Le crisi siro-libiche presentano delle analogie che le rendono affini; interessano lo stesso (instabile) teatro, e hanno entrambe origine con le Primavere Arabe del 2011. Al di là delle specificità dei singoli scenari, si è avuto modo di assistere al riposizionamento d’area di potenze datate e nuove, regionali e non. Entrambi i casi hanno posto il consesso internazionale di fronte alle problematiche inerenti al rispetto delle norme di diritto internazionale; si è dunque assistito al confronto tra il principio di effettività e quello di legittimazione democratica, unitamente all’aspetto consuetudinario del riconoscimento - o meno - dei soggetti di diritto, sia attraverso l’opera di organizzazioni internazionali, sia attraverso il placet del Consiglio di Sicurezza, come nel caso del governo Sarraj in Libia.
Altri elementi da considerare hanno riguardato il diritto alla legittima difesa individuale e collettiva, specialmente quando messa in relazione ad attività provenienti da Non State Actors come l’ISIS, e la natura ibrida dei conflitti che, in particolare in Siria, ha riproposto la querelle relativa al riconoscimento sia del diritto all’autodeterminazione popolare, sia del principio del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriali. A ciò si è aggiunta la necessità di trovare un punto di equilibrio tra le statuite e nuove responsabilità attinenti alla protezione della popolazione civile, ed agli obblighi mutuati dalle regole consolidate, riguardanti il divieto del ricorso unilaterale all’uso della forza, il principio di non intervento, la salvaguardia della sovranità.
I due conflitti hanno dunque testimoniato lo stato di crisi in cui versano le NU, incapaci di affrontare situazioni completamente diverse da quelle contestualizzate dal bipolarismo della Guerra Fredda; l’azione internazionale, rovinosa in Libia, si è scontrata, in Siria, sia con i veti russi, capaci tuttavia di dare vita a negoziati regionali coinvolgenti, ad Astana, Turchia ed Iran, sia con quelli ritorsivi americani, ottenendo quale unico risultato l’impasse dei meccanismi ONU, incapaci di produrre reazioni risolutive. Gli inevitabili e successivi interventi unilaterali per motivi umanitari, ancorché ammantati di nobili intenti, hanno aperto poi di fatto la strada ad azioni legalmente insostenibili eppure comunque condotte, e che hanno dato vita ad una prassi consolidata e senza alcun avallo di diritto collegialmente condiviso.
Data per scontata la crisi irreversibile del modello politico post 1945, le relazioni internazionali hanno stentato a ritrovare degli equilibri accettabili, e hanno così sanzionato il tramonto del sogno kelseniano e costituzionalista del diritto internazionale; d’altra parte vanno tuttavia segnalati i nuovi valori relativi al riconoscimento dei diritti umani sanciti dalle NU, valori che hanno dato vita a nuovi principi generatori sia di obblighi inediti, sia di responsabilità erga omnes in termini di coattività, talvolta in conflitto sia con la concezione statuale classica, sia con la staticità delle NU stesse. La crisi siriana ha sottolineato la difficoltà, in ambito ONU, di garantire questi nuovi principi, specie quando la concretizzazione degli assunti di base ha contrastato con gli interessi dei singoli Stati, in particolare di quelli facenti parte del Consiglio di Sicurezza. Ciò che ha rilevato è stato l’apparente inizio di una fase storica in cui vecchi e nuovi mores non sono riusciti a conciliarsi, dando comunque luogo all’auspicio che il cielo degli ideali riesca a trovare un punto di incontro con la concretezza della realtà, innescando una revisione dell’impianto istituzionale internazionalistico.
Foto: United Nations