Le evoluzioni della crisi siriana passano dal fronte nord. Tre i settori chiave:
1) l’area intorno ad Aleppo, dove si concentra il grosso della mobilitazione lealista per la riconquista della città;
2) la regione a nord est di Latakia, a cavallo col Governatorato di Idlib, dove la riconquista delle forze di Damasco fa i conti con un terreno montagnoso e un appoggio costante che i terroristi di Al Nusra ricevono dalle retrovie oltre il confine turco;
3) l’area a nord est del Paese, sorta di sperone siriano che s’insinua fra Iraq e Turchia.
Quest’ultimo settore dal punto di vista politico è al centro del dibattito delle ultime settimane. Lo sviluppo in Siria dello Stato Islamico a partire dal 2014 ha finito col creare due fronti, fusione sommaria di due grandi priorità: tutti quelli che sono al fianco di Damasco; tutti quelli che per un motivo o un altro appoggiano l’insorgenza fondamentalista.
Nel complicatissimo scenario siriano si sono ritrovati così a combattere fianco a fianco anche realtà poco affini, non solo per estrazione, ideologia o appartenenza ma anche per obiettivi finali.
Sul fronte islamista la questione è relativa. I dissidi più evidenti si sono materializzati nell’ultimo mese fra cosiddetti ribelli moderati e milizie ISIS nel fronte sud della Siria, nei distretti intorno a Daara e nell’area a est di Aleppo. Gli scontri hanno però solo sortito l’effetto di facilitare le operazioni delle Forze Armate siriane e dei loro alleati, senza tuttavia fornire un quadro politico organico.
Sul fronte lealista invece la questione è più delicata proprio sotto una logica politica.
Nel nord est del Paese lo sforzo maggiore nella guerra alle milizie islamiste lo hanno sostenuto per anni i curdi dell’YPG. Finora esercito siriano e milizie curde sono state considerate alleate, con check point addirittura congiunti in molti distretti. Da circa un anno, la controffensiva contro l’ISIS nell’area di Hasakah è stata spesso condotta in modo unitario dai rispettivi comandi.
Nelle ultime settimane però i rapporti fra Damasco e Partito dell’Unione Democratica (il maggior rappresentante politico dei curdi siriani) si sono deteriorati. Al punto che le notizie dal fronte nord est riportano scontri pesanti fra le Quwat ad-Difāʿ al-Watanī ((le Forze di Difesa Nazionale, truppe paramilitari governative che agiscono su base territoriale) e milizie YPG. L’area degli scontri sarebbe Qamishili, controllata dal governo ma all’interno di una regione completamente in mano curda.
La lettura del nuovo attrito va fatta alla luce della rivalità fra arabi e curdi, mai celata anche in tempo di pace, ma soprattutto è il segnale di una nuova fase della guerra in Siria, come più volte detto ormai avviata sulla strada dei conti finali. A marzo i curdi del nord est hanno dichiarato la nascita della regione federale autonoma (il Rojava). La notizia, passata alle cronache senza particolari attenzioni, ha suscitato una decisa reazione sia di Damasco, contraria a un sistema federale per la Siria del futuro, sia della Turchia, terrorizzata dall’asse fra curdi siriani e PKK. Ora gli si scoprono gli altarini: con la prospettiva della fine della guerra, le parti in campo si affrettano a fare luce sui propri obiettivi prioritari. È evidente che i curdi piuttosto che alla sopravvivenza di un governo forte a Damasco diano precedenza alla tanto agognata autonomia.
Come evolverà la situazione militare non è facile capirlo ora. Certamente è una distrazione importante dall’assedio verso sud al territorio sotto il controllo dello Stato Islamico, all’interno del quale continua a resistere Deir ez-Zur sotto assedio da anni.
E proprio in direzione della città trincerata continuano a marciare le Forze Armate siriane reduci dalla vittoria di Palmira. L’avanzata, rallentata solo dai campi minati sparsi dai miliziani del Califfato, si concentra ora intorno all’area petrolifera di Arak dove sarebbero state riposizionate le unità d’assalto Tigre.
Sempre da Deir Ezzor giunge la notizia che unità della 104a Brigata Paracadutisti della Guardia Repubblicana, comandata dal generale Issam Zahreddine, avrebbero abbattuto un drone da ricognizione appartenente all’ISIS. L’uso di droni da parte dello Stato Islamico non sarebbe una novità. Non sarebbe nemmeno nuova la domanda su chi siano i fornitori. Nel dramma siriano c’è ancora posto per il ridicolo.
(foto: SAA)