Il Segretario di Stato americano Kerry ha chiesto alla Russia di sospendere i raid in Siria. In sostanza si propone a Mosca un “cessate il fuoco” unilaterale per dare un segnale positivo in vista dei negoziati di Ginevra.
La risposta del ministro degli esteri Lavrov, appena battuta dalle agenzie, è un secco “no”. La Russia “continuerà a martellare le milizie islamiste del Califfato e i qaedisti di Al Nusra fino alla loro totale sconfitta”. Il capo della diplomazia di Putin aggiunge anche che gli USA si ostinano ad evitare un confronto sereno con Mosca sulla questione siriana.
Quale che sia la temperatura dello scontro fra Usa e Russia, è bene sottolineare che l’intervento russo iniziato a settembre 2015 è il perno intorno a cui ruota il rovesciamento della situazione militare in Siria. Gli effetti in campo politico sono già visibili.
Facciamo un passo indietro e partiamo dalle primavere arabe, preludio geopolitico al siluramento di Assad previsto già dal 2011.
Quando la guerra civile non era ancora partecipata dalle milizie del Califfato (entrate su territorio siriano nel 2014), le accuse venivano poste sul piano dei diritti umani. Esattamente come per Ben Alì, Mubarak e Gheddafi l’Occidente, folgorato sullo strada di Damasco, si ricordò all’improvviso delle 50 sfumature di democrazia che lo separano dai Paesi arabi e decise per la resa dei conti con Damasco.
Il protrarsi della guerra civile però ha cambiato le regole del gioco. Gli apparati dello Stato e le Forze Armate siriane si sono dimostrati più saldi del previsto allungando i tempi di “esportazione della democrazia”. Vuoi anche un’imprevista coesione del popolo siriano che in barba alle diversità etniche e confessionali si è compattato contro l’arrivo di integralisti stranieri, le istituzioni siriane non si sono fatte travolgere del tutto come accaduto in Libia, Egitto e Tunisia.
In virtù dei pessimi risultati prodotti dalle primavere arabe, il lasso di tempo intercorso è stato vitale per produrre il germe del dubbio sull’opportunità di interventi salvifici.
Dal conto alla rovescia per il governo di Damasco siamo passati ad uno stallo che ha ulteriormente allungato i tempi.
Con i dati di gennaio-febbraio 2016 la situazione sul terreno lascia però immaginare un andamento in ulteriore progresso per i lealisti. Dallo stallo si è passati alla controffensiva piena e intere aeree del Paese stanno tornando sotto il controllo dello Stato centrale. I sitrep quotidiani parlano chiaro: le Forze Armate siriane stanno vincendo la guerra.
Di questa mattina la notizia che l’offensiva a nord di Aleppo continua ad avere successo. L’esercito siriano sarebbe arrivato a Al Zahra e Noubel e avrebbe nel mirino la roccaforte islamista Reytan. I collegamenti Azaz-Aleppo e Maer-Andan sarebbero interrotti e i jihadisti non avrebbero più contatti diretti con la Turchia per accedere ai rifornimenti. Il 30 gennaio sarebbero arrivati i rinforzi alla 104a Brigata Paracadutisti della Guardia Repubblicana che ha difeso Deir El Zor, centro strategico a est verso il confine con l’Iraq. Su questo fronte l’eroica resistenza del generale Issam Zahreddine è diventata leggenda in tutto il Paese. Migliaia di miliziani del Califfato sarebbero in fuga dopo aver subito pesantissime perdite.
Queste vittorie che si sommano alla riconquista a sud di Shaykh Miskin a sud e di Rabia a nord (nella regione di Latakia) si sono sovrapposte nell’arco di pochi giorni, dando prova di due aspetti centrali:
1)le Forze Armate siriane e gli ufficiali in comando si stanno dimostrando all’altezza nonostante i 5 anni di guerra;
2) l’appoggio russo non è stato determinante solo con i raid diretti, ma anche con forniture di mezzi, munizioni, parti di ricambio, aggiornamenti e sostegno a 360° sul piano operativo.
Quanto esposto ci dimostra come i risultati sul campo se non possono cambiare orientamenti geopolitici, riescono a spostare l’asse delle priorità. Fino all’estate del 2015 la coalizione a guida USA interpretava la questione siriana come una faccenda esclusiva. Oggi Kerry chiede a Mosca di sospendere l’intervento.
In attesa di colpi di coda del Califfato, bisogna capire le contromosse strategiche della Turchia e come si muoveranno gli USA rispetto al governo di Assad, il cui ruolo di interlocutore, stando ai risultati sul campo, non pare possa essere messo più in discussione.
(Foto: Andrea Cucco/ القوات المسلحه السورية)