Le carte della partita di poker che si gioca in Siria sono sempre meno coperte. Gli eventi dell’ultima settimana hanno significato un notevole passo in avanti per l’individuazione degli scenari di cui saremo testimoni nel futuro prossimo.
Cominciando dall’evento macroscopico dell’abbattimento del Sukhoi russo sul confine turco-siriano, il dato su cui riflettere è la mancata reazione militare di Mosca. Il rischio paventato di escalation militare fra la Russia e un Paese membro della NATO non si è concretizzato.
C’era da aspettarselo per almeno due motivi:
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non c’erano i presupposti minimi per un coinvolgimento allargato
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la Russia avrebbe ottenuto molto di più da una mancata risposta che da qualunque ritorsione militare.
Per quanto riguarda il primo punto partiamo dal fatto che in base all’art. 4 del Trattato, l’Alleanza prevede un consulto immediato in caso di minaccia territoriale ad uno Stato membro. C’è stato il consulto ma della minaccia, anche a cercarla, non si è vista l’ombra. Anche un’eventuale risposta russa contro istallazioni militari turche non avrebbe automaticamente significato un’aggressione (e quindi il coinvolgimento degli altri Paesi NATO in virtù dell’art.5) per il semplice fatto che la Turchia ha aperto il fuoco per prima sulla base di uno sconfinamento tutto da dimostrare.
A questo proposito è bene sottolineare che la disputa sull’effettiva violazione dello spazio aereo del Sukhoi russo, oltre a mettere in imbarazzo gli alleati, si ritorce contro la stessa Turchia. La questione che rende scomoda la posizione di Ankara è la scelta delle priorità rispetto all’obiettivo dichiarato di combattere il terrorismo. Anche se l’aereonautica russa opera per proprio conto senza condividere obiettivi e i piani di volo con altri soggetti presenti nell’area, la difesa armata contro un operatore non intenzionato ad offendere non sembra coerente con le dichiarazioni ufficiali. Probabile quindi che la Turchia combatta il terrorismo (i curdi del PKK) ma non quello islamista.
Sulle reali intenzioni e sul posizionamento ambiguo della Turchia abbiamo già parlato più volte in questa rubrica. Quel che vale la pena sottolineare sono la ripercussioni sul piano diplomatico che conferiscono alla Russia un’enorme vittoria politica.
La mancata rappresaglia di Putin sminuisce presso la pubblica opinione l’idea di una Russia guerrafondaia così come dipinta dal tamburo mediatico USA, soprattutto dopo l’acuirsi della crisi ucraina. Mette in chiaro o quantomeno sposta l’attenzione sull’effettivo ruolo svolto dalla Turchia nella guerra allo Stato Islamico e per estensione obbliga gli Stati Uniti a una convergenza più chiara. Soprattutto le modalità dell’uccisione del pilota del cacciabombardiere obbligano tutti i soggetti coinvolti nel teatro siriano a una presa di posizione meno sibillina riguardo forniture verso milizie e gruppi armati locali.
Il risultato più grande ottenuto dal Cremlino però è essenzialmente diplomatico. La mancata rappresaglia militare russa garantisce a Putin un credito da incassare su altri fronti, in particolare quello delle sanzioni legate alla crisi in Ucraina. Se gli Stati Uniti si ponevano l’obiettivo strategico di coalizzare l’Europa contro l’orso russo, tutto ciò va in direzione esattamente contraria. Come sostenuto dal politologo Luttwack (tutt’altro che ammiratore del presidente Putin), la disponibilità mostrata dalla Russia e il suo effettivo impegno militare in Medio Oriente renderanno molto difficile il continuare a demonizzarla. Il flirt militare in corso con la Francia per i bombardamenti in Siria a questo proposito rappresenta già una rivoluzione importante per gli assetti militari tradizionali dell’Occidente.
In altri termini, la “questione turca” è per il Cremlino un’ottima occasione e non un problema di primo piano. Tutti gli atti ad essa inerenti hanno un valore più simbolico che strategico.
Vale per il rifiuto di Putin di incontrare Erdogan, per la convocazione dell’ambasciatore, per l’inasprimento del regime doganale e commerciale, per il richiamo dell’addetto navale a Istanbul. Vale anche per il ritiro di Mosca da Blackseafor come annunciato dall’ammiraglio Komoyedov. Il gruppo di cooperazione navale istituito nel 2001 tra i Paesi che si affacciano sul Mar Nero, visti i rapporti di Mosca con Georgia e Ucraina, aveva già un valore molto relativo.
Il dato che emerge maggiormente dalla partita in corso in Siria è lo scossone agli equilibri tra nazioni per come siamo abituati a considerarli. Non conosciamo i tempi del riassetto né gli effettivi riposizionamenti.
La vera lezione geopolitica che se ne trae però è che dopo la crisi siriana, soprattutto in Europa, nulla sarà come prima.
(foto: Tass/Türk Hava Kuvvetleri)