Facciamo una premessa da rammentare: non di frequente, ma di tanto in tanto è opportuno coltivare un minimo di presunzione che permetta di approfondire aspetti che, per scomodità o intrinseca complessità sconsigliano, per pavidità o impreparazione, valutazioni analitiche oggettivamente abrasive; spesso, proprio l’evitare un gelido bagno di realismo è unicamente funzionale al mantenimento di agevoli status quo, del tutto inutili per le valutazioni delle contingenze reali.
Nel pomeriggio dell’11 giugno, presso la Sede romana ANSA di Via della Dataria, si è tenuto un incontro, promosso dal Ce.S.I., che intendeva riproporre e rilanciare un think blue, una sorta di motore di ricerca finalizzato a riportare all’attenzione gli aspetti marittimi nazionali, tema già dibattuto nel maggio del 2018 presso l’Accademia Navale dagli stessi attori presenti un anno dopo.
La cronaca, rilanciata da diverse testate, ha correttamente e succintamente riportato quanto è stato detto; peccato però essersi fermati su quel limes: è vero, hic sunt leones, ma come riuscire a trarre spunti e soprattutto soluzioni senza avere il coraggio di oltrepassare la linea della sicurezza?
Che in Italia esista un problema connesso alla marittimità è vero; che si tratti di un aspetto ignorato è ugualmente palmare. La domanda che probabilmente dovremmo porci però è un’altra: si ha la capacità di cogliere l’attimo marittimo comprendendone i perché? Siamo presuntuosamente sinceri: no. Rileggendo con uno spirito un po' più attento e critico il report dell’anno scorso, ci si sarebbe potuti avvedere di diversi spunti che, probabilmente, avrebbero confermato le convinzioni di Tancredi, il nipote del Principe di Salina: “..se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Che il mare sia fondamentale per l’Italia e per la sua economia è fatto acclarato; che l’Italia non lo capisca lo è altrettanto, malgrado il valore dei beni/servizi prodotti dalle attività marittime, il cui insieme è pari a circa il 2% del PIL. Commettiamo il primo peccato di presunzione: bisogna talvolta rileggere le pagine già scritte per poterne attualizzare e proiettare nel futuro la portata dei contenuti. È ormai da tempo che si è – concettualmente – ritenuto fondamentale ricostituire un’istituzione ad hoc che, a similitudine del Segretariato del Mare francese, possa ricomporre la parcellizzazione delle competenze successiva alla fine del Ministero della Marina Mercantile; peccato che, malgrado iniziative parlamentari specificamente indirizzate, non si sia approdati a nulla. Chiediamoci il perché, chiediamoci quali possano essere i motivi per cui alle provocazioni concettuali generate dai dibattiti, seguano di rado conseguenze effettive; probabilmente, almeno in questo caso, mancano sia cultura tecnica, politica ed economica sia, da parte dell’apparato italiano, la facoltà di concepire l’esistenza di un sistema più complesso che sussuma ogni singolo aspetto della navalità militare e della marittimità mercantile riconducendolo ad unità. Ogni elemento andrebbe valutato nella sua specifica singolarità per essere poi proiettato nel suo contesto generale di appartenenza; armatorialità, portualità, gestione logistica e delle risorse economiche, organizzazione della sicurezza, tutto concorre alla definizione di un quadro unitario straordinariamente complesso ma che, in ogni caso, contribuisce alla realizzazione di quello che viene definito sistema Paese. Inevitabile dubitare della comprensione della sua importanza, se è vero che i progetti normativi giacciono in svariati dimenticatoi, e che le singole componenti del sistema spesso cercano autonomamente una sponda politica capace di garantire la soddisfazione delle proprie esigenze peculiari.
Secondo peccato di presunzione: parlare solo di porti e non di superficie marittima dà l’impressione che non si riesca ad intendere quale sia (o debba essere) la rete logistica ed infrastrutturale a supporto del sistema, aspetto questo che, per un Paese interamente immerso nel mare, costituisce un inevitabile handicap.
