Dopo l’attacco alle forze del Califfato con la flotta del Mar Caspio (vedi "Russia e Iran. Il "nuovo" asse prende il largo"), altre forze navali russe partecipano alla campagna di Siria. Stavolta tocca ai missili da crociera del Rostov on Don, sottomarino di nuova generazione posizionato nel Mediterraneo orientale.
Il senso dell’azione va molto oltre i significati strettamente militari.
Andiamo per gradi.
È indiscutibile che il bombardamento delle postazioni Isis dal mare sintetizzi tre cose.
Innanzitutto che una potenza a vocazione terrestre come la Russia torni a valorizzare in senso operativo sistemi d’arma navali. Ad un più generale programma di ampliamento della ВМФ, si affianca uno sviluppo di sistemi non solo di utilità strategica come avvenuto per decenni nell’ex Marina sovietica, ma anche tattica. Abituati a vedere (immaginare più che altro…) mastodontici sottomarini armati di missili balistici adatti più che altro come deterrente atomico in una logica di Guerra Fredda, dobbiamo prendere atto dell’evoluzione nella logica militare russa, in poche settimane capace di mostrare versatilità in un settore come quello navale, mai stato punta di lancia delle forze armate di Mosca.
L’utilizzo della flotta sottomarina è poi la dimostrazione di un potenziale operativo con strumenti di nuovissima generazione. Come ogni conflitto anche la campagna siriana è la vetrina per mostrare capacità e criticità di metodi, tecnologie e potenziali. Sul Rostov on Don e la Classe Kilo migliorata rimandiamo alle rubriche ad hoc di Difesa On line. Ci limitiamo a dire che l’intraprendenza e le novità russe hanno stupito non poco gli osservatori.
Per ultimo va considerata la scioltezza con cui la Marina russa si è mossa negli ultimi mesi in teatri storicamente non familiari come il Mar Mediterraneo. Alla luce della crisi russo-turca e dei vincoli alla navigazione nel Bosforo imposti dalla Convenzione di Montreux risulta evidente la forte determinazione politica russa all’uso dello strumento militare.
Tutti questi aspetti da soli non bastano a capire cosa stia succedendo e cosa sia possibile immaginare in un futuro nemmeno troppo remoto.
La campagna in Siria per la prima volta pone le forze armate russe di fronte ad un obiettivo globale o comunque esterno allo spazio ex sovietico. La guerra in Georgia del 2008 e la seconda campagna cecena avevano interessato aree di influenza naturale (nel caso della Cecenia addirittura interna alla Federazione). Lo sforzo militare al fianco di Damasco è il prologo di un nuovo sistema di equilibri che pone la prima pietra per la liquidazione del mondo unipolare ereditato dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ciò non implica un ritorno al mondo diviso in blocchi secondo gli schemi della Guerra Fredda, essenzialmente per due ragioni:
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lo scontro fra ideologie è finito
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la rinascita militare russa non equivale ad un ritorno di Mosca al ruolo di potenza planetaria
Su questo secondo punto è bene riflettere. La gestione di un ruolo di egemonia globale si rivelò impossibile per l’Unione Sovietica e ne fu di fatto la causa dell’implosione. Forte di questa esperienza è molto più probabile immaginare per il futuro una Russia più snella capace di un potere politico e militare rivolto “limitatamente” al blocco euroasiatico. Le attenzioni di Mosca, non più interessata a scenari periferici nel nome di cause ideologiche (tutte le guerre e guerriglie africane e neolatine ai tempi della Guerra fredda), sarebbero rivolte allo spazio che dall’Unione Europea arriva al Pacifico, comprendendo Mar Nero e Golfo Persico a sud e mari artici a nord, aree di notevole impatto strategico per la Russia. Il reintegro della Crimea nella Federazione nel 2014 e il recente dispiegamento di sistemi S-300 ed S-400 nelle zone artiche (Novaya Zemlya) vanno lette in questo senso.
Se questo scenario non molto diverso da quello dei tempi dell’Eurasia zarista, possiamo immaginare un mondo diviso per zone d’influenza macroregionale, dove il peso geopolitico predominante spetti alla potenza o alle potenze di riferimento continentale.
In questo sistema di equilibri il coinvolgimento di nazioni come Cina, India, Brasile, Iran e Sudafrica è inevitabile. Oltre agli aspetti economici, geografici, culturali e demografici è inevitabile però che la “promozione” passi anche per lo strumento militare.
Su questo principio è tutto da rileggere il ruolo degli Stati Uniti, superpotenza unilaterale dal 1991 e per il momento poco disposta a ripiegamenti verso nuove Dottrine Monroe dal sapore ottocentesco. Su questa base è ancora più urgente capire il futuro politico dell’Unione Europea, al netto della rinascita di potenze globali ormai declassate come Regno Unito e Francia. La fine della Guerra Fredda e del monoblocco degli ultimi 25 anni imporrà scelte coraggiose anche a Germania e Giappone, giganti economici nascosti finora dietro al dito della Seconda Guerra Mondiale. Quali che siano gli sviluppi, una cosa sembra certa: il mondo che verrà è comunque già cominciato.
(foto: TASS)