Il senso delle azioni geopolitiche di Donald Trump dopo le elezioni di “mid-term”

(di Andrea Gaspardo)
07/01/19

Martedì 6 novembre 2018, si sono svolte negli Stati Uniti d'America le prime “Elezioni di Metà Mandato”, le cosiddette “mid-term elections”, dell'era Tump. Ad essere in palio erano 35 su 100 seggi del Senato e tutti e 435 i seggi della Camera dei Rappresentati. Contestualmente, in 39 tra stati e territori si sono tenute le elezioni per nominare altrettanti governatori.

Sebbene i risultati di tali elezioni siano noti e siano ormai stati ampiamente assimilati dall'opinione pubblica, sia in patria che all'estero, è necessario qui soffermarci sugli effetti di medio-lungo periodo, negli scenari geopolitici sia interni che esteri, che i risultati di tali elezioni potrebbero avere sull'operato del presidente Donald John Trump.

Come è noto ai più, le politiche di medio periodo di tutti gli inquilini della Casa Bianca sono sempre state calibrate in un'ottica di garantirne la rielezione. Per Trump, tale necessità assume una dimensione addirittura “vitale”. Non bisogna dimenticare che il presidente attualmente in carica è al centro di numerose inchieste, tra le quali spicca il famigerato “Russia-gate”. Le implicazioni di tale scandalo, una volta che fosse acclarato oltre ogni ragionevole dubbio sarebbero immense tanto da paventare l'impeachment e l'arresto di Trump per “collusione con una potenza straniera nemica”. In pratica però, nonostante le elezioni di “mid-term” abbiano consegnato la Camera dei Rappresentanti ai Democratici, al Senato i Repubblicani sono riusciti a tenere botta e persino a rafforzare la propria posizione; tale “spartizione” delle camere del Congresso impedisce qualsiasi possibilità di impeachment. Non solo, rileggendo con attenzione la storia degli Stati Uniti, è possibile realizzare che, a tutt'oggi, nessun presidente sia mai stato defenestrato tramite impeachment.

Ciò che Trump rischia veramente, pertanto, è di venire processato e condannato solamente dopo la fine del suo mandato presidenziale, quando non potrà più godere della “protezione” garantitagli dall'importanza della carica stessa che ricopre. Ecco perché Trump ha già iniziato ad “accostarsi” ai temi della prossima campagna elettorale del 2020. Se egli dovesse riuscire nell'impresa di riconquistare il controllo dell'intero Congresso e se la maggioranza qualificata dei singoli stati fosse guidata da governatori repubblicani, Trump potrebbe persino essere tentati di lanciare una riforma costituzionale al fine di abolire il limite dei due mandati presidenziali, sperando di rimanere al potere anche oltre il 2024 ed evitare così di fare i conti con la giustizia. Sebbene tale scenario possa sembrare estremo, nondimeno sarebbe un grave errore quello di sottovalutare “l'istinto di sopravvivenza” del presidente in carica, così come la sua spregiudicatezza. Ovviamente, per poter ottenere tutti questi obiettivi ideali, Trump necessita di ampliare la sua base di consenso elettorale, in una maniera ancora più grande rispetto alle elezioni del 2016. Possiamo dedurre quindi che, mentre in campo economico è possibile assistere ad un moltiplicarsi di azioni di pressione sulla Federal Reserve affinché inizi una massiccia operazione di “stimolo all'economia”, nel capo geopolitico, Trump cercherà in ogni modo, al di là della sua spesse volte disturbante retorica bellicista, di evitare che gli Stati Uniti rimangano coinvolti in qualche conflitto armato di vaste proporzioni o crisi internazionale dagli esiti imprevedibili. Semmai, nell'ottica dell'inquilino della Casa Bianca e di parte dei suoi consiglieri, è necessario che gli Stati Uniti affrontino un processo serio di “rimodulazione” della propria presenza nei vari teatri operativi della “scacchiera mondiale”, specialmente in luoghi dal valore strategico secondario come l'Africa o, per certi versi, il Medio Oriente stesso.

Se questo parziale “disimpegno” dal mondo avrà una ricaduta positiva sui ribilanciamenti globali, lo potremo sapere solamente con il tempo.

(foto: U.S. Navy)