Terzo peccato (capitale) di presunzione: come si può permettere che la Marina Militare, Forza Armata dello Stato e dunque sua diretta emanazione, venga coinvolta in contestualizzazioni politiche che non possono e non devono appartenerle?
In sintesi: a fronte degli stessi attori, se mancano sensibilità politica, una solida base giuridica e geopolitica, e se le provocazioni non sortiscono effetto, cosa potrà cambiare, secondo il Principe di Salina?
Essere sul mare
Assodato che il nostro Paese non è di mare ma sul mare, e che la geoeconomia dei trasporti marittimi continua a rivestire un’importanza capitale specialmente per quei soggetti politici votati ad un’economia di trasformazione come la nostra, risalta la rilevanza del concetto di Mediterraneo allargato, principio proprio della Marina Militare, la Forza Armata naturalmente più vicina e sensibile alle evoluzioni geostrategiche nazionali, data la sua proiezione su tre macro aree: difesa e sicurezza marittima, impegno internazionale e sviluppo capacitivo. Data la lentezza della risposta politica, risalta ancora di più la necessità di un’istituzione che riprenda saldamente il controllo del cluster marittimo, in sinergia con il comparto produttivo della Difesa, secondo un criterio ben definito di attribuzione dei ruoli: una Marina in possesso di una flotta efficiente è espressione di volitività, carattere quanto mai utile in un momento in cui la prevalenza continentale franco tedesca può mettere in difficoltà un lecito protagonismo italiano in ambito regionale.
Nel contesto economico e commerciale risalta dunque, ancora una volta, una palese difficoltà nel giungere ad una coesione e ad un’unità d’intenti tra pubblico e privato che, in termini di guerra economico - commerciale, permetta di raggiungere gli obiettivi nazionali ottimizzando le risorse a disposizione, tenendo presente che ormai ogni singolo Paese non tratta più di economia nazionale, ma di finanza; il fare sistema, invocato da Confitarma e Federpesca, rappresentanti di settori economici in crisi, non può dunque realizzarsi senza che ci sia un’adeguata preparazione preventiva, ovvero senza una programmazione ed una preparazione di lungo termine ed a tutti i livelli come avvenuto in Francia secondo la letteratura prodotta dalla Ecole de Guerre Economique.
Ecco che torna di scena la geopolitica, richiamata durante il dibattito ma mai effettivamente applicata analiticamente nei suoi aspetti, troppo trasversali e complessi eppure potenzialmente in grado, se ben interpretati, di fornire un quadro strategico complessivo funzionale alle esigenze nazionali, fattore questo di rara difficoltà nell’era globalizzante e marchianamente semplificatrice di Google. La domanda potrebbe quindi essere questa: abbiamo un sistema Stato capace di ben interpretare la fluida dinamica geopolitica del mare?
Risorse e competitività
La Marina Militare, è immagine di una realtà trascurata specie quando, in quanto riflesso del potere marittimo dello Stato, deve riuscire nell’impresa della pianificazione di lungo termine; il tempo trascorso dall’incontro livornese del 2018, in questo senso, è indicativo di un esiguo interesse politico, tanto più stigmatizzabile quanto più forte è stata l’accelerazione impressa dalla Francia alla sua Blue Economy.
L’impiego delle Forze Navali, votato a garantire il libero (e strategico) uso delle SLOCs1, non è puro esercizio di stile, ma deve tenere presente sia la situazione complessiva d’area, dove la stabilità dei soggetti politici vicini costituisce una garanzia di sicurezza a fattor comune specie quando sostenuta da azioni di capacity building, sia la rilevanza del lawfare, unitamente al costante rispetto del diritto consuetudinario, per cui l’obbligo di porre in salvo naufraghi dovrebbe essere scevro da considerazioni terminologiche di parte.
