Le Nazioni Unite si ritirano dalla Repubblica Democratica del Congo

(di Guglielmo Maria Barbetta)
02/03/24

È iniziato ufficialmente il 29 febbraio il ritiro graduale della Missione MONUSCO (Mission de l'Organisation des Nations Unies pour la Stabilisation en République Démocratique du Congo) dall’est della Repubblica Democratica del Congo1.

La Missione di Pace delle Nazioni Unite, avviata nel 2005 con il compito di proteggere i civili e mantenere la stabilità nell'area, ha trasferito il comando delle operazioni alla polizia nazionale congolese, avviando ufficialmente il processo di smobilitazione (da concludersi entro il 31/12/2024)2.

Attualmente, più di 15.000 peace-keepers dell'ONU sono ancora operativi nelle tre province più problematiche della regione: Sud Kivu, Nord Kivu e Ituri3.

La richiesta di ritirare i caschi blu è stata espressa direttamente dal governo congolese e dall’attuale presidente, Felix Tshisekedi. Quest'ultimo, recentemente confermato alla guida del paese dopo un'elezione controversa4, ha criticato aspramente l'operato della missione, evidenziando la sua inefficacia nel contrastare gli oltre 100 gruppi armati che hanno instaurato il caos nell'est del Paese e nell'assicurare la protezione dei civili dalle violenze interne (opinione che sembra, peraltro, ampiamente condivisa dalla popolazione locale).

L’insicurezza della RDC

L’allontanamento dei peace-keepers avviene in un contesto di crescente violenza nelle regioni orientali della R.D.C., epicentro di un conflitto che trova le sue origini già durante la fine del genocidio in Ruanda nel 19945.

Nonostante molteplici accordi di pace abbiano cercato di risolvere il problema, il conflitto persiste soprattutto a causa della presenza dei numerosi gruppi militari (sostenuti, in vari modi, dai paesi limitrofi, primo fra tutti proprio il Ruanda).

Attualmente, si stima che la partenza degli operatori non farà che aumentare l'insicurezza nel Pese (uno dei luoghi più instabili del continente) e c'è il timore che l'assenza delle truppe internazionali crei un vero e proprio vuoto di potere: questo potrebbe rafforzare i gruppi armati e le milizie presenti nella regione, che terrorizzano le popolazioni locali e sfruttano le ricchezze minerarie della zona. La regione, infatti, custodisce più del 70% delle riserve globali di cobalto e di altre risorse cruciali per la c.d. “transizione energetica” (come la bauxite o il coltan)6.

A causa del conflitto, il Congo conta uno dei più alti livelli di sfollati interni al mondo (circa 7 milioni di persone colpite).

Un’altra “Striscia di Gaza”?

Dopo un quarto di secolo di presenza e con un bilancio annuale pari ad oltre un miliardo di dollari (che l’hanno resa la missione di peacekeeping più prolungata e costosa nella storia delle Nazioni Unite), la Missione MONUSCO chiude il suo mandato con l'amaro sapore del fallimento.

Nel corso degli anni, la fragilità del governo di Kinshasa nell'est del paese e il coinvolgimento dei paesi limitrofi nel sostenere alleanze ribelli in continua evoluzione hanno contribuito a creare ciò che le Nazioni Unite definiscono "una delle peggiori crisi umanitarie al mondo". Tuttavia, a differenza di altre crisi, la situazione in Congo attira scarsa attenzione dalla comunità internazionale. Recentemente, è stata la nazionale di calcio a riportare il Congo all'attenzione mondiale, quando prima della semifinale di Coppa d'Africa7, i giocatori sono scesi in campo con una mano sulla bocca e una alla tempia, simulando una pistola.

Nel paese, spesso si paragona la situazione a quella in Ucraina e alla crisi in Medio Oriente, tanto che i canali di Mediacongo hanno definito la provincia del Kivu "la Bande de Gaza africaine oubliée (la Striscia di Gaza africana dimenticata)"8, chiedendosi perché la comunità internazionale non abbia ancora sanzionato il Ruanda.

Al contrario, il 19 febbraio di quest’anno, la Commissione Europea e il governo di Kigali hanno firmato Memorandum of Understanding (ossia un Memorandum d'Intesa) per lo sfruttamento di "materie prime strategiche"9. Nello stesso giorno, a Goma (capoluogo della provincia del Kivu Nord), i residenti hanno bruciato le bandiere francesi e statunitensi in segno di protesta contro l'indifferenza occidentale.