L'Oceano Artico si sta riscaldando, ma la ragione è solamente in parte dovuta al cosiddetto “effetto serra”. Fino a poco tempo fa, l'Artico rimaneva una delle poche aree del globo caratterizzate da un insediamento umano relativamente scarso e quindi con ridotte possibilità di conflitto internazionale.
Persino nel corso della “Guerra Fredda” la regione venne per la maggior parte ignorata dai due grandi blocchi contrapposti. Il teatro principale dello scontro era l'Europa, le cui propaggini si estendevano anche al Mediterraneo ed al Medio Oriente, ma l'Artico nel complesso era visitato unicamente dai bombardieri strategici e dai sottomarini lanciamissili balistici che avrebbero dovuto utilizzare l'oceano ghiacciato come area di manovra in caso di conflitto nucleare.
L'importanza dell'Artico è gradualmente aumentata dopo la fine della “Guerra Fredda” per due motivi.
Primo: il nuovo ordine geopolitico multipolare venutosi a creare, ha visto l'affermazione di due nuovi attori geopolitici indipendenti, o almeno potenzialmente autonomi, vale a dire la Cina e l'Unione Europea, ed il conseguente spostamento verso est del centro di gravità dell'economia globale. Questo sviluppo sta aumentando l'importanza della Russia come collegamento economico e politico tra l'UE e la Cina e, di conseguenza, anche l'Artico stesso sta vedendo crescere la sua importanza come rotta commerciale.
Secondo: il fatto che l'area artica sia ricchissima di risorse naturali, soprattutto energetiche, il cui sfruttamento sarebbe tale da impattare notevolmente il futuro andamento dell'economia globale innalzando ulteriormente il rango della potenza dei paesi che riusciranno ad accaparrarsi in tutto o in parte le risorse che giacciono al di sotto dell'Oceano Artico.
Accettando l'inevitabile caveat che, al di là del diritto internazionale, “il possesso rappresenta i 9/10 della legge”, qualsiasi potenza che voglia accedere e mantenere una presenza stabile nell'Artico deve anche dotarsi di una considerevole forza di rompighiaccio per garantire la navigazione in acque temporaneamente o permanentemente coperte dal gelo. Già oggi, le principali potenze del mondo mantengono delle flotte di rompighiaccio le cui dimensioni ed importanza continueranno ad aumentare nei prossimi anni e decenni.
Essendo il paese che presenta il tratto di costa più lungo sul versante del Polo Nord ed avendo interessi marittimi e commerciali nella regione che risalgono a secoli fa, non sorprende che la Federazione Russa sia il paese che mantiene la flotta di rompighiaccio più grande e moderna al mondo, con le altre potenze notevolmente distaccate. È anche l'unico paese ad operare rompighiaccio nucleari, navi il cui propulsore garantisce una notevole resistenza e che possono schiacciare il ghiaccio anche mediante l'utilizzo di potenti getti d'acqua calda, per gentile concessione proprio dei reattori.
Attualmente, la flotta di rompighiaccio nucleari della Russia è composta da 4 navi attive e 1 in riserva. Le navi attive includono la “Yamal” e la “50 Let Pobedy” ognuna spinta da due reattori in grado di generare 75.000 hp, e la “Taymyr” e la “Vaygach”, ciascuna dotata di un unico reattore da 50.000 hp. Un quinto rompighiaccio nucleare, la “Sovetskiy Soyuz” è mantenuto in riserva, mentre è a disposizione anche la “Sevmorput”, una nave porta-container a propulsione nucleare dotata di prua e chiglia rompighiaccio e capace di operare sul pack in maniera indipendente.
La flotta di rompighiaccio nucleari è poi completata da cinque rompighiaccio convenzionali “Project 21900” ciascuno alimentato da un propulsore diesel da 30.000 hp.
Per quanto riguarda i piani di potenziamento futuro, l'attuale flotta verrà rinforzata dai nuovi rompighiaccio a propulsione nucleare LK-60Ya “Project 22220”, anch'essi propulsi da due reattori ma con una potenza leggermente superiore rispetto ai loro predecessori (80.000 hp).
Le prime due navi della classe, “Arktika” e “Sibir” (foto), sono già state varate mentre la terza, “Ural” è ancora in costruzione. In totale, la marina russa schiererà 5 unità di questa classe, tutte entro il prossimo decennio.
I rompighiaccio della classe LK-60Ya “Project 22220” saranno seguiti dagli LK-110Ya Lider “Project 10510” che secondo i progettisti dovrebbero vantare non solo una potenza enormemente maggiore (160.000 hp) ma anche una maggiore larghezza, per consentire persino alle navi più grandi di utilizzare il “Passaggio del Nord”. Complessivamente, il piano di espansione approvato dalle alte sfere decisionali della Federazione Russa prevede il varo, entro il 2030 di non meno di 13 navi rompighiaccio di cui 9 saranno a propulsione nucleare. Ciò rappresenterà un'espansione sia quantitativa che qualitativa e costituisce un indicatore palese dell'importanza che l'Artico riveste nella strategia della Russia.
