Cerchi le parole chiave: “Piano B Savona” su Google e ti rendi conto che emergono cinque milioni di risultati. Per capirci, più o meno quanto “Palio di Siena” e “Alfa Romeo Alfetta”: abbastanza per dire che è nato un fenomeno mediatico e che la gente ne continua a discutere anche se il presidente Sergio Mattarella ha spostato il professor Paolo Savona dal potenziale ruolo di super ministro dell’economia al ruolo effettivo di responsabile dei rapporti con l’Europa. Già, un po’ come passare da direttore delle risorse umane nell’azienda dove lavora il tuo ex infido a addetto allo svuotamento dei cestini nell’ufficio di lui. Non immaginiamo entusiasta l’ex ministro del governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi…
Il lettore perdonerà la facezia di chi scrive. Il fatto è che noi il famigerato Piano B l’abbiamo letto eccome. Ci è parso serio, ma non ci ha affascinato: non è nato come manifesto politico ma è stato vergato in modo molto articolato e ricco di spunti per rispondere in anticipo a moltissime obiezioni tecnico-economiche. Per questo, alla fine finisce per sembrare un po’ “indigesto” per chi lo affronta con lo scopo di immaginarselo in moto, non solo statico su carta. Non intendiamo farne una analisi approfondita, che ci riserviamo magari per il mese di agosto, allo scopo di offrire ai lettori “da spiaggia” qualcosa di (forse) gradito. Ci piace, come detto, provare a girare la chiave, a mettere in moto il Piano B. Con stupore, ci accorgiamo - e tra poche righe vi spiegheremo come mai - che non parte, non si avvia: nemmeno scoppietta. Proprio, fa scena muta, come la prima autovettura prodotta in Turchia molti decenni fa, che al momento dell’inaugurazione non volle saperne di accendersi. Ci sorge il dubbio che sia un po’ come certe invenzioni di Leonardo da Vinci: magari Paolo Savona - come spesso faceva il genio rinascimentale - ha truccato il progetto per non farlo copiare ai “rivali” e non ha commesso qualche errore madornale. Chi scrive lascia al lettore la conclusione, mentre prova a trovare il trucco o l’errore che blocca la macchina del Piano B.
A noi pare di trovarlo nella slide 31 (immagine seguente) giacché altre slide simili in realtà sono pura teoria e tentativo di giustificare l’azione: la slide 31 prevede i primi passi veri, da compiere, a partire dal primo, a dir poco ingenuo: “preavvertire gli altri governi… con minimo anticipo” dell’intenzione di “rimanere all’interno dell’UE…sforando i vincoli dei trattati” per poi “lasciare la zona euro in fretta” facendo “dichiarazioni amichevoli”. Ecco il busillis: il minimo preavviso. Ci perdoni il pregiatissimo professore, ma stentiamo a trovare un politico nella intera storia nazionale (men che mai nel quadro presente) che si assuma l’onere (o onore, se sovranista) di fare questa serie di comunicazioni inutili e bizzarre. Ma mettiamo anche che un politico disponibile si trovi - o lo si convinca - e che se ne faccia l’ambasciatore di queste comunicazioni fantozziane (“onoreremo gli impegni per quanto è possibile…”). Bene, sono le dieci di sera di un venerdì e le borse sono chiuse: informiamo l’Europa e il mondo che stiamo per uscire dall’Euro, con tutte le “garanzie” verbali di cui sopra e facendo spergiuri di fedeltà all’Unione Europea. Quale reazione c’è da aspettarsi? Qualcuno crede seriamente che il lunedì mattina il presidente del consiglio italiano si potrà sedere - più o meno serenamente - al tavolo insieme con uno o tutti i leader dell’Unione come se niente sia accaduto? Se qualcuno lo pensa, i fatti gli cadranno addosso come macigni: mentre ci prepariamo a rilasciare dichiarazioni amichevoli, quello che ci accadrà sarà subire l’ostracismo e l’isolamento più duri visti in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale: in poche parole, ci troveremo circondati da un cordone sanitario - politico, economico e diplomatico - come è successo già durante e dopo la Guerra di Abissinia. Sì, perché saremo, volenti o no, di fatto e di diritto fuori dall’Unione Europea e a rivestire i panni del Gano, il traditore dell’Impero: non esistendo una clausola per l’uscita dall’Eurozona, automaticamente scivoleremo fuori da tutti i trattati costitutivi della struttura europea, a parte forse (e inutilmente1) Schengen, la NATO e l’OSCE. Insomma, niente più libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone. E tutto questo non come prodotto di un negoziato, più o meno aspro, con Bruxelles e le altre capitali, ma dalla sera alla mattina, frutto di una decisione unilaterale “in fretta” seguita da “dichiarazioni amichevoli”.
Tolto di mezzo questo tassello, la macchina del Piano B comincia effettivamente a funzionare. Chi scrive vuol mostrarvi i suoi primi passi, chiedendo al lettore di provare a immergercisi per quello che è: imprenditore, studente, militare di carriera, disoccupato.
