Si chiama “Valle delle fontane” perché ce ne sono 360. Basterebbero in realtà le lacrime delle famiglie che ci abitano per dargli il nome. È una delle località che ha versato il più alto tributo di sangue in questa guerra.
Tra colline addolcite da ulivi e melograni, giungiamo a destinazione. Un semplice portone di metallo divide la strada soleggiata che costeggia la valle da un oceano di dolore. Nidal e Kifah ci stanno aspettando. Sono cordiali ma la loro è calma apparente: quella che arriva dopo una tempesta di emozioni.
Non esiste dolore più grande che perdere un figlio. Loro hanno perso il loro unico.
Ayham era un giovane tenente di 24 anni in servizio a Deir Ezzor: è uno dei “caduti per errore” sotto le bombe americane (ma parteciparono anche altri...). Si trovava da otto mesi in città, assegnato ad un'unità di 400 uomini. 84 di loro, secondo le fonti ufficiali, il 18 settembre scorso sono stati uccisi da aerei della cosiddetta Coalizione anti Isis. Sul corpo restituito alla famiglia erano chiari i colpi di mitragliamento: si sarebbe trattato di un di F-16. Secondo testimoni, l’azione prolungata era stata preceduta da uno sgancio di ordigni in quota.
Il padre indica una foto in alto vicino a quella del figlio. È quella del fratello, lo zio di Ayham, Jihad, un generale dell'esercito ucciso dai curdi con cinque colpi d'arma da fuoco un mese prima ad Al Hasakah, 60 chilometri a nord di Deir Ezzor. Per sfregio il corpo è stato restituito cinque giorni dopo.
Erano in contatto frequentemente. Sapendo della penuria di scorte a Deir Ezzor, il generale mandava parte delle proprie razioni al nipote.
Poco distante dal confine iracheno, Deir Ezzor è praticamente un fortino sull’Eufrate in mezzo al deserto e al nulla mediatico. Un incredibile silenzio di tv e giornali che ignorano qualche migliaio di uomini che resiste da anni a bestie dannate e feroci. Quello che fino ad oggi abbiamo chiamato “Califfato” altro non è che una banda di assassini come ce ne sono altre dai nomi diversi, più o meno presentabili. Grazie all'appoggio militare diretto e indiretto degli Stati Uniti hanno dilaniato e sbranato questo Paese: è una verità scomoda, ma reale e rabbiosa nel dolore di famiglie gentili e innocenti.
Nel racconto serrato e severo manca una voce, quella della madre. Ha ascoltato per tutto il tempo con grande contegno, ma è una diga sul punto di traboccare. Ci è sembrata voler timidamente intervenire un paio di volte. Le chiediamo di parlare.
“Ayham era un ragazzo che non avrebbe ucciso nemmeno un insetto tanto era dolce il suo animo...”, racconta Kifah. “Era il mio unico figlio ma anche il mio migliore amico, il mio confidente. Ci sentivamo quotidianamente e lui cercava sempre di rassicurarmi...”
Le lacrime prendono il sopravvento e tocca al padre proseguire.
“L'ultima telefonata è stata particolare. Era preoccupato e mi ha chiesto perdono per qualsiasi cosa mi potesse aver fatto di male. Per come si comportava Ayham non ce n'era di certo bisogno. Due ore dopo è stato ucciso”.
Anche noi ci commuoviamo. La semplicità e la dignità di queste persone ci fa sentire piccoli e viziati. Rimaniamo zitti per qualche minuto davanti ad una semplice tazza di tè.
Il tempo viene scandito dai grani delle collane di preghiera sciorinati tra le dita.....
Sulla foto che campeggia nella sala c’è il padre del presidente siriano in carica, Hafiz al Assad, il “leone” di Damasco: è stato la Siria in persona per 30 anni.
Chiediamo se con lui le cose sarebbero andate meglio.
“Ogni epoca ha il suo uomo di riferimento. Oggi il presidente è Bashar e lo stimo. Non è colpa sua quanto accade”.
Chiediamo poi al papà di Ayham che miracolo farebbe se potesse.
Sospira e pensa al figlio. Poi trattiene le lacrime e dice con orgoglio tutto arabo
“Farei ritornare la Siria al tempo in cui era un Paese pacifico e prospero: non riesco a capacitarmi di quanto è accaduto…”
Poco distante dall'abitazione, lungo un sentiero in mezzo ad ulivi dal sapore biblico, c'è la tomba di Ayham. È un luogo semplice e particolare. Il silenzio e un odore dolce d’autunno ci inebriano. Il rombo della guerra qui non arriva. Qui non arrivano i numeri, i calcoli, la politica, ma solo dolore. Kifah piange come una madre qualunque. Ora suo figlio è una lastra di marmo, a due passi da casa.
Sale un refolo di vento dalla valle. Un senso di vuoto assurdo e contagioso ci riempie in disparte. Per tutto questo non si trova ragione.
Testo: Giampiero Venturi, Andrea Cucco
Foto: Giorgio Bianchi