Strage di cristiani in Egitto: l’orrore e lo sdegno

(di Giampiero Venturi)
10/04/17

L’orrore viene dalla morte arrivata con metodo e da quel dolore normale che ormai per noi è diventato abitudine. Farci filosofia serve a poco: l’odio, del resto, è una litania antica dell’essere umano e quel che avviene contro i cristiani nel mondo e in particolare in Egitto, deve rientrare in questa fattispecie. Non c’è altra spiegazione. Non riusciamo a darne altra.

Ma l’orrore degli altri non scuote, per quanto accennato sopra e per cinismo indotto. Non bastano i pianti altrui, no. Serve una dose minima di disappunto per spingerci oltre e farci provare sdegno.

Sì, sdegno. Sdegno e vergogna per il silenzio intorno e per le poche parole rarefatte. L’endemica malattia del comodo Occidente che ama disprezzare se stesso, unto dal grasso della sua ex opulenza, probabilmente ha colpito ancora.

Fosse l’indifferenza, non sarebbe nemmeno grave. Sarebbe una deriva dei tempi, quasi una sonnacchiosa riluttanza a muoversi nell’adagio pigro di generazioni imbelli, capaci d’indignarsi per sentito dire, magari per fenomeni rimbalzati da una piattaforma social.

No. Non è l’indifferenza quella che avvolge i fatti di sangue contro i cristiani nel mondo da ormai tre buoni lustri. C’è dell’altro.

Papa Benedetto XVI diceva che la patologia di casa nostra è l’aver smesso di volerci bene. Siamo affetti da una forma di masochismo, differito in scetticismo molle, spalleggiato da una discreta dose di approssimazione e ignoranza. Un rifiuto di noi stessi tenue ma presente e diffuso. Un rifiuto a mezzo servizio che si veste da ironia saccente e distacco annoiato, talmente abulico da non saper nemmeno produrre ideali. Ci fosse Voltaire, avremmo una sponda. Noi ci limitiamo a galoppare verso un nulla immersi nella violenza.

Si arpiona una balena in Giappone, si muove la piazza; muore un pappagallo in Guinea, si protesta all’ONU; decine di cristiani vengono trucidati nella Domenica delle Palme, ci si muove a stento, con parole di circostanza, discontinue e fragili. Si dice ciò che è conveniente dire, si deplora nel vuoto con fretta e fastidio. Si invita al massimo a rispettare la libertà religiosa, senza specificare. La libertà sì, la libertà, sempre quella… 

Lo dicemmo a suo tempo (leggi articolo) per le stragi anticristiane in India e Pakistan. Quasi fosse inevitabile, l’essere cristiani diventa una colpa per cui pagare sembra necessario. Quasi fosse una scelta che si merita un “ben ti sta, perché sei fuori moda e fuori luogo”.  Del resto “in passato noi cristiani eravamo l’Inquisizione…”. La storia presa a saldi e in pillole fa sempre comodo. Intanto però si muore… 

Ieri (domenica 9 aprile, nda) in Egitto, a Tanta ed Alessandria, l’integralismo islamico ha interrotto e devastato centinaia di vite, profanando una celebrazione antica, di cui l’Occidente ormai si ricorda appena. Il Presidente egiziano Al Sisi, stretto nella morsa del fondamentalismo tra Califfato e Fratellanza Musulmana, reagisce e impone lo stato d’emergenza per tre mesi. Per noi invece è poco più di una nota di cronaca.

La questione è seria, serissima. L’Egitto è una carcassa piena di cose e dolori. Proprio su Difesa Online (leggi articolo) parlammo di come il Paese arabo sia decisivo nello scacchiere mediorientale. La vera partita si gioca qui.

Dal 2014 Al Sisi ha tirato i cordoni cercando di rimettere le cose a posto, ma l’estremismo islamico tra le Piramidi è ogni giorno più potente. L’imponente apparato di sicurezza del Paese funziona a strattoni. Milioni di uomini in uniforme tra forze armate, polizia e paramilitari più di tanto non possono contro chi ha denaro, appoggi e motivazioni. I coscritti della polizia egiziana, nei ranghi più bassi, arrivano a 150 $ di paga al mese. Come si possono evitare corruzione, collusioni e negligenza?

I rumori di piazza Tarhir sono ancora recenti. Il senso di diffidenza e sfiducia è generale. Sono partite le prime purghe del Presidente e si schierano le forze speciali, ma è una reazione istintiva. La militarizzazione del Paese si accompagna a un senso di impotenza ormai stratificato.

L’Egitto è una polveriera sotto cui il fuoco continua ad ardere. Da solo non può combattere una battaglia vitale non solo per i propri interessi. Ma noi non ci siamo. Sì proprio noi: noi occidentali, noi europei e soprattutto noi italiani che ospitiamo una comunità egiziana enorme; noi che avevamo legami economici speciali ma che da Regeni in poi, abbiamo fatto passi strani e siamo tornati a cuccia… Sì proprio noi, che sulla rete pubblica ci limitiamo a raccontare della strage di cristiani copti come fosse routine, senza anima, senza partecipazione. Per noi, attenti a non disturbare ogni sensibilità, una bomba che uccide in nome di un credo vale come le altre, forse meno.  

Mentre l’Egitto bolle, il nostro problema fa la cancrena. Crediamo di tollerare e per questo diventiamo intolleranti, per assurdo proprio con noi stessi. Non c’è peggiore forma di discriminazione di quella che nasce dalla supponenza, da una legge morale alla moda adattata al luogo comune del momento. Con indifferenza automatica produciamo comprensione a doppio binario, capace di farci accalorare per un valore imposto e di lasciarci freddi per ciò che non deve valere più.

Noi non possiamo parlare di odio religioso. Difendere la cristianità è diventata una bestemmia laicista. A noi è vietato perfino pensarlo. Dopo l’attentato a Stoccolma, i media hanno riportato le parole di Karin Vanngard, il sindaco della capitale svedese che parlava di apertura necessaria alle diversità. Il contesto non lo richiedeva, ma quello è il primo dato emerso. Su 56 articoli che parlavano del fatto, in ben 48 si citava la matrice islamica solo per inciso o a fine articolo (rassegna stampa Difesa Online, 7 aprile 2017).

Ma è davvero questo l’Occidente? Noi siamo proprio così?

Deve essere una strana deformazione ma sembriamo avvolti in una spirale dove si passa il tempo a cercare quello che ci travia, piuttosto che ciò che ci unisce.

Tra poche ore sparirà dalle pagine dei giornali e dagli elenchi delle agenzie anche questa mattanza d’Egitto. L’ennesimo bagno di sangue cristiano passerà in archivio per dare posto a qualcosa di nuovo e più utile. Le sue origini e le sue conseguenze si scioglieranno nel vuoto mentre la partecipazione al dolore rimarrà un videogame.

Presto smetteremo anche di aspettare: l’orrore marginale diventerà nullo e allora non ci sarà nemmeno quella dose minima di disappunto a farci provare sdegno.

(foto: القوات المسلحة المصرية)