Il 15 aprile del 1912 nacque Kim Il Sung, il “Grande Leader”. Per l’anniversario della nascita, la Corea del Nord si schiera. E lo fa mostrando i muscoli, con una delle consuete parate militari spettacolari.
Non sono i dettagli tecnici ad impressionare, perché l’apparato bellico mostrato ogni volta al mondo da Pyongyang viene scelto con cura molte settimane prima degli eventi.
Per capire il livello di tensione, più che i missili balistici schierati, sono importanti le dichiarazioni ufficiali che arrivano proprio nel giorno in cui si temeva un nuovo test balistico e la possibile azione unilaterale americana.
Questa volta è Choe Ryong Hae, wansu (maresciallo, più alto grado nelle forze armate nordcoreane) nordcoreano a parlare per tutti. Messo in un angolo per un anno dai vertici di Pyongyang ma tornato alla ribalta come uno dei più influenti membri della Commissione per la Difesa Nazionale (dissolta lo scorso anno) e del Partito dei Lavoratori, a lui sono affidate alcune delle missioni diplomatiche più delicate.
“Risponderemo alla guerra con la guerra totale e al nucleare col nucleare”.
Questa la sua risposta alle dichiarazioni di Washintgon che minaccia di intervenire militarmente in caso di ulteriori provocazioni norcordeane. Non sembra lasciare molti margini d’interpretazione.
Per la verità siamo abituati al linguaggio colorito di Pyongyang che nel corso degli anni ha minacciato dozzine di volte di trasformare Seul in una palla di fuoco o di coprire di cenere l’arcipelago del Giappone.
Dalla morte del “Caro Leader” Kim Jong-Il, figlio di Kim Il Sung, le cose sono però cambiate. Il 35enne Kim Jong-Un, attuale leader della Corea del Nord e figlio di Kim Il Sung (quindi nipote del “Caro Leader”), sembra più facile ai cambi di direzione improvvisi.
Noto come “Grande Successore” o “Brillante Compagno”, finora non ha fatto sconti a nessuno, tirando dritto con il programma atomico e con il ping pong politico con gli Stati Uniti.
Innegabile che l'accelerazione militare e politica voluta dagli USA negli ultimi 10 giorni abbia finito col mettere la penisola coreana ancor di più sotto i riflettori.
L’unico vero fattore che ancora risparmia al mondo il folle duello diretto tra Trump e Kim Jong-Un è il rapporto tra Pyongyang e Pechino. Come spesso abbiamo indicato (vedi articolo), la Cina considera la Corea del Nord alla stregua di un fratello scemo ed è soprattutto il laboratorio sperimentale attraverso cui si misura la capacità di reazione degli USA. Era così ai tempi della Guerra fredda, quando la Cina non aveva peso geopolitico; lo è maggior ragione oggi che il Pacifico è tornato di moda, soprattutto negli aspetti strategici che riguardano Mar Cinese Orientale e Meridionale.
Il legame tra i due regimi, se ha permesso a Pechino di delegare le forme più aggressive di provocazione politica e militare, ha anche contribuito spesso a smorzare la tensione.
Il 90% del saldo commerciale di Pyongyang dipende da Pechino: 2,4 miliardi di dollari di esportazioni su 2,83 (dati OEC) e 2,95 miliardi di dollari di importazioni su 3,47.
Se la Cina fa la voce grossa, la Corea del Nord non può far finta di non sentire.
Nell’ultimo colloquio telefonico fra il presidente Trump e il suo omologo cinese Xi Jinping (12 aprile, nda), secondo quanto riportato dalla tv di stato cinese, il leader asiatico avrebbe raccomandato estrema cautela nella gestione della crisi coreana, invitando Washington a moderare i toni.
“Da un’eventuale guerra non uscirà nessun vincitore”
hanno detto più volte fonti ufficiali cinesi, facendo esplicito riferimento alla minaccia nucleare.
La telefonata ha fatto seguito all’intervista rilasciata da Trump alla Fox con cui il presidente USA ricordava il dispiegamento di un’autentica “Armada” a ridosso delle coste coreane.
Il 7 aprile, giorno dell’attacco alla Siria, i due leader si erano conosciuti e parlati negli Stati Uniti, affrontando la questione coreana, per la prima volta all’ordine del giorno del nuovo inquilino della Casa Bianca.
È evidente che l’attuale crisi nella penisola coreana veda Pechino come protagonista assoluta.
Resta da vedere quando l’ascendente di Pechino su Pyongngyang riesca a coprire eventuali isterismi di Kim Jong-Un. Abbiamo detto più volte di come la dinastia dei Kim giochi al rilancio, usando l’arma nucleare e il suo immenso arsenale militare come strumento di ricatto internazionale per rimanere in vita.
Va anche detto però che fino ad oggi, la Corea del Nord ha fatto comodo a tutti. Permette alla Cina di non subire una “sudocoreanizzazione” di tutta la penisola con conseguente aumento dell’influenza americana nell’area; permette agli USA di mantenere sul 38° parallelo e in Giappone un apparato militare spaventoso.
Le evoluzioni della crisi sono continue e la sensazione che il rischio di uno scivolone, al di là della propaganda, sia concreto non è del tutto campata in aria. Per ora le acconciature dei due attori principali, sono tra le cose che preoccupano meno…
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