima con il lungo telegramma di George Kennan; l’atto costitutivo della NATO consolidava il principio di difesa collettiva, peraltro invocata, ai sensi dell’art. 5 per la prima ed unica volta l’11 settembre 2001 contro il nuovo nemico, il terrorismo radicale, e comunque pericolosamente vincolata ad un’unanimità che avrebbe potuto (e potrebbe) venir meno anche per un solo voto discorde; la storia del ’49 è nota, come si sia evoluta con la Guerra Fredda altrettanto; quel che sarebbe opportuno comprendere, per i molti quesiti irrisolti, è il futuro.

Che politica e strategia costituissero le fondamenta del Patto fu presto evidente: l’estensione geografica dei Paesi firmatari oltrepassò di gran lunga l’area nord atlantica, imponendo obiettivi sempre più ampi. Il globo, parcellizzato in aree di influenza secondo gli indirizzi espressi dalle Conferenze di Teheran, Jalta e Potsdam, venne diviso da faglie ideologiche e di potere che, di fatto, hanno caratterizzato la storia moderna fino al 1991, fino a quando è venuto meno il motivo d’essere originale dell’Alleanza stessa. Ma la NATO non è solo militaria, è anche e soprattutto politica in un contesto globale ed integrato, ed il cambiamento dell’assetto securitario ha contribuito ripetutamente a far mutare veste ad un’Alleanza spesso espressione degli sviluppi politici interni agli esecutivi dei Paesi membri; la situazione internazionale in costante evoluzione, grazie all’annessione russa della Crimea, ha contribuito a spostare il focus, portando l’attenzione su tutti i possibili fronti d’instabilità, dal confine nord orientale a quello meridionale del Mediterraneo.

Se è vero che l’Alleanza è comunque riuscita a garantire la pace specialmente in Europa, rimodellandosi per riuscire ad adattarsi di volta in volta ai vari teatri, è altrettanto vero che i punti critici sono rimasti ancora molti, spesso interni ad un’Organizzazione che non può prescindere né dall’afflusso costante di risorse in misura non inferiore al 2% dei PIL nazionali, né tanto meno dalla presenza fattiva degli USA, condizionati da politiche interne ambivalenti e contrapposte. L’ultima sfida, in ordine di tempo, è costituita dalla Difesa Europea, progetto di concettualità istituzionale potenzialmente contraddittoria e poco complementare, che porta con sé due problemi di notevole spessore che l’accattivante facciata non riesce a nascondere ad un occhio più attento: chi paga e soprattutto chi comanda, vista l’uscita di scena britannica, ed il possesso della deterrenza nucleare in mano francese.

Gli affari sono affari...

La NATO è strategicamente ancora indispensabile per la sicurezza dei suoi appartenenti, ed in grado di fornire stabilità in un ambito internazionale multipolare ed anarchico dove l’effettività dell’Alleanza è data dall’essere, di fatto e senza alternative, il mezzo per assicurare il vincolo atlantico con uno spazio securitario comune tra vecchio e nuovo mondo; l’avvento di un’Amministrazione USA segnata dall’antipolitica non sminuisce la valenza né del Club né del suo socio più rilevante.

Come in tutte le realtà evolutive, anche la NATO deve continuare a mostrarsi adattabile ai cambiamenti senza però disconoscere quanto acquisito in passato, non fosse altro che per rifarsi a memoria storica ed identità comuni; l’unanimità non dovrebbe rimanere in un ambito formale, ma costituire un principio ispiratore di costanza politica capace di assicurare uniformità di giudizi e soprattutto di azioni. I problemi, tuttavia, non sono pochi a cominciare dai singoli bilanci nazionali in contrazione, passando per il nodo irrisolto legato alla concorrenza tra le industrie belliche USA ed europee, per finire con la pericolosa deriva dello storico alleato turco.

