Trenta in Libano, Moavero Milanesi al Cairo: due missioni per gli interessi strategici dell’Italia

(di David Rossi)
07/08/18

A chi scrive è piaciuto vedere il ministro Elisabetta Trenta prendere un tè col primo ministro libanese Saad Hariri a Beirut. Nei Paesi arabi l’ospitalità non è solo forma, ma sostanza: a chi si occupa di cose mediorientali non era sfuggito che non erano state diffuse foto “conviviali” durante le brevi visite del vicepremier Matteo Salvini a Libia e Egitto. Con la scusa dell’insediamento del generale Stefano Del Col al comando della missione UNIFIL, al posto dell’omologo irlandese Michael Beary, l’Italia ha - diciamolo: finalmente! - detto con serietà e chiarezza quella che è la sua posizione circa gli equilibri nella regione, al di là del pigolare chiassoso del teatrino della politica. Lo ha fatto attraverso la persona, di aspetto insieme duro e materno, del ministro della Difesa e del capo di stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, incontrando i vertici della politica e della difesa del Paese dei cedri, scampato più per prudenza che per fortuna all’attrazione del conflitto siriano e ai tentativi, non ultimo quello saudita nel 2017, di trascinarlo in una nuova guerra internazionale.

Siamo qui per ribadire il nostro impegno per la stabilità della regione” ha detto la Trenta. Il generale Graziano, che i libanesi ancora ricordano ed apprezzano per aver guidato UNIFIL quando era ancora in fase prodromica, ha chiarito ulteriormente il concetto: “Le Forze armate libanesi rivestono un ruolo fondamentale per garantire il quadro istituzionale e la stabilità del Libano sia sul fronte interno sia nei confronti di minacce esterne. Per questo motivo oltre alla consistente partecipazione all’operazione UNIFIL, l’Italia schiera la missione bilaterale MIBIL rivolta all’implementazione di programmi di formazione ed addestramento a favore delle Lebanese Armed Forces”.

Nelle stesse ore il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi era impegnato in una storica missione al Cairo, la prima a questo livello dopo il barbaro e misterioso omicidio del ricercatore dell’Università di Cambridge, Giulio Regeni. Anche il ministro scelto dal presidente Mattarella per guidare la Farnesina ha parlato chiaramente, senza sprecare il tempo a parlare solo di flussi migratori: “L'Italia e l'Egitto condividono la responsabilità geopolitica sulla Libia. Abbiamo concordato su tutti i punti rilevanti sulla situazione libica attuale e guardiamo all'integrità, alla sicurezza, alla pace del Paese e al benessere dei libici e alla loro possibilità di esprimersi in elezioni", ma senza precipitarvisi come suggerito dai francesi. Inutile dire che i due Paesi hanno parlato avendo come convitato di pietra il mega giacimento di gas denominato Zohr, nelle intenzioni di entrambi (ma forse non di tutte le capitali europee) determinante per il futuro energetico e industriale di Italia e Egitto.

Parlare a suocera perché nuora intenda: il messaggio che doveva arrivare era diretto non solo a due elementi chiave della nostra politica estera (da una parte, il Libano e la sua stabilità, dall’altra l’Egitto e le future risorse energetiche comuni), ma anche a quanti, rimasti a Roma, al governo ma anche nel centro-sinistra, progettano rispettivamente di ricavare preziose risorse finanziarie dal taglio dei fondi alle missioni internazionali e di fare campagna elettorale chiedendo la rottura col Cairo per il suddetto caso dell’allievo della professoressa Maha Abdelrahman. Così facendo, una parte della maggioranza e una parte dell’opposizione “gauchiste”, parafrasando una definizione affibbiata ai partiti comunisti di Italia e Francia, darebbero prova di essere sostanzialmente forze politiche nazionaliste… straniere, non al servizio degli interessi strategici dell’Italia.