L’abbattimento del Sukhoi russo era questione di tempo. Poteva capitare per un missile dei ribelli siriani, poteva dipendere dalle milizie ISIS, poteva essere un incidente.
È stato un F-16 turco, su ordine del governo di Ankara.
Un Paese NATO attacca deliberatamente un aereo russo ufficialmente per difendere il proprio spazio aereo. Se lo scenario militare è preoccupante, il messaggio politico è chiarissimo e getta luce sui giochi di guerra al confine fra Siria e Turchia.
Per quanto nebuloso possa essere l’episodio, epilogo di una serie di scaramucce iniziate a settembre fra turchi e russi, in realtà per la prima volta dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi siriana si crea uno spartiacque netto sui fronti di guerra.
Due sono gli elementi da mettere in risalto:
- il confronto politico e militare in Medio Oriente si gioca a livello di Stati nazionali;
- i margini per dissimulare gli obiettivi di ciascun soggetto sono ormai nulli.
Riguardo il primo punto si prende atto del fatto che la guerra civile siriana, degenerata in problema regionale e globale, non vede protagonisti organismi sovranazionali. Alla totale assenza delle Nazioni Unite si somma l’isterismo di un’Unione Europea priva non solo di politica estera comune, ma anche di unità di valori di riferimento. Gli Stati nazionali si muovono singolarmente tenendo conto del grado di coinvolgimento nella crisi e del proprio peso politico-militare. Alla luce del fatto che il terrorismo internazionale di matrice islamista va considerato legato al teatro di guerra siriano, è facile comprendere che nessuno Stato nazionale può ritenersi escluso a priori da un diretto coinvolgimento nel conflitto. La Francia che si è mossa da sola, dimostra entrambe le cose.
A questo proposito la riunione della NATO alle 17 del 24 novembre richiesta proprio dalla Turchia è da ritenersi poco più di un pro forma da cui non c’è da attendersi decisioni operative particolari. L’interessamento diretto della Russia del resto allarga i rischi di un’escalation militare oltre ogni scenario prevedibile. La guerra in Siria che fin dall’inizio ha rivalutato il ruolo dei singoli Stati, finirà quindi per avallare la tesi che vuole un rimescolamento di alleanze, dovute a cambiamenti di equilibri e interessi geopolitici sempre più fluidi.
La cosa suona un po’ romantica e ottocentesca, ma l’intensa attività diplomatica di Parigi e Mosca dimostra da mesi come schemi e fronti classici siano in parte tramontati. La stessa idea di una Seconda Guerra Fredda sembra infatti già un’ipotesi da archivio.
Al netto del dato che risulteranno più isolati i Paesi che hanno puntato su una politica estera collegiale (Italia) al punto da rimanere completamente fuori dai giochi, la domanda che sorge automatica è semplice: ha ancora senso parlare di alleanze e schieramenti rigidi?
Possiamo provare a rispondere prendendo in esame il secondo elemento messo in risalto.
L’abbattimento di un aereo russo impegnato in operazioni sul fronte siriano rivela l’ordine delle priorità turche. Ankara preferisce la difesa del proprio spazio aereo alla guerra all’ISIS. Anche fingendo di non sapere che l’abbattimento più che a un problema di sovranità è legato agli aiuti che i turchi forniscono ai ribelli siriani, è evidente che la scelta declassa ogni coinvolgimento della Turchia nella guerra al terrorismo. Anche solo ideologicamente Ankara si sgancia dalla cordata internazionale anti ISIS e tira dritto per suoi interessi alternativi.
Non è un caso che lo scontro nei cieli siriani sia avvenuto dopo le elezioni che hanno sancito una netta vittoria di Erdogan. Con l’atto di guerra di oggi la Turchia ha reso pubblica una scelta forte e consolidata nel tempo: con le dovute cautele, immaginare una sua deriva islamista (paventata da mesi in precedenti analisi su questa rubrica) non sembra più una proiezione del tutto surreale.
L’appartenenza della Turchia alla NATO a questo punto offre lo spunto di riflessione più importante. Il ritorno alla “politica dei singoli Stati” elude anche i vincoli dell’Alleanza Atlantica o il peso di Ankara finirà per trascinare anche i membri occidentali in un quadro pericoloso?
Se il ruolo della Turchia in Siria non può più essere considerato ambiguo, ma chiaramente ostile alle milizie YPG curde e per conseguenza utile al fronte ISIS, come si comporteranno gli USA?
La Russia è sul piede di guerra, ma forte della sua tradizione diplomatica farà pesare l’incidente più sul piano delle trattative politiche globali (crisi ucraina compresa). L’”atto ostile” così come giudicato da Mosca, però rimane.
Le prossime ore saranno caldissime non solo per il fronte siriano e per le conseguenze militari che ne seguiranno. Quello che è in gioco è l’ordine di alleanze politiche e militari secolari.
(foto: Türk Silahlı Kuvvetleri / Palazzo Chigi)