Per ciò che concerne l’aspetto economico, va rammentato che la condivisione del bilancio è stata sempre un tasto dolente per molti Stati, e che le rimostranze americane devono essere necessariamente interpretate alla luce del fatto che le spese sostenute per il settore bellico, pur attestandosi al 3,5% del PIL, non sono interamente destinate all’Alleanza, per le cui spese gli USA hanno ultimamente contribuito per il 22% del totale; intendiamoci, questo trend non è unicamente a stelle e strisce, ma riguarda anche altri Paesi più esposti a vicende belliche (Turchia), a differenza di altri che, seppur in vistose difficoltà economiche e con guide politiche apparentemente non compatibili con quelle americane, non lesinano sui finanziamenti atlantici (Grecia). Quel che è certo è che la ripartizione calcolata sul Reddito Nazionale Lordo non viene rispettata: se così fosse gli americani dovrebbero contribuire per oltre il 50%, cosa che non avviene, ed anche un eventuale indicatore fondato sul quoziente numerico delle unità impiegate sui teatri operativi, mostrerebbe che ci sono Paesi più esposti di quanto dovrebbero in relazione ai parametri economici (Italia), a differenza di scaltri virtuosi, più attenti a spendere per esigenze strettamente nazionali (Francia).

La NATO è impegnata su molteplici fronti, a cominciare dai Balcani, con azioni che hanno puntato a pungolare il soft power russo, ad integrare la Macedonia del Nord, ed a contenere le conseguenze per la nascita di un esercito kosovaro; anche il MO ha visto e vede una consistente presenza NATO tra Afghanistan, Iraq ed a suo tempo tragicamente in Libia, con contatti fattivi anche con EAU, Bahrein, Qatar, Kuwait.

Faglie...

Un’Alleanza attiva, dunque, ma non sempre attenta a tutte le situazioni; esistono difatti diversi punti di faglia che mettono in forse la coesione atlantica: la postura politica americana basata sull’America first e sugli accordi unilaterali, mirati a salvaguardare gli interessi nazionali ed a preservare il Paese dalla minaccia cinese, acuisce le incertezze degli Alleati. A Nord Est la Russia costituisce una realtà da non sottovalutare, specie dopo gli eventi ucraini ed i sospetti occidentali sul caso Skripal; a sud le instabilità e le frammentazioni dell’area MENA inducono a prendere in considerazione la possibilità della recrudescenza delle attività terroristiche; l’Alleanza deve trovare una quadratura che le consenta di valutare le diverse situazioni, peraltro alla luce della diversa natura statuale o meno dei vari interlocutori. Ma la faglia più profonda e pericolosa riguarda il fronte turco, espressione di un Paese che sta mutando in funzione della direzione politica assertiva impressa da Erdogan, impegnato su un doppio forno: curdo in Siria, russo per gli approvvigionamenti di armamenti incompatibili per un Paese atlantico. Non è infine da sottovalutare la perdita di credibilità dell’Alleanza in occasione del tentato colpo di Stato del 2016, sfuggito ai servizi di intelligence delle varie basi operative NATO sul suolo anatolico.

Le dinamiche internazionali, esaltando meno che in passato il ruolo egemonico USA, portano a considerare la rilevanza di nuovi attori; la Cina, con la sua espansione, ne è un esempio, tanto da diventare il vero competitor americano specie per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico. La BRI (Belt and Road Initiative, la nuova via della seta - ndr) esprime interessi economico - commerciali molto prossimi a rivestire rilevanza politica e militare, data l’entità degli investimenti. L’indebolimento della coesione interna all’Alleanza, in funzione dei cambiamenti degli equilibri economici e commerciali endogeni all’Europa è quindi uno dei fattori da considerare per stabilire le linee di sviluppo della NATO, impegnata anche sul fronte della minaccia portata dalla dimensione cyber, quale dominio operativo e dunque parte delle priorità in termini di difesa collettiva in un ambito dove l’ambiguità e la mancanza di punti di riferimento regnano sovrani. Sarà tuttavia fondamentale che la riscoperta dell’antagonista russo non distolga l’attenzione dall’insorgenza cinese, mai come ora così volitiva. A questo proposito non può non considerarsi il nuovo bilanciamento geostrategico del potere economico – militare verso l’Asia, aspetto che contribuisce alla decadenza politica Occidentale: se la velocità con cui avverrà la traslazione di potere è di difficile pronosticabilità, l’indirizzo storico del cambiamento lo è perfettamente.

