Ad Aleppo si fa il sapone da 2000 anni, mescolando olio d’oliva e alloro. Olive e alloro crescono in Siria da sempre. Soprattutto verso il Mediterraneo fino ad Alessandretta, oggi Iskenderun, dono francese alla Turchia. Anche se da cinque anni il sapone non si fa più, crescono ancora oggi tra oleandri e bouganville, con l’aria dolce che viene dal mare.
La Storia qui è di casa. Lo dicono i 5000 anni di Aleppo, per gli amici Halab, forse la città abitata più antica del mondo.
La Cittadella, il suq, la grande moschea, il quartiere cristiano… Aleppo era bella. Era la città degli hammam. Lo Yalbougha al-Nasri, sotto la Cittadella, lo conoscevano tutti. Da agosto 2014 è mezzo distrutto, così come il suq e quello che c'era intorno.
Capitale del nord, alter ego di Damasco, bollente d’estate, fredda umida d’inverno: Aleppo era la Milano della Siria.
Ad Aleppo è passato l’inferno ma la vita è rimasta. In pochi ci sono stati ma in molti ne parlano. Così, senza aver visto. Il grosso della città è rimasto com'era, scheggiato male da una guerra sfuggita di mano a chi l'ha pensata. Le distruzioni si concentrano tutte nella parte antica, dove tra gli scheletri degli edifici l’eco di voci arabe contende il vuoto a lamiere, auto bruciate, macerie. Dove passa la guerra rimane la puzza. D’immondizia, di gas, di fogna.
Le nostre tv raccontano quello che vogliono. Per i più tanto, quel che si dice va sempre bene, anche se dallo schermo la puzza della guerra non passa. Nessuno sa, nessuno chiede, in pochi capiscono. Quasi tutti i servizi dalla Siria sono girati altrove. In fondo, la situazione sul campo interessa a pochi. Basta dire che Aleppo è tutta distrutta, anche se non è vero. Basta blandire il senso di pietà a basso costo che langue dentro ognuno di noi. Basta dire qualcosa.
Nei sobborghi i terroristi tirano ancora. Da alcune settimane Al Nusra e i brandelli dell'FSA sono in difficoltà. Dal 2014 le cose sono cambiate e l'ora del conto finale si sente nell'aria. L’esercito sta arrivando per la battaglia che forse cambierà la storia della guerra di Siria. Molte menzogne verranno fuori su Aleppo, sulla Siria, su tutto.
Qui tornerà il traffico, i clacson e il casino di una città più sveglia dell'aria sorniona che mostra. Si tornerà a bere caffè a ridosso della cittadella e a fumare. Si tornarà a vivere tra balconi ottomani e stradine troppo vicine alla Turchia per non sentirne il ricordo.
Un ufficio governativo è chiuso e impolverato dalla guerra. Si vede una bandiera siriana sull'insegna distrutta. Sembra quella irachena. Siria e Iraq fino a metà anni ’80 erano amici-nemici. Unite e divise dal partito Baath al potere, Damasco e Baghdad erano agli antipodi per riferimenti confessionali e relative alleanze. La dinastia Assad, sciita alauita, guardava all’Iran; il regime di Saddam, sunnita, dell’Iran di Khomeini era il nemico più grande. Eppure entrambi i Paesi, avevano nel DNA l’antagonismo ideologico all'America guerriera (più che all'Occidente): una buona capacità militare mantenuta dai sovietici, una contrapposizione genetica a Israele e una strizzata d’occhio al panarabismo di cui dopo il “tradimento” dell’Egitto a Camp David si sentivano eredi. Siria e Iraq erano fortezze malfidate e reali. Oggi guardano a quel che è rimasto di loro.
Intanto le incursioni della coalizione USA che due anni fa erano pensate per Assad, proseguono senza uno sbocco imminente.
A vederla così, l’officina Medio Oriente sembrerebbe addirittura creativa: Damasco, Hezbollah e Iran sulla carta combattono lo stesso nemico di Israele e USA... Tutto questo mentre Israele punzecchia Hezbollah ai confini tra Siria e Libano e Assad ringrazia mamma Russia.
Nel 2013 Mosca scongiurò il bombardamento americano di Damasco agendo in sordina, dietro le quinte. Quella mossa risparmiò Assad e il successivo vuoto istituzionale in stile iracheno, scongiurando l’ulteriore sciagura geopolitica mediorientale.
Dopo guerra su guerra, dolore su dolore, palazzi e coscienze scheggiate, la politica torna a parlare. Dal 2013 sono cambiate le carte ma così come Aleppo aspetta qualcosa, tutto rimane sospeso. La guerra continua, tutto si accelera ma come spesso capita in Medio Oriente, lo stallo incombe perché finisce per sembrare l’unica strada possibile.
Si parla di dividere la Siria, si parla di fine dell'orrore, spesso si parla e basta. Chi ha destabilizzato la Siria si assuma le sue responsabilità, verrebbe da dire. Ma anche no. La parola Siria corre in rete, nei corridoi delle diplomazie, dietro i vetri dei palazzi ONU. Ne parla a bassa voce Israele, che ha paura di perdere un caro vecchio nemico, di cui alla fine poteva perfino fidarsi. Ne parla Washington, preoccupata di coprire le follie degli ultimi 15 anni. Ne parla Mosca, rientrata nel grande gioco del Vicino Oriente. Ne parla l’uomo della strada, più pronto a condividere e indignarsi che a capire.
Quel che conta è che Aleppo nel frattempo ha continuato a vivere. Della vecchia Milano della Siria, patrimonio dell’Unesco, solo la città vecchia è ridotta in cenere. La cenere forse servirà a ricominciare, magari proprio dal sapone. Quel sapone che dovrà lavare orrori, lutti e infinite bugie. Un giorno magari si ricomincerà a produrlo con olio d’oliva e alloro, contando sul vento dell’ovest lontano che porta aria di mare e talvolta perfino buon senso.
(Foto: DO)