Africa Saudita: tutti i Paesi (poverissimi) che mandano soldati al macello per conto di Riad

(di Giampiero Venturi)
16/06/17

Nella sporca guerra dello Yemen, la follia non sembra avere fine. Ai quasi 15.000 civili morti dichiarati, alla fame, ai 125.000 infettati da colera, ai 2,5 milioni di sfollati e alla totale distruzione di un Paese già in ginocchio, si somma un'altra meraviglia: nella Coalizione araba a guida saudita che ha invaso il Paese nel 2015, aumenta la presenza di contingenti militari inviati da Paesi africani. Come si spiega?

L'armata internazionale al soldo saudita conta su Paesi storicamente collegati a Riad, come nel caso del Pakistan, già impegnato con 5000 uomini a rinforzo della Guardia Nazionale del regno. Il cartello inventato dai Saud nel 2015 per “combattere il terrorismo internazionale” prevedeva 34 Paesi, poi portati a 41, spesso inseriti nella lista in modo creativo (v.articolo). Ma la comune causa islamico-sunnita o l’appartenenza alla Lega Araba non sono state il solo richiamo; per alcune nazioni bisognose il fascino politico-finanziario dell'Arabia Saudita è stato altrettanto fatale. Sul libro paga di Riad fin dall’inizio della guerra nello Yemen figurano infatti Senegal, Sudan e Mauritania, rispettivamente 158°, 135° e 136° nella graduatoria mondiale degli Stati per PIL pro capite. Altro appoggio politico-logistico nella guerra yemenita è stato fornito dall’Eritrea e perfino dalla Federazione Islamica delle Comore, portando l’impegno complessivo a un totale di quasi 8.000 soldati regolari africani dislocati nel sud della penisola arabica.

La penetrazione geopolitica di Riad nel continente nero è cosa conosciuta. Se in parte è comprensibile alla luce del fatto che quasi la metà dei Paesi arabi sono africani, vanno comunque evidenziati i paradossi. Basta fare un esempio: sotto l'ombrello della sempre vincente causa umanitaria, il Senegal esporta in Europa decine di migliaia di disperati, ma per strane congiunzioni astrali riesce a inviare 2100 militari nello Yemen, a 7000 km di distanza dalle proprie frontiere. Il Senegal, che non è un Paese arabo, non ha mai negato l’appoggio a Riad ottenendo in cambio investimenti utili a rafforzare la presenza saudita anche sulla sponda atlantica dell’Africa.

Per tornare agli arabi, il ministro delle Difesa sudanese generale Awad Ibn Ouf, il 9 giugno ha annunciato l'invio nello Yemen di un ulteriore distaccamento di truppe, necessario, secondo il generale, per rispondere a "necessità operative" dell'operazione Decisive Storm. Il Sudan è il Paese arabo con la maggiore presenza militare nello Yemen dopo l’Arabia e quello che paga il prezzo più alto per tanto amorevole slancio. Solo nel 2017 avrebbe perso decine di soldati (fonti Hezbollah parlano di più di un centinaio di caduti) e ingenti quantità di materiale bellico nell’area di Midi, dove sarebbero stati attaccati e massacrati in ripetute imboscate da forze houthi. L'invio di nuovi soldati del Sudan, rientrato nelle grazie degli Stati Uniti dopo anni di gelo (il ministro della difesa Awad Ibn Ouf si è recato in visita a Washington ai primi di giugno), andrebbe a compensare gli scricchiolii interni al fronte sunnita e gli effetti della crisi interna ai Paesi del Golfo: è ormai operativo il ritiro del contingente del Qatar, forte di 1000 uomini finora dislocati lungo la lunghissima e fragile frontiera tra Arabia Saudita e Yemen. In parte la compensazione avviene con l'afflusso di mercenari che ingrossano le file dei combattenti sunniti schierati contro i ribelli houthi e truppe fedeli al presidente Saleh. Secondo il generale yemenita Ghalib Luqman (fedele a Saleh) si parla di 400 mercenari reclutati solo da Academi (la ex Blackwater) in giro per il mondo tra cui anche Paesi africani come la Somalia.

Sono in troppi a partecipare a diverso titolo ad una guerra complicata, violentissima e priva di copertura mediatica in occidente. Soprattutto gli organi d'informazione più sensibili ai temi sociali dell'Africa tacciono mestamente sull'argomento.