Sulla forza economica si fonda il potere militare, e su questo solco tracciato dagli USA con circa 600 Mld di USD di investimenti si sta incamminando la Cina con 215, seguita a distanza dalla Russia con 70. Nella regione Asia Pacifico si sta dunque creando una diarchia su cui gli analisti della NATO stanno puntando l’attenzione, costituita dalla sicurezza garantita dagli USA, e dal potere economico assicurato dalla Cina, una situazione in grado di destabilizzare la regione.

Le incertezze occidentali nel fornire risposte utili hanno contribuito a frammentare il panorama, ed a porre le premesse per un ambiente geostrategico imprevedibile, cui potrebbe giovare una formale apertura con partenariati verso Paesi con democrazie mature, ma che non facciano perdere di vista il focus atlantico, a meno che non si intenda rafforzare il rischio di allontanare Alleati non così propensi ad appoggiare ulteriori imprese militari americane.

Un possibile futuro

Abbiamo parlato di indispensabile adattabilità del sistema; sotto questo punto di vista la NATO dovrà rivedere la sua posizione in termini globali, considerando la presenza cinese, valutando strategicamente la proattività regionale russa, ed ipotizzando un impegno più fattivo nell’area del Pacifico, teso a contenere il Dragone. L’attenzione prestata ad oriente verso il fianco russo deve essere compensata da una maggiore cura verso il fronte meridionale, potenziale oggetto di minacce asimmetriche ma non meno pericolose.

Le dinamiche internazionali insegnano che nessuna ipotesi può essere trascurata, dunque la capacità politica, unitamente a quella militare, non può tralasciare alcuna possibilità cooperativa, laddove ovviamente sia percorribile senza compromessi e dove questa possa essere funzionale ad una causa comune. In quest’ottica, gli intendimenti congiunti1 USA e NATO di non voler innescare una nuova Guerra Fredda potrebbero chiarire i possibili sviluppi a medio – lungo termine, anche alla luce dell’uscita dal Trattato INF2 ed alla propensione americana all’utilizzo di testate tattiche più piccole ma con maggiore possibilità di utilizzo, ipotesi del resto contemplata anche dall’attuale dottrina militare russa. Anche il nostro Paese ha una parte non di secondo piano nel complesso generale; come giocarla è tutt’altra cosa.

L’Italia ha premuto per la creazione del NATO Strategic Direction South Hub3, destinato a controllare gli eventi riguardanti l’area MENA ed il Subsahara, ed in grado di conferire un ruolo in linea con la nostra posizione geostrategica; è ovvio che assumere un compito così rilevante non consente dilettantismi: l’Italia perderebbe irreparabilmente credibilità e soprattutto quota parte di capacità decisionale in un ambito geopolitico non agevole ma di indubbi ritorni. Impegno economico in termini di PIL, unitamente agli investimenti da onorare, fanno parte di un capitale che deve essere accresciuto e ben speso, ma avendo l’accortezza di procedere a valutazioni a 360 gradi.

La diplomazia italiana, nel ’49, ottenne un risultato mirabile: uno Stato sconfitto che, allo stesso tavolo dei vincitori, con una visuale aperta su tutti i possibili scenari, progettava un nuovo futuro.

Non si vogliono fare valutazioni politiche di parte, il sentimento realista non lo permetterebbe, ma è fuori di dubbio che la valentìa e le capacità di statisti come Tarchiani, De Gasperi e Brosio, sarebbero oltremodo utili ed opportune anche ora.

  

1Affermazioni fatte in un incontro con la stampa da Kyron Skinner, capo del dipartimento di pianificazione politica del Dipartimento di Stato, e da Benedetta Berti, consigliere politico del segretario generale della NATO, capo del suo dipartimento di pianificazione politica.

2Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty

3A Napoli

Foto: NATO / presidenza del consiglio dei ministri / MoD People's Republic of China