La notizia dell’incontro negli Emirati tra il leader libico nominale Al Serraj e il generalissimo della Cirenaica Haftar, apparentemente fa il botto. Dopo anni di guerra civile scaturita dalla guerra mossa a Gheddafi nel 2011, si aprirebbe la possibilità di riparare la frattura che divide la Libia in (almeno) due parti.
Tripoli e Tobruk, sede del Parlamento che ha rifiutato finora il Governo di Unità Nazionale, si sarebbero accordate per organizzare elezioni entro marzo 2018, gettando le basi per un primo accordo politico e per riunificare in una cornice istituzionale la costellazione di gruppi armati che infestano il Paese. Dietro lo squillo di trombe, gli scenari rimangono però pieni di ombre. Innanzitutto c’è da chiarire il valore politico dell’intesa.
Al Serraj e Haftar, secondo fonti diplomatiche, si sono già incontrati in segreto in Egitto in febbraio. La conferma ufficiale non c’è mai stata, ma le prove di dialogo sono state reali da inizio 2017. Due sono stati i passi determinanti per arrivare al faccia a faccia e ad una bozza d’intesa. Il primo è il ruolo di Haftar, messo nell’angolo dagli accordi farlocchi di Skhirat del dicembre 2015, ma in realtà padrone della Libia orientale, con l’aiuto dell’Egitto di Al Sisi. Al di là delle previsioni dell’amministrazione Obama e della UE, non è mai uscito di scena, ma ha anzi rafforzato le sue posizioni sul terreno. Il ritorno della Russia nelle antiche roccaforti africane ha permesso al generale libico di ricevere un incoronamento internazionale, sempre negato dal governo di Tripoli e dai suoi alleati. L’incontro con le autorità russe di gennaio sulla portaerei Kuznetsov, lo ha investito del ruolo di interlocutore ufficiale del Governo di Unità Nazionale.
Il secondo dato importante è l’allontanamento di Trump da Tripoli che nei fatti si è concretizzato in due mosse: presa di distanza degli USA dal groviglio libico (ribadito nell’incontro tra il presidente americano e Gentiloni); raffreddamento del rapporto speciale che Al Serraj ha avuto per più di un anno con l’Occidente. Quest’ultimo punto è il nodo di tutta la questione libica, a cui Difesa Online, su queste pagine, ha dedicato molto spazio.
Al Serraj è un leader più nominale che sostanziale. Nei fatti è ostaggio dei cartelli islamici e islamisti (tra cui spicca la Fratellanza Musulmana) che controllano buona parte della Tripolitania e non gode di un carisma sul territorio paragonabile a quello di Haftar. Ciononostante l’Occidente (Obama e Renzi, a suo tempo impazzivano per lui), lo ha ritenuto in grado di rimettere insieme i pezzi del Paese, garantendogli un futuro unitario. I fatti hanno dimostrato il contrario, mostrando il fallimento dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite, entrate nell’imbuto di Skhirat, la città marocchina dove è stato siglato nel dicembre 2015 l’accordo farlocco sull’unità libica.
I giornali oggi parlano in modo trionfalistico dell’intesa tra i due leader, ma in realtà in queste ore si sta sigillando il fallimento di Skhirat e dei progetti disegnati a Washington e Bruxelles nel 2011. Niente di più, niente di meno. Al Serraj, è però l’unico leader della Libia occidentale che oltre a godere della copertura della sempre utile benedizione ONU, rimane in qualche modo presentabile, facendo da tappo alla deriva islamista ancora possibile in Tripolitania, soprattutto nelle aree remote e in quelle a ridosso dei confini con Tunisia e Algeria.
Già a metà aprile era emerso da fonti ben informate a Washington, l’intenzione di Trump di organizzare un vertice tra Haftar e Al Serraj, nel frattempo riconosciuto e ricevuto anche da Mosca. Il gioco, in pratica, si starebbe configurando così: gli USA si sganciano dalla Libia, ma emergono come grande osservatore, dando il nulla osta ad un accordo fra i due attori-nemici principali; la Russia, tenendo i contatti sia con Tripoli e che con Tobruk, sponsorizza direttamente l’intesa facendo da arbitro. Su questo ultimo dato va ricordato che il riavvicinamento della Turchia a Mosca, ha permesso di superare la diffidenza dell’Egitto, alleato di Haftar ma in pessimi rapporti con Ankara che a sua volta appoggia Tripoli.
Cosa succederà quindi? Nell’immediato ci sarà una corsa a chi reciterà meglio il ruolo di bravo ragazzo. Gli scontri diminuiranno ma non finiranno del tutto. Per il 2018 la partita tra Haftar e Al Serraj sarà il preludio per l’emersione di una terza figura. Haftar ha 74 anni e Al Serraj dovrà presto passare il banco, perché ormai bruciato in termini di leadership. Il futuro reale della Libia in sostanza, non appartiene né all’uno, né all’altro.
Nel frattempo, fonti di Difesa Online, parlano di 800.000 disperati già ammassati sulla costa libica pronti a salpare per le italiche coste. Fra scandali umanitari e stampa allineata, l’Italia debole e furbastra continua ad allungare la lista dei suoi discutibili calcoli politici.
Abbiamo appoggiato la guerra a Gheddafi prima e il ruolo di Al Serraj poi. Due errori capitali in un colpo solo. Il domani della Libia intanto, appartiene ad altri.