Siria. I turchi sconfinano e Assad riprende Daraya. Tutti pronti al rush finale di autunno

(di Giampiero Venturi)
26/08/16

I turchi entrano in Siria mettendo in atto parte del quadro prospettato su queste pagine da inizio estate. Dopo il viaggio di Erdogan a Mosca, ha prevalso la visione pragmatica per una exit strategy dal pantano siriano. Con l’obiettivo di ridurre ai minimi termini il “giocattolo” impazzito ISIS e avviarsi ad una conclusione del conflitto, gli attori cercano di massimizzare il risultato.

Dalla tarda primavera in poi era plausibile che lo scontro prossimo venturo sarebbe stato fra curdi e governo di Damasco, in una sorta di corsa spalleggiata rispettivamente da USA e Russia verso l’eliminazione innanzitutto dello Stato Islamico. Nel contenzioso, nato sulla scorta delle ambizioni indipendentiste curde, l’ago della bilancia lo ha fatto la Turchia, con conseguenti scossoni in campo atlantico-occidentale.

Andiamo con ordine.

Jarablus, 3 km dal confine turco, è stata occupata dall’esercito di Ankara. Così come richiesto dalla Turchia, le forze curde dell’YPG impegnate su questo fronte contro il Califfato, si sono ritirate a est del fiume Eufrate che taglia verticalmente la regione. I curdi hanno ceduto alle pressioni di Washington, apparentemente disposta a tutto pur di non aumentare la distanza politica con la Turchia in Medio Oriente.

L’azione turca, condotta dall’esercito regolare e da migliaia di miliziani del Free Syrian Army, rianimato per l’occasione proprio dagli aiuti di Ankara, è avvenuto in aperta violazione della sovranità di Damasco. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, Assad deve cedere però alla ragion pratica: i turchi s’impegnano a spegnere il focolaio curdo, vero loro interesse nazionale, ricattando politicamente gli Stati Uniti. Dalla cosa ci guadagna indirettamente anche Damasco, non più alle prese con un aspirante Stato indipendente interno ai suoi confini; in cambio deve accettare il cuscinetto di miliziani filoturchi all’interno dei governatorati del nord, con cui il confronto sarà ancora lungo. Probabile viceversa il ritiro oltre frontiera entro poche settimane delle forze regolari turche.

In termini concreti, nel caos siriano le cose si semplificano: si riducono i fronti e ci si prepara alla resa finale. 

Una conferma di ciò arriva da Daraya, città culla della sollevazione contro il governo di Assad nel 2011. I ribelli si arrendono e tutto il territorio municipale è in corso di riconsegna alle autorità di Damasco. In cambio i miliziani ottengono di essere trasferiti con bus governativi al nord, a ridosso del Governatorato di Idlib, roccaforte dei miliziani filoturchi di Jaysh al Fatah. L’accordo pone fine a un assedio lungo ormai anni e rientra nei contatti indiretti tra Damasco e Turchia, passati attraverso i palazzi di Mosca. Di fatto lo scontro si sposta nei sobborghi sudoccidentali di Aleppo, dove saranno trasferite nelle prossime ore anche 2500 unità della 4a Divisione meccanizzata siriana, impegnata finora sul fronte di Daraya.

Cosa succederà nei prossimi giorni è da vedere, ma è presumibile che lo scontro ad Aleppo si farà ancora più cruento.

A questo proposito va rivelato l’informazione distorta che passa attraverso i media occidentali (RAI compresa). Il fronte di Aleppo, dove si combatte una battaglia fra forze governative e ribelli eterodiretti, viene sempre più dipinta come caos umanitario senza soluzione, così da diluire i fronti e le responsabilità militari in un calderone di cui il Medio Oriente è stato testimone più volte (l’esempio di Beirut dei primi anni ’80 vale su tutti).

Il continuo riferimento all’Osservatorio siriano per i diritti umani di Rami Abdel Rahman come fonte di dati aggiornati, non può che confondere le idee. Con ogni evidenza l’obiettivo geopolitico delle cancellerie vicine a Washington è quello di dichiarare Aleppo “questione internazionale”, così da rendere vani gli sforzi bellici delle forze armate siriane e dei loro alleati, e creare per il futuro un problema permanente di sovranità e amministrazione regionale.

Per ora sono ancora le armi a parlare.

(foto: SAA / Türk Kara Kuvvetleri)