La Germania riconosce lo sterminio degli armeni del 1915 perpetrato dagli Ottomani. Anche Berlino così si accoda alla (breve) lista dei Paesi che dopo cento anni hanno deciso di far prevalere l’onestà storica al politicamente corretto.
La reazione della Turchia e in particolar modo del presidente Erdogan non è diversa da quelle precedenti, quando da altri autorevoli scranni si è deciso di chiamare le cose col loro nome. Un anno fa quando parlò il Papa fu richiamato l’ambasciatore turco in Vaticano; in queste ore è stato richiamato l’ambasciatore turco a Berlino…
La musica è sempre la stessa: alla Turchia l’idea di sentirsi responsabile per i quasi 2 milioni di armeni sterminati proprio non va giù. Per quasi un secolo il rifiuto di Ankara di fare i conti col proprio passato è stato interpretato come orgoglio, pericoloso soprattutto al suo interno dal punto di vista elettorale. Oggi questa lettura non è più sufficiente.
Capita spesso che un Paese coinvolto in un processo di modernizzazione e trasformazione recida i propri legami col passato, andando talvolta anche al di là del dovuto. È la logica classica delle nazioni sconfitte, costrette a rinascere dopo un annientamento. Nessuno può capirlo più dell’Italia e della stessa Germania. Ma alla Turchia non è stato sufficiente nemmeno questo. Anche dopo la rivoluzione di Ataturk che ha introdotto Ankara al futuro e al mondo occidentale, l’interesse a nascondere l’imbarazzante verità è stata più forte della patina di laicità di cui la nuova nazione si è vantata per anni.
Di fatto la negazione del genocidio armeno per decenni è stata tra i pochi legami fra la Turchia moderna e i retaggi della cultura ottomana. Un cordone ombelicale tenuto al buio ma comunque presente. Oggi però il rifiuto ha un sapore diverso. La furia condita da minacce con cui Erdogan reagisce alla mozione tedesca è emblematica di una nuova consapevolezza turca, non troppo lontana dalla logica aggressiva e islamocentrica che spesso caratterizzò l’antico Impero.
Che ai turchi piaccia o no però, un dato sembra rilevante: fosse stata approvata venti anni fa, la mozione sarebbe caduta nel nulla. Oggi, alla luce del peso geopolitico raggiunto dalla Turchia in seno alle crisi in Siria, in Libia, nel Caucaso e con riguardo al fenomeno delle emigrazioni, è molto difficile non interpretare il tutto come frutto di un revanscismo ottomano. Separare la posizione di Ankara riguardo il genocidio armeno dalla sua attuale condotta politica è un percorso obiettivamente difficile. Unica attenuante alla rabbia è il senso del tradimento che si percepisce Ankara, abbandonata sulla strada della complicità storica proprio dall’alleato di sempre, la Germania, madre dei blocchi imperiali centrali e odierna seconda casa di milioni di immigrati turchi.
Ma perché la Germania e perché proprio ora?
Innanzitutto è bene dare alla mozione del Bundestag l’effettivo peso che ha: un valore assolutamente simbolico. Vale a dire che al di là delle roboanti dichiarazioni e di una presa di posizione rivolte più che altro alla pubblica opinione interna, non ci saranno reali conseguenze diplomatiche fra Turchia e Germania. Le stesse posizioni della Cancelliera Merkel, non presente in aula per il voto, e del ministro degli Esteri tedesco Steinmeier, contrario alla mozione, la dicono lunga sull’incisività della risoluzione a livello internazionale. Si mette semmai in risalto una doppia coscienza europea, frutto di una frattura spesso evidente fra scelte politiche e percezioni collettive: i governi balbettano; i popoli (stavolta attraverso il Bundestag) parlano ad alta voce.
L’unico rilievo concreto forse vale la pena di farlo all’interno dell’alleanza strategica che unisce Germania a Turchia, colossi indiscussi della NATO. Nell’Europa occidentale l’unica voce stentorea finora ascoltata in difesa degli armeni è stata quella della Francia. Per antica tradizione diplomatica antiturca, filoslava e dalla riluttante fedeltà atlantica, la posizione di Parigi però non ha stupito nessuno. Che i francesi fossero più vicini ai russi che agli americani sulla questione armena, era in qualche modo scontato.
Stupisce viceversa che un coro unanime si sia levato da Berlino, spesso ostaggio di sensi di colpa ed europeismi molli. Se sia una rondine che non fa primavera o il sintomo di malumori più ampi, lo scopriremo solo vivendo. Nessuno toglierà nel frattempo per gli armeni, il diritto di sentirsi meno soli.
(foto: presidenza turca / Axel Hartmann)