Siria, rottura tra Usa e Russia. Ecco perché non possiamo parlare di Guerra fredda

(di Giampiero Venturi)
05/10/16

L’esito era già annunciato. Finita la breve esperienza del “cessate il fuoco”, in Siria la parola resta alle armi. L’ultima novità in ordine di tempo giunge delle dichiarazioni del portavoce della Casa Bianca Earnest “gli USA hanno esaurito la pazienza” con riferimento alla decisione di Mosca di non sospendere l’aiuto alle Forze Armate siriane impegnate in queste ore ad Aleppo.

La risposta di Mosca tramite la portavoce degli Esteri Zakharova non si è fatta attendere

“Gli USA cercano di scaricare sugli altri le loro responsabilità in Siria…”

La rottura era nell’aria. I presupposti per un accordo non c’erano per due motivi elementari:

1) gli USA, patrocinatori indiretti della rivolta contro Assad e arrivati sul punto di bombardare la Siria nel 2013, non sono disposti ad accettare compromessi che lo vedano ancora al potere. La sconfitta politica sarebbe cocente;

2) la Russia, chiamata in soccorso proprio da Assad, è arrivata al suo primo anno di guerra in Siria e non ha intenzione di fare sconti a nessuno.

Queste semplici verità rimangono velate dai cavilli che in modi e momenti diversi finiscono sul tavolo della diplomazia, teoricamente tesa alla soluzione della crisi siriana. Nonostante i buoni propositi di facciata i due grandi attori della guerra in Siria sono distanti anni luce. Due dati sono indiscutibili alla luce di quanto accade sul terreno:

  • gli USA finanziano i ribelli cosiddetti “moderati”, la cui distinzione da quelli jihadisti risulta un mistero per molti;
  • la Russia appoggia le forze che li combattono.

Come già detto in queste pagine, lo Stato Islamico nel contesto attuale è assolutamente incidentale. Nato sulle ceneri dell’invasione dell’Iraq del 2003 e tollerato (o alimentato) dall’Occidente per un decennio, oggi ha motivo di esistere solo per giustificare la guerra che tutti dicono di fargli contro. È destinato a scomparire, ma rimane tutt’oggi ancora utile per dare un senso alle tonnellate di armi che attraverso la Turchia continuano ad arrivare alla galassia di ribelli del nord. Se non ci fosse l’ISIS, oggi sarebbe più difficile trovare una ragione morale all’appoggio dato ai miliziani di Jabhat Fateh al-Sham (ex Al Nusra, cioè Al Qaeda) o anche solo ai curdi del Rojava. Nel primo caso sarebbe un chiaro aiuto al terrorismo internazionale che si pretende di combattere; nel secondo, una mera interferenza negli affari interni di un Paese sovrano. 

La rottura dichiarata tra USA e Russia sulla crisi siriana altro non è che il remake di un altro momento di gelo, avvenuto in primavera. A marzo i russi provarono ad allentare con Assad dichiarando anche un ritiro parziale dalla Siria; in cambio avrebbero dovuto cessare gli aiuti americani ai miliziani ribelli. Gli aiuti non cessarono e l’appoggio di Mosca a Damasco riprese con più slancio di prima.

Cosa succederà quindi? Tutto si risolverà sul piano militare?

Non proprio.

Innanzitutto ricordiamo che l’amministrazione Obama è agli sgoccioli. Benché il nuovo Presidente s’insedierà dopo metà gennaio, già fra un mese ne conosceremo il nome e con lui quello del possibile staff del Dipartimento di Stato. Con ogni probabilità il mese di ottobre vedrà una recrudescenza delle attività militari in Siria. L’esercito governativo, appoggiato dai raid aerei russi, cercherà con ogni sforzo di liberare la totalità della città di Aleppo che avrebbe un valore simbolico enorme e un impatto emotivo su scala internazionale. L’offensiva di queste ore ne è la prova.

Se vincerà Trump, probabile che le carte in tavola cambieranno e che il dialogo con Mosca si riaprirà rapidamente a scapito delle milizie islamiste che hanno lucrato sulla scia dell’appoggio di Obama ai ribelli anti Assad. Se vincerà la Clinton, lo scontro con la Russia continuerà e a quel punto probabile che contino i risultati sul campo. Più forte sarà Assad, più difficile sarà mandarlo via.

Non tutti però hanno capito l’antifona. Le agenzie e i media occidentali continuano a schierarsi in modo manicheo, calcando la mano contro Damasco. Basta riportare alcune righe dell’ANSA del 4 ottobre per farsi un’idea. Parlando di Aleppo testualmente si scrive

“…nella città martoriata da russi e governativi”

L’informazione oltre che obiettivamente errata (ad Aleppo la guerra l’hanno portato le forze jihadiste e non quelle del governo, impegnate semmai a riconquistarla), il modo in cui ci si pone davanti alla crisi siriana sembra poco lungimirante. Sarebbe interessante, nel caso in cui vincesse Trump, vedere la goffa retromarcia a cui sarebbero costrette molte cancellerie occidentali coi loro organi di stampa, appiattiti per anni senza discutere sulle politiche di Obama…

C’è una buona possibilità però che alla Casa Bianca arrivi Hillary. Nel caso, i presupposti per un rilancio dello scontro con Mosca ci sono tutti. Probabile anzi che la situazione peggiori.

Ci troveremmo allora di nuovo davanti ad una Guerra fredda?

La risposta è, con ogni evidenza, no.

La definizione che ci ha accompagnato per mezzo secolo, per una pura questione di simmetria va lasciata agli archivi della Storia.

Oggi non esistono due blocchi contrapposti, due aree ideologiche ed economiche che si contendono lo spazio globale con sfere d’influenza. Il 1991 oltre a liquidare il mondo sovietico ha segnato l’inizio della fine dei grandi dibattiti ideologici. Con essi sono state sepolte tutte le possibili realtà istituzionali di riferimento.

Se prima gli USA sovraintendevano ad un mondo liberal democratico e liberista, contrapposto ad un emisfero orientato al socialismo reale, oggi lo scontro tra Washington e Mosca passa solo per interessi macroregionali. Gli Stati Uniti sono eredi dell’ultimo decennio del ‘900 in cui hanno goduto di mano libera su scala planetaria;  la Russia è erede di un impero di cui lentamente ha ricostruito la forza ma non il raggio d’azione. Se i primi sono costretti ad imporsi per mantenere l’egemonia globale, la seconda  è costretta a non cedere terreno per una logica di sopravvivenza.

Non ci sono altri attori: da una parte c'è una Superpotenza che cavalca la globalizzazione economica e culturale; dall’altra chi prova a resisterle. Il piano resta comunque asimmetrico.

La Guerra fredda sottintendeva tutta una serie di riflessi culturali e sociali che finivano per influenzare la vita di interi popoli, a seconda dell’area ideologica di appartenenza. Lo scontro era globale per definizione. Oggi per quanto aggressiva possa essere la politica estera russa, l’obiettivo di lungo periodo resta l’identità.

Soprattutto se gli States torneranno ad una sorta di dottrina Monroe, privilegiando gli affari domestici a quelli planetari, parlare in termini di Guerra fredda sarà sempre più fuori luogo.

(foto: ВСРФ-SAA)