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Il professor Savona non esclude il default, anzi a tratti sembra auspicarlo per liberare il Paese dal peso e dai lacci di 1.900 miliardi di Euro di debiti. Peccato che per quasi il 60% il nostro debito sia detenuto da famiglie e investitori italiani, oltre che dalla Banca d’Italia (a sua volta perno del sistema bancario nazionale). Delle due l’una: o qualcuno pensa a un “fallimento controllato” con gli investitori nazionali pagati in Nuova Lira2 - e col conseguente fallimento persino dei maggiori istituti di credito nostrani oberati da miliardi e miliardi di titoli “intossicati” dal cambio della valuta - o effettivamente si considera il default un modo per “scontare” i debiti e ripartire. In questi e in altri scenari, pare evidente che un Paese fallito - e politicamente ridotto a livello dell’Iran o della Bielorussia a dir poco - non potrà accedere ai mercati internazionali per farsi finanziare i piani di spesa: va da sé che l’imposizione fiscale dovrà salire in modo spaventoso e si dovrà valutare l’ipotesi di continuare a pagare il debito in Euro senza diventare insolventi. Proprio un bell’inizio… Ma non è finita qui!
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Già, perché - mentre la macchina del Piano B avanza - ci sono da sfamare e da alloggiare circa due milioni di profughi che si sono riversati sul territorio italiano nel giro di poche settimane. Il lettore ha frainteso se pensa ai falsi rifugiati provenienti dalla Libia: sono i nostri concittadini che abitano - sotto la protezione dei trattati europei - all’interno dell’Unione. Si tratta di cuochi e camerieri, studenti e imprenditori, operai e professionisti che lavorano o fanno affari in giro per l’Europa a 27 grazie ai vantaggi dei trattati. In poco tempo, come successo ai tedeschi della Slesia e dei Sudeti o ai polacchi di Leopoli, si troveranno scaraventati in Patria nell’ora più dura: e pensare che erano andati in giro per l’Europa senza frontiere a cercare fortuna e successo! Al di là dello shock, saranno tutti “poveri cristi” a cui dare un tetto e del cibo: a immaginarseli costare 70 euro al giorno - il doppio dei suddetti richiedenti asilo - si arriverebbe alla bella cifra di 105 miliardi in due anni. In Vecchie Lire, sono quasi 210 mila miliardi: un bel conto, eh?
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Ma non saranno le imprese a pagarlo: a parte la scomparsa delle sinergie e delle opportunità offerte loro dal mercato unico, i loro investimenti in giro per l’Europa diventeranno - insieme alle proprietà dello Stato all’estero - oggetto di espropriazione per pagare i debiti e le pendenze vere o presunte lasciate dall’Italia al momento dello strappo.
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Già, il momento dello strappo... Vi immaginate il modo in cui un Paese modello di organizzazione come il nostro gestirà gli interessi dei nostri concittadini che si trovano all’estero per vacanza o per lavoro al momento dell’uscita italiana dall’Euro? Pensate al povero ragionier Brambilla in visita a una fiera in Germania, che paga con carta di credito, che viaggia dall’operosa Lombardia con la sua auto e che usa la carta d’identità italiana all’estero: siete sicuri che consolati e ambasciate, se il nostro personale diplomatico non sarà espulso seduta stante, gli offriranno protezione sufficiente?
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Sì, perché la posizione politico-diplomatica dell’Italia, mentre avanza il Piano B, fa via via sempre più scomoda: all’improvviso fuori dall’Unione, esclusa dai mercati e dalle libertà che ne conseguono, l’Italia ha 26 nemici in Europa e un network di amici tutto da costruire. La Russia di Vladimir Putin ci darà una mano comprando massicciamente il nostro debito? Anche se sarà così, la cosa va costruita e ha un costo. Ma soprattutto presenta dei limiti importanti: chi scrive dubita che Mosca potrà sottoscrivere più di 100 miliardi di Euro di titoli e sicuramente non li vorrà pagabili in Nuove Lire, ma in una valuta “seria”. Ci mancherebbe altro… Lo stesso vale per l’Arabia saudita (o il Qatar), la Cina e gli Stati Uniti. Poi, perché tutti questi soggetti dovrebbero inimicarsi Berlino e Parigi solo per compiacere Roma? Vi pare che a livello internazionale si regalino favori?
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Sì, nessuno compra i titoli in Nuova Lira, perché la neonata valuta non è proprio una moneta di successo almeno all’inizio. Secondo il partito anti-Euro, di cui il professor Savona non è esponente, scatterà a questo punto una svalutazione competitiva e noi potremo vendere le nostre merci a prezzi più competitivi. Errori di calcolo simili dimostrano che effettivamente le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni! A parte il paradosso che in Italia produciamo soprattutto beni e servizi premium e di lusso per cui, per definizione, il prezzo non è fattore determinante, resta la domanda: a chi li venderemo, dato che i nostri ex soci europei rappresentano il 60% dei nostri clienti? E davvero ci permetteranno di vendere Prada e Giorgio Armani alla metà del prezzo di Vuitton e Givenchy? Forse nessuno ha sentito parlare di dazi per impedire il dumping?
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Probabilmente, Prada e Giorgio Armani nemmeno saranno interessati dalla crisi, a parte il danno d’immagine: già, perché le maggiori imprese a quel punto fuggiranno all’estero. Ricordate la fuga dalla Catalogna nei giorni dell’indipendenza fallimentare?
Ci fermiamo qui. Il caso catalano scende sul Piano B come un monito: certi sogni a volte si trasformano in incubi. E certi risvegli sono molto brutti.
1 Perché saremo molto probabilmente sospesi da tutti quanti su richiesta dei partner europei.
2 A fronte di una emissione massiccia da oltre mille miliardi, si potrebbero tranquillamente pagare i debiti in figurine dei calciatori o in banconote del Monopoly: il valore della moneta emessa e offerta ai poveri creditori italiani sarebbe più o meno quello della carta usata per stamparla.