La guerra si fa anche con l’informazione, si sa. Molte cose si dicono, altre no, a seconda della vittima e del carnefice. Mentre scriviamo, viene confermato da fonti locali siriane il massacro di Aqarib, a nord di Hama. Il 17 maggio, miliziani dello Stato Islamico avrebbero lanciato la più imponente controffensiva del 2017 contro postazioni governative nel settore nordoccidentale della Siria. Dopo una parziale ritirata, le Forze di Difesa Nazionale (unità territoriali addestrate dall’Iran) avrebbero ripreso il controllo dei villaggi persi. Durante la fuga, i miliziani dell’ISIS avrebbero massacrato decine di civili (il video di riferimento mostra corpi di donne e bambini e non è pubblicabile da Difesa Online). Non se ne parla, se non in alcune testate arabe di orientamento sciita.
L’informazione parziale o deviata incide su tutti gli aggiornamenti in corso dal teatro siriano. Una linea generale dello scenario però, sembra visibile. In vista di un dissolvimento dello Stato Islamico prima della fine del 2017, tutto sembra andare nella direzione di una generale corsa alla vittoria finale, con attori dormienti improvvisamente rinvigoriti.
Come annunciato da indiscrezioni durante la campagna per l’Eliseo, prende di nuovo forza l’Opération Chammal. Gli aerei francesi sono tornati alla carica contro l’ISIS in Iraq e in Siria (segnalate 80 sortite dal 10 al 16 maggio tra Raqqa in Siria e Ramadi in Iraq). La Coalizione occidentale sembra dunque rimettersi in moto, dopo alcune settimane di torpore. Il vero nodo focale sembra però quello che coinvolge il territorio tra l’Eufrate e il confine siro-iracheno.
Da alcuni giorni su queste pagine stiamo ponendo l’attenzione sulla ritirata generale dei terroristi del Califfato, spinti da nord dalle milizie arabo-curde delle SDF, da ovest dall’esercito di Assad e da sud dalle truppe irachene. Il territorio dell’ISIS si riduce progressivamente, ma il punto è capire chi ne prenderà il posto. I regolari siriani, aiutati da forze speciali e caccia russi, avanzano lentamente da Palmira verso est e sudest, puntando a liberare la guarnigione di Deir Ezzor assediata da anni, ma al tempo stesso intenzionati a raggiungere i posti di confine tra Siria e Iraq e tra Siria e Giordania. Qui si gioca la partita.
Da circa 24 ore (18 maggio), nel Governatorato di Suwaida, non lontani dal confine giordano, sono in corso scontri tra unità corazzate siriane e Jaysh Assoud al Sharqiya, una milizia integrata nel Free Syrian Army e armata dagli Stati Uniti. Lo scontro fa parte della più grande battaglia che riguarda tutta l’area a ridosso del Golan (Governatorato di Dar’a) e l’Eufrate, lungo un asse lungo quasi 600 km. Mentre i terroristi del Califfato si ritirano, altri gruppi ribelli (islamisti e non) vengono foraggiati dall’Occidente per impedire alle truppe siriane di riprendere tutto il territorio perso tra il 2011 e il 2015. Sotto quest’ottica anche la battaglia per la liberazione di Raqqa e i raid della Coalizione a guida USA contro l’ISIS nell’area di Deir Ezzor, assumono un senso diverso.
Come segnalato oggi (18 maggio) da La Stampa, l’intelligence USA sarebbe convinta dell’esistenza di armi chimiche nei depositi dell’ISIS a sud di Deir Ezzor. Il “polo chimico” sarebbe nato da una convergenza di terroristi esperti del settore provenienti dai territori di Iraq e Siria ancora in mano al fondamentalismo sunnita. La notizia sarebbe l’ulteriore prova del grande interessamento occidentale (intendiamo con questo, la Coalizione a guida USA, nda…) per la regione di Deir Ezzor, ignorata per anni. Ricca di petrolio, l’area intorno al capoluogo siriano, potrebbe essere liberata dalle truppe di Assad entro l’estate creando un grande problema strategico all’Occidente: le forze che vengono da Raqqa, prossima a cadere, rimarrebbero tagliate fuori da un’avanzata verso sud (non ci sarebbe più l’ISIS da combattere…). La valutazione va fatta alla luce degli ultimi aggiornamenti che arrivano dall’Iraq.
Mentre lo Stato Islamico si riduce, le truppe più leste ad avanzare sono le PMU, le Unità di Mobilitazione Popolare a maggioranza sciita. La milizia irachena (si parla di 100.000 unità) rappresenta una componente strutturale delle forze che combattono l’ISIS in Iraq e al tempo stesso è portavoce della maggioranza della popolazione irachena, di fede sciita.
Frutto di Iraqi Freedom e della caduta di Saddam (grande repressore degli sciiti), le PMU rappresentano un autogol per le velleità occidentali nel futuro della Siria, una volta finita la guerra. Le milizie sono in procinto di controllare i valichi di frontiera fra Iraq e Siria e non nascondono la loro linea politica filo-Assad. La prova del nove ci sarà nelle prossime settimane, quando potremo aspettarci il seguente scenario:
- aumenterà la pressione della Coalizione fino alla caduta di Raqqa;
- i gruppi armati che formano il Free Syrian Army saranno ulteriormente aiutati dagli USA affinché prendano posizione nei territori abbandonati dal Califfato;
- se la pressione dell’esercito siriano aumentasse verso sud è in programma l’ingresso delle truppe USA-giordane ammassate oltre il confine giordano;
- convergeranno verso Deir Ezzor sia truppe della Coalizione (SDF arabe e forze speciali USA) sia governativi siriani aiutati dai russi.
Quest’ultima sarà la partita decisiva. Le presunte armi chimiche in mano ai terroristi a sud della città, potrebbero essere una ragione in più per un intervento diretto americano (e alleato) lungo tutto il corso dell’Eufrate. Si raggiungerebbe così il doppio obiettivo di stoppare i siriani e bloccare l’avanzata verso nordovest dei miliziani sciiti iracheni.
(foto: web / Ministère de la Défense / SANA)