Strage in Pakistan. L’ambivalenza di Islamabad a un bivio

(di Giampiero Venturi)
20/01/16

Da tempo su questa rubrica seguiamo le evoluzioni del Pakistan, Paese emblematico e banco di prova di molti prototipi di terrorismo islamico fondamentalista (v.articolo).

L’attacco di stamattina al campus della Bacha Khan University nel distretto di Charsadda non fa che ribadire la nostra linea di analisi: la parte occidentale del Paese ai confini con l’Afghanistan è controllata dallo Stato centrale solo in forma delegata.

L’attentato è avvenuto a poche decine di km da Peshawar capitale delle Provincie del Nord ovest (Khyber Pakhtunkhwa) e al tempo stesso capoluogo informale delle Aree tribali sotto diretta amministrazione federale. Questi territori, compreso i due pezzi di Waziristan, di fatto sono amministrati dai clan pashtun che non riconoscono la frontiera con l’Afghanistan e che amministrano la regione su sostanziale delega dell’ISI, i servizi pachistani. Il controllo della regione, bunker naturale dei capi Talebani durante la campagna militare della NATO, arriva senza soluzione di continuità fino a Jalalabad, in Afghanistan.

A Peshawar, città con 3 milioni di abitanti e centro vitale della regione, nel dicembre del 2014 ci fu l’attacco alla Scuola Pubblica Militare che procurò 145 morti e un’ondata d’indignazione in tutto il mondo. Anche in quel caso la rivendicazione fu dei Tehreek-Taliban, i Talebani pakistani, riunificatisi nel 2015 con l’ala secessionista Jamat Ul Ahrar. La scuola era frequentata da figli di alti ufficiali e provocò uno scossone all’interno delle forze armate di Islamabad, per anni accusate di foraggiare il terrorismo anziché combatterlo.

Gli attentati sono continuati per tutti il 2015. A settembre 17 morti in un attacco alla base aerea di Badaber (Peshawar). A dicembre l’attacco che abbiamo già documentato a Mardan.

Fonti dei TTP (i Talebani pakistani) ribadiscono la volontà di vendicarsi delle azioni repressive delle forze armate e dello Stato centrale in genere. L’esercito, da parte sua insiste sui risultati raggiunti nella lotta al terrorismo puntando anche sull’aspetto giudiziario. I terroristi catturati vengono in teoria giudicati da tribunali militari (la ratifica finale viene messa dallo stesso comandante in capo delle Forze Armate) che commina condanne a morte (impiccagione) con estrema facilità ma sulla cui trasparenza si addensano forti dubbi.

Cosa c’è dietro?

La domanda è sempre la stessa: il Pakistan finanzia il terrorismo o lo combatte?

L’Ufficio Pubblica Informazione delle Forze Armate Pakistane (ISPR) è molto attivo nella diffusione delle notizie che riguardano la lotta all’integralismo. Il portavoce Asim Bajwa su twitter si è affrettato a dichiarare concluso l’attentato al campus di Charsadda sottolineando la pronta risposta delle forze di sicurezza. Interesse principale del Pak Fauj (l’Esercito), componente più potente e influente delle Forze Armate pachistane, è mostrare alla comunità internazionale l’alacre impegno di Islamabad contro il terrorismo. L’interesse è imposto dalle pressioni USA non più disposti a tollerare l’ambivalenza pachistana e dalla fronda interna dei generali, soprattutto quelli di etnia punjabi e sindhi, poco inclini ad assecondare i pashtun.

Il dilemma è capire quanto pesino all’interno del mondo militare pakistano i famigerati Servizi dell’ISI. L’ossatura della società pakistana e la sua classe politica si sviluppano intorno alle Forze Armate: se l’ISI che ne controlla una fetta importante continua ad agire in modo nebuloso, tutto l’orientamento geopolitico del Paese ne risente.

Per capire le evoluzioni bisognerà attendere primavera e vedere le prime mosse delle cellule ISIS già presenti nell’Afghanistan orientale. Se ci sarà collaborazione operativa con i TTP (e le tribù pashtun in genere), vuol dire che l’ISI e l’ala pro talebana degli alti comandi militari pachistani sono ancora forti. In barba a quanto dice ufficialmente Islamabad e alla sua lotta contro il terrorismo.

(nelle foto il capo di stato maggiore dell'esercito pakistano - ISPR)