Nel corso di tutta la durata della "guerra civile siriana", la Turchia è stata oggetto di un pesante scrutinio internazionale, sia a livello governativo che di opinione pubblica, per la sua presunta collaborazione con l'ISIS. Le pesanti prove indiziarie raccolte, soprattutto dal 2015 in avanti, di una silenziosa collusione, quando non di un vero e proprio appoggio, da parte dello “stato profondo” turco, o di una parte di esso, nei confronti di quella che è diventata la più pericolosa organizzazione terroristica internazionale, non hanno comunque impedito che la leadership politica del paese potesse partecipare da comprimario attore al processo diplomatico relativo alla sistemazione della situazione politico-militare nei vicini meridionali (Siria ed Iraq) anche al fine di tutelare gli interessi nazionali turchi nell'area mediorientale.
Più recentemente, per mezzo del portale di informazione Suriye Gündemi, Ankara ha iniziato a diffondere dati e statistiche, aggiornate al 31 dicembre 2018, relative alla “sua” guerra contro l'ISIS, allo scopo di presentare sotto una luce positiva le iniziative militari e di sicurezza turche in patria ed all'estero contro la suddetta organizzazione terroristica. In particolare, dal 2013 ad oggi, l'ISIS sarebbe stata ritenuta responsabile di aver portato a compimento 20 attentati terroristici sul territorio della Turchia che avrebbero provocato oltre 300 morti. In risposta, con una serie di migliaia di operazioni antiterrorismo portate avanti in tutto il paese da polizia, gendarmeria e forze armate, le autorità turche avrebbero arrestato 4.378 membri o simpatizzanti dell'ISIS mentre altri 1.000 sono stati confinati in centri di rimpatrio in attesa di essere trasferiti nei paesi d'origine. Non solo: 8.526 sospetti terroristi o loro simpatizzanti sono stati permanentemente banditi dal mettere piede nel paese, mentre sono state oltre 61.000 le persone respinte alle frontiere per sospetta appartenenza o collusione con l'ISIS.
La finalità e la tempistica di tale iniziativa, però, hanno un che di sospetto. Per anni infatti, la Turchia si è rifiutata di condividere con gli altri partner della cosiddetta “coalizione internazionale” i dati del proprio “impegno” contro l'ISIS. Ora, tale iniziativa avrebbe tutti i connotati di una “operazione simpatia” disegnata apposta per attirare le grazie degli smemorati e preparare il terreno ad altre azioni turche nel prossimo futuro.
Contestualmente, Suriye Gündemi ha anche pubblicato il primo report dettagliato sull'Operazione Scudo dell'Eufrate, l'operazione portata avanti dalle forze armate turche e dai loro ausiliari arabi locali appartenenti a varie formazioni del cosiddetto “Esercito Libero Siriano”, sia contro le formazioni armate dell'ISIS che contro le forze dei Curdi Siriani, da sempre il vero obiettivo di Ankara. Secondo il suddetto portale d'informazione, l'operazione è durata 217 giorni, dal 24 agosto 2016 al 30 maggio 2017. Nel corso degli scontri, le forze turche ed i loro alleati locali hanno preso il controllo di un'area di 2015 chilometri quadrati “liberando” 243 centri abitati dai “terroristi”. In totale l'operazione ha portato all'eliminazione di oltre 3.000 combattenti nemici (sia membri dell'ISIS che Curdi) al prezzo di 71 morti tra le file dei soldati turchi e oltre 600 tra quelle dell'Esercito Libero Siriano.
Al di là del chiaro intento propagandistico niente affatto celato, ciò che risulta veramente interessante agli occhi di noi Occidentali è il numero relativo agli arresti ed ai respingimenti di sospetti simpatizzanti dell'ISIS. Le notevoli dimensioni del fenomeno, infatti, bastano da sole a confermare la tesi secondo la quale, nel corso della "guerra civile siriana", la Turchia si sia trasformata nella più grande “retrovia ed autostrada” jihadista della storia recente, tenendo a mente che, i dati sopra citati, si riferiscono unicamente ai jihadisti dell'ISIS e non a quelli di altri gruppi.
Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri