Secondo quando riportato dalla Reuters, una lunga colonna militare sarebbe in marcia da giorni nei pressi di Silopi, nella provincia di Şırnak, al confine turco iracheno (non lontano da quello siriano). Molti carri armati, pezzi d’artiglieria, blindati, veicoli recupero carri e mezzi del genio, sarebbero stati avvistati in queste ore in direzione sud. Le truppe vanno considerate esterne all’operazione Firat Kalkani (Scudo dell’Eufrate), con cui da agosto l’esercito turco ha varcato la frontiera siriana, ufficialmente per combattere l’ISIS ma in pratica per tenere le milizie curde lontane dai propri confini. Farebbero parte però dello stesso scenario strategico e della mobilitazione che Ankara ha messo in atto ai confini sudorientali, nel quadro delle guerre in Siria e Iraq.
L’allarme turco è scattato con diretto riguardo all’offensiva curdo-irachena su Mosul, ormai entrata nella fase finale. In particolare Ankara protesterebbe per le manovre intorno a Tal Afar, città a maggioranza turcomanna. Proprio mentre l’esercito di Baghdad annuncia il suo ingresso alla periferia di Mosul, reparti delle Forze (o Unità) di Mobilitazione Popolare (PMF) starebbero infatti muovendo su Tal Afar, distante pochi chilometri.
Facciamo chiarezza.
Le milizie PMF sono state create dal governo iracheno nel 2014 come forza territoriale, inizialmente riservata al solo reclutamento di sciiti, poi comprendenti anche minoranze di sunniti e cristiani. Messe insieme con l’approvazione USA per supplire alle carenze delle forze regolari irachene collassate contro l’ISIS nel 2014, sono diventate un punto di riferimento nel nord Iraq. Sono equipaggiate soprattutto dall’Iran sciita che le armerebbe attraverso i Pasdaran, paladini anche delle NDF (National Defence Force) siriane, la milizia che affianca l’esercito di Assad. Benché i curdi iracheni siano loro alleati (insieme all’esercito regolare di Baghdad) nella battaglia contro lo Stato Islamico, godono di molta autonomia sul territorio e rispondono agli ordini diretto del primo ministro iracheno Al Habadi (sciita, non a caso).
Tal Afar, nota per il duro scontro tra Al Qaeda e le forze americane nel 2004, è una città turcomanna. Secondo le dichiarazioni del governo turco, se le milizie a maggioranza sciita entrassero in città per cacciare lo Stato Islamico, il rischio di discriminazione religiosa ed etnica sarebbe gravissimo. La Turchia, mette in guardia ogni forza irachena, regolare o meno, e si riserva il diritto di intervenire direttamente per garantire la propria sicurezza. In realtà lo sta già facendo (i turchi hanno già base a Bashiqa, in Iraq, non lontano da Mosul).
Immediata la reazione di Baghdad che ha intimato ad Ankara di astenersi da ogni forma d’ingerenza. Le dichiarazioni seguono lo scambio non proprio conciliante degli ultimi giorni tra il presidente turco Erdogan e il premier iracheno al Habadi: il primo avrebbe sostenuto che Mosul è in realtà turca; il secondo che la Turchia è stata parte dell’Impero Abbàside.
Rivendicazioni storiche a parte, la Turchia tira dritto e si dichiara “non in dovere di aspettare l’evoluzione degli eventi, per difendere i propri interessi": le sue forze intanto continuano a colpire basi curde del PKK situate nel nord dell’Iraq (ricevendo la condanna del governo iracheno).
Dietro il dinamismo turco c’è un evidente piano strategico. La turcomanna Tal Afar dista poco più di 100 km dalla Turchia ma solo 70 km dal confine siriano, all’altezza del Rojava (Kurdistan siriano) ed è sulla strada fra Mosul e Raqqa, le due autoproclamate capitali dell’ISIS, in Iraq e Siria. Chi guadagnasse il controllo della frontiera fra i due Paesi, avrebbe in mano il futuro dello Stato Islamico.
Ciò che appare evidente è che la sconfitta del Califfato, obiettivo dichiarato ufficialmente da iracheni, curdi, milizie sciite, turchi e occidentali coinvolti, sembra in realtà la minore preoccupazione. Quel che più conta è il mosaico che verrà a delinearsi subito dopo. Il ruolo dei curdi e degli sciiti in Iraq è tutto da stabilire. Non va dimenticato che gli sciiti, utili contro Saddam Hussein durante Iraqi Freedom, sono in realtà un boomerang per l’Occidente che li ha armati, perché vicini a Teheran e Damasco.
Nel silenzio generale, la Turchia si muove da sola.
(foto: Türk Kara Kuvvetleri)