Siria e Iraq: Isis e Al Qaeda alleati. Al Baghdadi catturato?

(di Giampiero Venturi)
18/04/17

Le dichiarazioni del vice presidente iracheno Allawi, sono dirette: lo Stato Islamico sta cercando un’alleanza strutturale con Al Qaeda per continuare la lotta in Siria e in Iraq nel nome della jihad. Allawi, sciita come il presidente Anbadi, cita fonti di intelligence secondo cui emissari di Al Baghdadi (ISIS) e Zawahiri (Al Qaeda) si sarebbero già incontrati per pianificare un piano operativo comune. La notizia arriva mentre alcune agenzie rimbalzano (senza conferme) la cattura di Al Baghdadi da parte dei servizi russil a cavallo tra l’Iraq per la Siria.

È bene fare alcune specifiche. Dal 2014, Al Qaeda e ISIS sono ufficialmente in contrasto. Più che parlare di differenze, potremmo accostare le due sigle secondo una linea temporale. Sunniti salafati profondamente convinti della necessità di una guerra globale contro l’Occidente e dell’instaurazione di un sistema teocratico basato sulla supremazia islamica (sunnita), entrambi i gruppi hanno attinto a pieni mani dall’appoggio dell’Arabia Saudita. Il wahabismo più conservatore è stato l’embrione dell’insorgenza islamista afgana di fine anni ’80 sulle cui basi poi Bin Laden ha creato Al Qaeda e i Talebani hanno preso il potere a Kabul; lo stesso wahabismo saudita è lo sponsor dello Stato Islamico, nato come Stato fantasma a cavallo di Iraq e Siria, a seguito della disgregazione delle istituzioni irachene dominate dai sunniti.

Al Qaeda e l’esperienza talebana nascono per riempire un vuoto in Asia centrale dovuto alla guerra civile afgana; l’ISIS nasce per riempire quello generato da Iraqi Freedom nel 2003 e per contrastare l’arco sciita generato tra Beirut, Damasco, Baghdad e Teheran. Se dietro Al Qaeda c’è l’Operazione Cyclone della CIA coordinata dal deputato Charlie Wilson in accordo con i Servizi pakistani (la famigerata ISI, onnisciente in tema di islamismo), dietro all’ISIS c’è Riad, che ha riorganizzato militari e paramilitari sunniti sbandati in seguito allo scioglimento del partito Baath e delle Forze armate irachene nel 2003 (famoso colpo di genio del “governatore” americano Paul Bremer).

Il contrasto ideologico (“l’Islam non si divide”, secondo l’idea universalista originale di Al Qaeda) andrebbe ridotto quindi ai contrasti interni alle leadership e alla forza organizzativa. Al Qaeda è una federazione virtuale che ha generato cellule in giro per il mondo islamico (Al Nusra in Siria ad esempio); l’ISIS è un para-stato dotato di proprie infrastrutture. Non possiamo sostenere che siano esattamente la prima (Al Qaeda) preludio del secondo (Stato Islamico), ma con buona approssimazione sono un fenomeno analogo adattato a contesti e a patrocini diversi. Nella sostanza, in effetti, cambia poco: la guerra all’Occidente e l’instaurazione di un Califfato globale sono obiettivi strategici da conseguire per entrambi i cartelli attraverso la violenza.

La sintesi di quanto sopra è stata rappresentata nel nord della Siria negli ultimi mesi dove il regolamento di conti fra diversi gruppi salafiti legati ad Al Qaeda (gli ex Al Nusra di Jahbat Fateh Al Sham contro e Ahrar al Sham) ha avuto un significato più interno politico che ideologico.

Cosa succederà ora? Il grosso della partita militare si chiuderà nel 2017 sia in Iraq che in Siria, ma gli orizzonti politici sono nebulosi. Ad esempio, l’abbraccio Turchia-Arabia Saudita che ha foraggiato l’islamismo in Siria per sei anni, andrà valutato sulla scorta dei rispettivi obiettivi strategici: Riad ha necessità di contrastare una continuità territoriale sciita tra il Mediterraneo e il Golfo; Ankara di non permettere quella fra curdi siriani e curdi turchi. L’ago della bilancia saranno ancora una volta gli Stati Uniti.

A breve servirà una precisa posizione rispetto ai gruppi jihadisti del nord della Siria per evitare che il futuro sfaldamento dello Stato Islamico si riversi poi in un altro contenitore, come ad esempio il Movimento per la Liberazione del Levante.

Finanziare gli studenti afgani a cavallo fra anni ’80 e ‘90 si rivelò un errore tragico. Le prossime scelte in Siria (e Iraq) saranno altrettanto determinanti.