L’inizio del cessate il fuoco coincide con un apparente sostanziale silenzio. In realtà sia sul campo che nelle capitali dei Paesi coinvolti, l’attività è fervente. La situazione è fluida ma ci sono delle certezze oggettive. La prima è che la guerra in Siria è entrata in una nuova fase, probabilmente l’ultima.
Sul terreno si registra ancora l’avanzata lenta ma progressiva dei governativi, innanzitutto a nord sul fronte di Latakia-Idlib. Sul versante più occidentale ormai le truppe di Damasco sono arrivate a ridosso del confine turco, chiudendo la partita contro i terroristi appoggiati da Ankara. L’avanzata prosegue lungo l’asse Latakia-Aleppo procedendo verso est e verso nord.
Sul fronte centrale invece ci sono da registrare almeno due importanti novità:
- l’ennesimo assalto fallito dei terroristi del Califfato a Deir ez-Zur contro i parà della 104a Brigata della Guardia repubblicana, comandata dal leggendario generale Issam Zahreddine. La maggior parte dei morti tra le file ISIS sarebbero cittadini sauditi, marocchini, malesi ed egiziani.
- Più a ovest unità della 67a Brigata della 18a Divisione corazzata hanno strappato alle milizie ISIS il controllo dei monti Jabal, subito sopra Palmyra. La contesa dura da quando in estate, invertendo le sorti della guerra, l’esercito siriano ha iniziato a riprendere il controllo dell’autostrada Homs-Palmyra. Le truppe di Damasco ora sono a 3 km dal fianco ovest delle alture che dominano i siti archeologici. La conquista ha una ripercussione importante su tutto il fronte est: la zona, oltre ad essere strategica per recuperare Palmyra, è anche molto ricca di petrolio.
Sul piano politico il fattore predominante è il dubbio dei Paesi sedicenti in lotta contro lo Stato Islamico sull’introduzione di forze di terra in Siria. Come sostenuto dal portavoce saudita, generale Asseri, Riad dopo aver rischierato aerei da guerra a Incirlik in Turchia, avrebbe ribadito la sua disponibilità al dispiegamento di truppe, sollevando però dubbi sul ruolo, sugli obiettivi e sulle dinamiche d’impiego.
Gli stessi dubbi sarebbero sollevati dagli Stati Uniti, molto concentrati sulle elezioni di novembre ma attenti a non farsi sfuggire di mano la situazione.
La Turchia infatti spinge per un’escalation in modo da conservare il proprio ruolo a ridosso della frontiera siriana e continua a usare l’artiglieria contro i curdi e contro postazioni dello Stato Islamico (così riportato dall’agenzia privata Dogan) a nord di Aleppo. Se confermato, quest’ultimo dato avrebbe un significato tattico e strategico insieme: da una parte favorire i ribelli turcomanni appoggiati da Ankara, spesso in contrasto con lo Stato Islamico per questioni di leadership regionale; dall’altra mostrare al mondo il proprio impegno contro il terrorismo internazionale.
Gli Stati Uniti, come paese leader della coalizione anti terrorismo, avrebbero rinnovato la scelta di appoggiare materialmente gruppi ribelli di opposizione, nella convinzione che questo possa arginare il Califfato. L’aspirante Presidente Hillary Clinton, attenta a non contraddire le scelte politiche degli ultimi anni (Dem e Repubblicani su questa linea hanno sempre convenuto) ha espresso parole molto chiare in questo senso.
Gli eventi degli ultimi 6 mesi dimostrano però che militarmente si può battere l’ISIS. Basta volerlo.
Quel che è certo è che gli sviluppi dei prossimi due mesi diranno molte cose sul futuro politico e territoriale della Siria.
(Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri/SAA)