L’importanza dell’azione securitaria, così strettamente vincolata ad un cluster fondamentale, potenzialmente resiliente ma trascurato, non può far quindi dimenticare che, nel complesso del sistema Paese, uno strumento operativo strategico e competitivo, è comunque soggetto a contrazioni di risorse in termini di uomini e mezzi, laddove invece diverse Marine Nord Africane si stanno dotando di mezzi più potenti e performanti specie per quanto concerne la componente subacquea.
Gli elementi di geopolitica, infine, sempre se ben analizzati (punto dolente), dovrebbero agevolare il decisore politico – di qualunque colorazione ed orientamento esso sia – nel valutare la situazione mediterranea alla luce dell’uscita di scena europea del Regno Unito, aspetto questo che non può che limitare a Francia ed Italia il novero dei possibili egemoni regionali in grado di proiettare potenza aeronavale. La domanda che ci si potrebbe porre è dunque quella che riguarda, ancora una volta, l’effettiva esistenza di sensibilità e lungimiranza politiche, doti auspicabilmente volte alla realizzazione di progetti di ampio respiro finalizzati al conseguimento del bene nazionale.
Geopolitica ed aree allargate
La centralità della rilevanza della marittimità in ambito geopolitico, nel nostro Paese, è attestata dalla storia, che ha sempre visto lo sviluppo economico e sociale come strettamente dipendente dalla possibilità di accesso alle risorse marittime. Laddove politicamente si coltivasse l’ambizione di tenere salda una posizione egemone, sarebbe necessario sia curare uno sviluppo infrastrutturale e logistico tale da assicurare trasporti rapidi ed economici tra le aree nazionali ed europee, sia preventivare la costituzione di un’istituzione dedicata alla governance del mare, ed in grado di porre in sinergia politica ed economia. Gli aspetti controversi sono tuttavia molti: a fronte del costante e significativo volume di scambi commerciali marittimi, il trend marittimo italiano punta al ribasso, come testimoniato dall’attività portuale, indicatrice di un momento di crisi di indefinibile durata.
Allo stato dell’arte, non è ancora possibile quantificare i vantaggi effettivi determinati dall’adesione italiana alla BRI (Belt and Road Initiative, ndr); quel che si può però fin d’ora rilevare, è la valenza politica ed imperiale dell’iniziativa cinese sul nostro territorio, una rilevanza che ha posto in sofferenza la lealtà atlantica verso l’alleato egemone, e che non ha trovato analoghi riscontri nelle paritetiche operazioni compiute dagli altri partner europei, vantaggiosamente coinvolti dal punto di vista finanziario ma non danneggiati sotto quello strettamente politico.
Al netto dei santi e degli eroi, siamo ancora un popolo di navigatori? Se le classi dirigenti italiane, ormai da tempo, sono riuscite a trascurare un aspetto così rilevante, come è possibile pensare che la Marina, da sola, possa instillare ed accendere interessi così complessi in giovani generazioni completamente avulse da queste realtà non agevolmente contestualizzabili, e dove le minacce ibride ed asimmetriche, mutevoli e sfuggenti, si affiancano a quelle convenzionali?
I recenti eventi occorsi nel Golfo dell’Oman ed un ipotizzabile ma non auspicabile blocco del Canale di Suez, riportano al già richiamato principio di Mediterraneo allargato cui sembrano interessati solo gli addetti ai lavori. Il Mediterraneo funge non solo da collegamento tra tre continenti, ma rimane sede di crisi potenzialmente globali, e la marginalizzazione della sua rilevanza può portare a conseguenze devastanti in ambito economico nazionale.
Resta da appurare se l’Italia ha ben chiaro il concetto per rivestire un ruolo proattivo e non meramente passivo, quesito questo di particolare complessità.
1 Sea lines of communications
Foto: autore / Marine nationale / U.S. Navy / presidenza del consiglio dei ministri