Nella pressoché totale oscurità mediatica, le elezioni in Polonia sconvolgono gli equilibri politici dell’Est europeo. La vittoria schiacciante delle destre nazionaliste e in particolare del PIS di Kaczynski, riapre d’un colpo il dibattito sull’Europa e sul suo ruolo nel contesto geopolitico globale. La Polonia è il sesto Paese dell’UE per popolazione e benché 46esima al mondo come reddito pro capite (indicizzato per potere d’acquisto) rappresenta una pedina fondamentale per la NATO, in cui è entrata nel 1999, 5 anni prima dell’accesso all’Unione Europea.
La vittoria del fronte nazionalista va inquadrata sotto due grandi profili. Uno storico e uno più attuale, virato intorno alle scelte di Bruxelles.
Ad una prima analisi il futuro governo monocolore nazionalista a Varsavia potrebbe lasciar intendere una recrudescenza dei rapporti con Mosca. Nonostante la quasi totale sovrapposizione ideologica con l’Ungheria di Orbán, la Polonia si discosta da Budapest proprio per la politica nei confronti della Russia. Se in chiave antieuropea l’Ungheria strizza l’occhio in modo esplicito a Putin, la Polonia sembra ostaggio di un retaggio storico che la costringe a rinnovare costantemente l’affrancamento dal suo vicino più potente e scomodo: la Russia. In considerazione che la Germania ad ovest rappresenta l’altro grande spettro della storia polacca, c’è da chiedersi quale siano le spinte e le necessità più attuali della nuova dirigenza polacca: una politica estera in aperto conflitto con l’UE e la Germania; una politica sciovinista innanzitutto guardinga verso Est.
Molto probabile che la risposta sia nel mezzo, anzi che sia una fusione delle due. L’adesione alla NATO della Polonia, largamente caldeggiata a suo tempo da Washington, è stata parte significativa dell’allargamento della sfera d’influenza americana nell’Europa orientale. Dal punto di vista polacco ha rappresentato però più che altro una rivalsa contro il destino politico imposto dalla Seconda Guerra Mondiale che la obbligò all’adesione al Patto (ironia della Storia) di Varsavia. Appare più che lecito quindi sostenere che l’ingresso nella NATO per la Polonia è stata l’avallo della sua ritrovata indipendenza.
L’adesione all’Unione Europea viceversa ha rappresentato per la Polonia un’imperdibile opportunità economica volano di uno sviluppo e di una stabilità senza pari nel continente. Ma alla luce delle elezioni di ottobre 2015, il “ritorno ad Ovest” appare più legato al consolidamento di un dignitoso tenore di vita che non ad una piena aderenza di cultura e costumi. Proprio in quanto grande serbatoio cattolico dell’Est, la Polonia sembra lontana anni luce dalle attuali direttrici liberal progressiste europee.
Insieme a Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e alla più volte citata Ungheria, la Polonia rappresenta la concretizzazione di un “blocco nuovo” negli equilibri politici europei. Sul piano dei principi ideali di riferimento sembra destinata a diventare leader di un fronte di resistenza alle spinte neoglobal di Bruxelles.
Come sarà compatibile tutto ciò con la sempre verde euforia pro NATO di Varsavia?
Le forze armate polacche, apprezzabili per potenza, numero ed affidabilità, che ruolo giocheranno in un sistema in bilico fra l’Alleanza e uno “splendido isolamento” nazionalistico?
Le stesse linee guida di Kaczynski, dante causa della futura premier Beata Szydlo, non sciolgono il dubbio: “sì alla NATO, ma l’industria militare nazionale resta privilegiata”.
Ragioni molteplici legate alla geopolitica continentale degli ultimi 20 anni hanno di fatto equiparato la NATO ad un braccio operativo della politica estera europea. Anche laddove sono emersi rilievi ideologici in contrasto (la guerra in Libia del 2011 ad esempio), alternative di aggregazioni militari credibili in Europa non sembra ce ne siano al momento. In questo contesto, come si muoverà la Polonia? L’equilibrio fra Patto Atlantico, antigermanismo nazionalista antieuropeista e russofobia risulta molto delicato.
Probabile che la Polonia, destinata nei prossimi anni all’inevitabile ostracismo delle oligarchie europeiste, diventi in futuro un modello per le aspiranti potenze regionali refrattarie ad assecondare passivamente ogni sorta di politica comunitaria. La rimarchevole distanza di Varsavia dall’UE in tema d’immigrazione potrebbe diventare anzi un riferimento per molti Paesi limitrofi.
Nonostante le dichiarazioni ufficiali e i programmi di governo in tema di politica estera, è difficile quindi immaginare un appiattimento totale di Varsavia agli obiettivi strategici atlantici di medio e lungo periodo. Più la Polonia di distinguerà dall’Unione Europea più la sua adesione alla NATO diventarà sui generis. Non è da escludere che possa risentirne la stessa politica ostile verso la Russia, patrocinatrice di tutti gli antieuropeisti del continente. I rapporti con l’Ungheria di Orbán in questo senso saranno decisivi. Il nuovo clima da Guerra Fredda nel Baltico e in Ucraina, saranno il banco di prova del prossimo futuro.
(foto: Wojsko Polskie)
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