Mattarella e Tillerson a Mosca. Dopo i missili in Siria, prove di dialogo con la Russia

(di Giampiero Venturi)
12/04/17

Per parlare con la Russia in modo autorevole serviva un’America più forte. Soprattutto dopo i primi tre mesi di Trump, messo alle strette dai falchi del Deep State e costretto a rallentare i progressi con Mosca, sulla cui maturazione la fine dell’era Obama aveva lasciato ben sperare.

Ma la diplomazia ha linguaggio e tempi diversi da quelli dei comuni mortali. Le rose fioriscono quando è stagione; nel frattempo ci vogliono pazienza e metodo.

Il Segretario di Stato Tillerson, lascia il G7 per recarsi a Mosca. In parallelo anche il Presidente della Repubblica Mattarella si trova in Russia, per una visita ufficiale di tre giorni. Le due cose non sono casuali.

Andiamo per gradi.

Tillerson prima di incontrare il suo omologo Lavrov, ha esternato la posizione degli Stati Uniti riguardo le possibili intese con la Russia:

“Non saranno permessi altri attacchi chimici in Siria (con ogni probabilità non è Assad il responsabile, nda) e la priorità degli USA è sconfiggere lo Stato Islamico”.

In apparenza il discorso appare schizofrenico: che senso hanno i missili contro Assad se Assad sta combattendo l’ISIS?

In realtà Tillerson aggiunge che il tempo di Assad sta per scadere, cambiando di 180° la posizione USA rispetto a soli dieci giorni fa. In pratica, se Putin vorrà stringere con Trump dovrà scegliere: o Damasco o Washington.

Ad una prima lettura questo suggerirebbe che i ribelli anti Assad finanziati per anni da USA, Turchia e Arabia Saudita, siano ancora oggi politicamente credibili nonostante le vittorie lealiste. In che modo si possa pensare di costruire un futuro con i gruppi islamici integralisti come Hayyat Tahir al Sham (Movimento per la Liberazione del Levante), Tillerson però non lo ha specificato.

Torniamo a quanto detto in testa.

Gli USA avevano urgente bisogno di presentarsi da Putin con la giusta autorevolezza. L’ingegnere Tillerson, benché tutt'altro che ingenuo, non ha molta esperienza diplomatica e per non finire masticato nelle machiavelliche stanze del Cremlino, aveva bisogno di un biglietto da visita e soprattutto della voce grossa.

Sotto questa ottica si legge meglio anche l’apparente contraddizione dell’attacco missilistico alla base di Al Sharyat in Siria. Sono molti gli elementi che lasciano pensare al doppio fine politico della mossa di Trump. Tra questi spiccano l’assoluta inconsistenza militare dell’azione (solo 23 missili a segno su 59 e base di nuovo operativa dopo meno di 12 ore) e la mancanza di personale russo, solitamente presente presso le infrastrutture strategiche siriane.

Non sapremo mai se Mosca sapesse in anticipo dell’attacco americano. Quel che possiamo affermare con certezza però, è che gli USA dovevano mostrarsi ancora come la superpotenza unilaterale di sempre e che un Trump forte fa comodo anche a Putin. 

Alzare i toni ha avuto un riflesso importante sul fronte interno americano, gettando acqua sulle alte vampe del Russiagate. In politica estera e nelle speciali relazioni bilaterali che gli Stati Uniti sono intenzionati a promuovere con la Russia, permette invece agli USA di alzare il prezzo dei compromessi futuri.

Secondo logica, visti gli investimenti politici fatti in Siria, Putin non scaricherà Assad. L’aut aut americano serve quindi ad ottenere di più sul tavolo negoziale e su altri scenari.

Con ogni probabilità la partita si sposta nel Pacifico, teatro del vero scontro del XXI° secolo, quello fra Stati Uniti e Cina. Proprio mentre si spegnevano i riflettori in Siria, la squadra navale della portaerei Vinson ha fatto rotta sulla Corea e i toni tra Washington e Pyongyang hanno preso ad alzarsi.

Difesa Online è stata la prima testata a segnalare in questi giorni il nuovo teatro di crisi, che poi nuovo non è affatto. Periodiche impennate della temperatura sono sistematiche nel 38° parallelo (vedi articolo). Mai come stavolta però al linguaggio della Casa Bianca era seguita una precisa minaccia militare contro la Corea del Nord.

La guerra atomica non ci sarà. Pyongyang è l’obiettivo indiretto degli USA, che in realtà puntano alla Cina e in particolare a dividere Pechino da Mosca.

I due giganti ex nemici non sono mai stati così vicini in termini strategici.

Dopo il maxi accordo per la fornitura del gas firmato a Shangai nel 2014, l’interscambio tra Russia e Cina è arrivato a 100 miliardi di dollari ed è destinato a raddoppiare entro 5 anni. La creazione della Nuova Banca di Sviluppo alternativa all’”americana” Banca Mondiale è frutto della collaborazione tra Mosca e Pechino che lavorano insieme anche al progetto per la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture. Gli esempi della nascita di un blocco politico strategico euroasiatico comprensivo anche degli spazi ex sovietici sono innumerevoli in tutti i settori: energia, finanza, infrastrutture, tecnologia, industria e ovviamente difesa (basti pensare che la Cina potrebbe diventare il primo fruitore globale dei sistemi S 400)…

Sulla scorta delle paure di Kissinger, gli USA lo sanno e cercano di non rimanere fuori dal gioco. L’unico modo possibile è rilanciare, facendo pesare laddove possibile anche lo strumento militare.

In sostanza gli Stati Uniti hanno un evidente bisogno di avvicinare la Russia, ma pretendono di farlo alle loro condizioni.

In questo schema il ruolo dell’Italia potrebbe (per una volta…) non essere secondario.

La visita di Mattarella a Mosca in questo senso ha un grande impatto simbolico. Il muro alzato dall’Unione Europea contro la Russia non incide sulle relazioni bilaterali tra Mosca e Roma che restano buone. Benché la dimensione della politica estera italiana rimanga efebica, l’Italia gode di una buona stella in Russia. Oltre ad una lunga tradizione di reciproca stima e amicizia, pesa molto il fatto che l’Italia non sia mai comparsa tra gli ultras  delle sanzioni economiche e dell’ostracismo politico contro Mosca. Siamo stati anzi tra i promotori di un dialogo costruttivo (una volta tanto possiamo dirlo, nda) anche quando la pletora degli atlantisti più accaniti ci ha costretti a seguire l’onda russofobica.

La nostra proverbiale bivalenza diplomatica e lo stato pietoso dell’interscambio commerciale  bilaterale ci sono venuti incontro.

Va ricordato che a causa delle sanzioni volute dall’UE nel 2016 l’import-export fra Italia e Russia è calato quasi del 40% rispetto al 2015 con danni incalcolabili per le imprese italiane.

Una voce anonima maliziosa tempo fa disse: “Putin può fidarsi solo di noi, per il semplice fatto che nemmeno i nostri alleati si sono mai fidati veramente…”

Roma potrebbe essere il battistrada per una futura inversione di tendenza nei rapporti fra Occidente e Russia. Sotto questo aspetto non è causale che Mattarella sia a Mosca in concomitanza con il G7 e con il viaggio di Tillerson. La questione siriana e indirettamente i rapporti con la Russia, sono sul tavolo del più grande consesso politico del mondo. Affinché il G7 ritorni G8, c’è bisogno di mediatori e buone intenzioni.

(foto: Quirinale/web/DoD)