Tuttavia, i piani di espansione della flotta di rompighiaccio rappresentano solamente la classica “punta dell'iceberg” della strategia russa di vincere la corsa per il dominio del Polo Nord. Recentemente, l'alto comando delle forze aeree della Federazione Russa ha annunciato che, entro la fine del 2019, diventeranno operativi due squadroni equipaggiati con i potenti intercettori Mig-31 i quali, a partire dalle basi situate nell'area di Murmansk, verranno permanentemente assegnati al pattugliamento delle aree del l'Oceano Artico rivendicate dalla Russia come parte integrante del proprio territorio.
È importante notare che, con quasi 300 esemplari in servizio presso le forze aeree e le forze aeree della marina, il Mig-31 è uno dei più potenti aerei intercettori al mondo ed è dotato di strumentazioni elettroniche e una panoplia di missili anti-aerei di prima scelta. Non solo, grazie ai programmi di sviluppo e potenziamento portati avanti negli ultimi anni sulle nuove versioni del velivolo, oggi il Mig-31 è in grado di compiere anche missioni anti-radiazioni ed anti-nave, queste ultime utilizzando il micidiale missile Kh-47M2 Kinzhal, armabile sia con testata convenzionale che nucleare.
Anche le truppe demandate alla difesa anti-aerea, quelle per la difesa costiera e le semplici forze di terra sono destinatarie di programmi prioritari di acquisto di nuovi equipaggiamenti specificatamente progettati per l'utilizzo nelle aree artiche. In particolare, le forze della difesa anti-aerea stanno ricevendo una nuova versione del sistema anti-aereo 9K330 Tor, la M2DT, detta anche “Snow Tor” ed una nuova versione (la SA) del suo “cugino” più piccolo, il Pantsir, appositamente studiate per operare nelle proibitive condizioni climatiche dell'estremo nord russo.
Nel corso delle esercitazioni susseguitesi negli ultimi 4 anni, le forze armate russe hanno poi rischierato temporaneamente in zona anche i sistemi anti-aerei S-400 e i sistemi a doppio uso (anti-nave e terreste) K-300P Bastion-P.
Un altro elemento da prendere in considerazione, al di là degli arsenali sopra citati è poi lo sforzo logistico ed infrastrutturale. Già da tempo le autorità centrali avevano iniziato a ricostruire ed ammodernare l'esteso network di basi un tempo create dall'Unione Sovietica nell'area artica a sostegno di un eventuale sforzo militare in caso di un nuovo conflitto mondiale, ma ultimamente si è andato oltre. Negli ultimi 6 anni, la Russia ha infatti inaugurato nell'area artica non meno di 475 nuove installazioni militari di tutti i tipi, dalle più piccole alle più grandi. La differenza con il periodo sovietico però è data dal fatto che, mentre le basi artiche sovietiche erano essenzialmente dei “punti d'appoggio” ed in molti casi presentavano solamente le strutture indispensabili da “popolare” solamente in caso di esercitazioni o conflitto armato, le nuove strutture create ultimamente o in via di costruzione sono a tutti gli effetti basi permanenti ad alta prontezza operativa. Una di queste è una grande base nuova di zecca da poco inaugurata sull'isola Kotelny (situata geograficamente assai più vicino all'Alaska che non a Mosca stessa!) che è dotata di sistemazioni ed alloggi per ospitare in maniera permanente almeno 250 uomini dotati di vettovagliamenti e dotazioni energetiche per operare un intero anno senza bisogno di alcun tipo di supporto esterno. Già tre basi di questo tipo sono pienamente in funzione, ed altre seguiranno nei prossimi anni.
Appare dunque ovvio che la Russia sia impegnata in uno sforzo di lungo periodo per guadagnare nell'area artica una posizione di forza che i suoi avversari non possano scalfire se non a prezzo dello scoppio di una crisi di larga scala dagli esiti imprevedibili.
Quando la leadership del Cremlino giudicherà che l'equilibro di potenza nell'area artica si sarà definitivamente modificato a proprio vantaggio allora potrà compiere ufficialmente la mossa di annettere unilateralmente 1,2 milioni di chilometri quadrati di superficie artica prospicienti le coste settentrionali russe e, in tal modo, otterrà non solo il controllo delle risorse energetiche e di altra natura ivi localizzate, ma si garantirà anche il dominio incontrastato delle rotte commerciali del “Grande Nord” da e verso l'Europa e la Cina.
Foto: Cremlino / MoD Fed. russa / web