Dietro l'euforia della giornata di ieri c'è in realtà il nulla di fatto. Nemmeno di stallo si può parlare perché la fanfara delle dichiarazioni lascia intuire nubi piuttosto scure all'orizzonte.
Vienna occasione perduta? Certamente sì se pensiamo ai due aspetti centrali venuti fuori dal vertice sulla crisi libica: l'ulteriore investitura di Al Sarraj come uomo dell'Occidente e la possibilità sempre più concreta di abolire l'embargo a un governo libico di unità nazionale.
Particolarmente loquace il Segretario di Stato Kerry convinto più che mai di aver imboccato la strada giusta per lo sblocco dell’impasse. Washington ha deciso di depennare i cosiddetti capi fazione puntando senza indugi sugli accordi di dicembre e sul successivo sbarco di Al Sarraj a Tripoli.
La lettura da fonti locali però ci dà un quadro meno semplice. In realtà Al Sarraj rappresenta il classico esempio di coperta corta. Se per mettere d'accordo Cirenaica e Tripolitania bisognava fare due passi verso Tripoli e gli islamisti dell'ovest, ora che i passi sono diventati quattro il fronte di Tobruk si sente tradito e non accetta gli accordi. Pur di presentare al mondo un successo diplomatico in Libia a riparo di errori madornali, il compromesso di Europa e USA attraverso il nuovo presunto leader libico con il fronte islamico (per lo più i Fratelli Musulmani) è stato troppo smaccato e ha finito per allontanare gli alleati di una volta, probabilmente più affidabili, almeno per noi italiani.
L'Occidente ha sostenuto Tobruk fino a fine 2015 chiedendo poi al suo uomo forte generale Haftar di farsi da parte e accettare la leadership di Al Sarraj in vista di un nuovo nebuloso progetto politico.
Quello che Kerry presenta come lotte intestine fra capi locali interessati al potere sul proprio orticello in realtà è un quadro politico molto più serio. L'accordo (fragile) a Tripoli che ha placato parecchi ardenti spiriti islamisti ha tagliato fuori il lato più "borghese" della Libia, quello cioè più disponibile ad una ricostruzione pacifica che tenga conto anche della storia laica del Paese.
Il fronte di Tobruk, armato e sostenuto principalmente dall'Egitto, con l'Operazione Dignità (foto a dx) di Haftar ha dato prova di voler evitare per quanto possibile un guerra totale tra libici ma soprattutto di avere santi in Paradiso ed essere in grado di fare una guerra molto seria e molto lunga. L'eventuale fine dell’embargo a Tripoli riverserebbe in Libia altre armi se mai ce ne fosse bisogno e aprirebbe le porte a una tragedia ancora maggiore.
La benedizione continua con cui Europa e USA blandiscono Al Sarraj nel migliore dei casi porterà nel breve periodo ad una Libia nominalmente unita davanti ad un seggio ONU ma strutturalmente lacerata sul terreno. Sul medio lungo periodo potrebbe verificarsi invece la prevalenza delle fazioni islamiche sulla cui buona fede negli equilibri di Tripoli non c’è garanzia che tenga.
In ogni caso Tobruk non capitolerà facilmente anche in virtù degli interessi sulla Cirenaica del Cairo, poco disposta a lasciare campo libero alla Fratellanza Musulmana. Washington lo sa benissimo e con l'appoggio illimitato ad Al Sarraj dimostra di non avere come priorità assoluta una Libia realmente unita (v. articolo). Lo dimostrerebbe anche il fatto che gli USA vogliono tutto tranne che inasprire le relazioni con l’Egitto.
Da Roma intanto, pur partecipando al coro delle dichiarazioni, non si muove una foglia. L'Italia evita di sbilanciarsi evitando ulteriori esternazioni su Haftar e commenti importanti sull’eventuale fine dell’embargo a Tripoli. Si limita al solito "non combattiamo ma addestriamo" sulla linea di altri italianismi utili a tenere buoni gli alleati e al tempo stesso i sedicenti guardiani dell'art 11 della Costituzione.
Intanto però l’Italia paga pegno. Lo dimostra l'episodio di Zintan e la figuraccia a cui è stato costretto il valido generale Serra, allontanato dall’area come non gradito. Zintan è stata fra le prime città a ribellarsi a Gheddafi e le sue brigate berbere sono state legate a Tobruk fin dall'inizio della spaccatura della Libia in due tronconi. Oggi rappresenta un‘enclave interna alla Tripolitania, ostile ad Al Sarraj e a chiunque scenda a patti con lui.
Per ironia della sorte Serra e Sarraj hanno un cognome simile. Il nostro generale ricorda poi per aspetto fisico il Graziani dei tempi coloniali e la propaganda che parla di tradimento degli italiani, ne approfitta per battere la lingua sul tamburo. Se poi viene fuori che lo stesso Al Sarraj appartiene al clan che si accordò con gli italiani colonizzatori, il gioco è fatto…
In Libia avevamo molti amici ma ci siamo complicati la vita. Finché si fa in tempo bisognerebbe scegliere una posizione chiara, unica e soprattutto pragmatica. Insomma, il più possibile vicina agli interessi nazionali diretti.
(foto: U.S. Department of State / Twitter)