Mentre scriviamo, continuano ad arrivare notizie convulse. Ufficialmente il colpo di Stato è fallito ma il regolamento di conti tra frange golpiste e lealiste ad Ankara non è ancora terminato. Ancora questa mattina si parlava di esplosioni intorno al Palazzo presidenziale di Ankara.
Cosa sta succedendo in Turchia?
Premettiamo che le Forze Armate sono un pilastro della società turca e che godono di grandissimo rispetto presso il mondo civile. A partire dagli anni ’20 sono la sentinella della rivoluzione di Mustafà Kemal, l’”Ataturk” padre della Patria che ha traghettato i resti dell’Impero Ottomano verso l’era moderna. Vigili sulla laicità e sullo sguardo a Occidente della Nazione, non hanno mai avuto necessità di cercare il potere perché ne rappresentano le fondamenta stesse. Non a caso la Turchia è risultato essere un Paese stabile per decenni, punto di forza della NATO a Est, immune da derive e particolari tradizioni golpiste.
Da più di un anno, su questa rubrica, stiamo però ponendo l’accento sul nuovo percorso imboccato da Ankara, sempre più lontana da quel solco sornione ed equilibrato che rispecchia la geografia stessa del Paese: un blocco monolitico a cavallo fra Oriente e Occidente.
Con l’arrivo e il consolidamento di Erdogan da più parti si è lanciato l’allarme sugli orizzonti islamisti di Ankara, ogni giorno più allineata alle politiche di Arabia Saudita e Qatar e sempre meno interessata ad un reale coinvolgimento verso le politiche di integrazione europea. Ankara ha anzi cavalcato la sua posizione strategica per recitare un ruolo da prima donna sia nella crisi siriana, sia nella gestione del fenomeno migratorio che proprio in Anatolia trova un importante trampolino di lancio verso l’Europa. A prescindere dalle interpretazioni, i raffreddamenti degli storici ottimi rapporti con Israele e un avvicinamento al mondo arabo sunnita sono un dato oggettivo che la dice lunga sul posizionamento raggiunto dalla Turchia dopo continui e impercettibili assestamenti geopolitici.
Il nuovo protagonismo turco, mix di revanscismo ottomano e consapevolezza islamica, ha sicuramente fatto leva sui sentimenti di un popolo dominatore per eredità storiche e mai addomesticato dagli eventi catastrofici della prima metà del XX° secolo.
Forte di questa coscienza, il sistema di potere del Presidente Erdogan ha cavalcato con astuzia l’”unicità turca”, cercando la presa di questi tempi più comoda e veloce: l’identità islamica.
Come dimostrano le stesse dichiarazioni a golpe sventato, nella dialettica politica turca la parola “Dio” è tornata ad essere presente in modo invasivo fino caratterizzare la filosofia del potere, derivato dal basso grazie al popolo e dall’alto grazie ad Allah.
Quanto l’orientamento confessionale di Erdogn in questi anni sia stato solo strumentale è più facile intuirlo che stabilirlo con certezza. La nuova dimensione di “nazione protetta da Dio” ha sicuramente garantito la fedeltà di una fetta della popolazione attratta da suggestioni astratte, fornendo uno zoccolo duro di “ultras” pronti a tutto per il proprio leader.
La Turchia degli ultimi anni è diventata sempre più una Erdogancrazia, dove i tratti salienti della società ottomana, virati verso un’islamizzazione più utile che reale, sono diventati l’identificazione stessa tra potere politico e nazione.
A questo processo non tutti si sono adeguati. Una parte consistente della società ha voltato le spalle ad Erdogan fin dalla prima ora. Dagli scontri di Piazza Taksim a Istanbul alla repressione delle testate non allineate al governo, il percorso è stato lungo ma costante: Ankara, da semidemocrazia specualare ai sistema occidentali è diventata pian piano una non-democrazia enigmatica sulle cui scelte di politica internazionale si sono addensati non pochi dubbi.
Le Forze Armate sono state parte di questa opposizione dimostrando col tentativo di golpe di questa notte di essere ancora l’anima laica e modernista della Nazione.
Il malcontento fra i militari, strisciante da anni, si è allargato al punto da coinvolgere sia le alte sfere dello Stato Maggiore sia i quadri intermedi dell’esercito e delle forze aeree, necessari per assicurare un'adeguata catena di comando in una struttura altamente gerarchizzata come le Forze Armate turche.
Nel rapporto di forza però ha vinto Erdogan. Abbandonato a mezzanotte col rifiuto di asilo da parte della Germania, è riemerso di mattina, da uomo della Provvidenza.
Ora è il tempo della vendetta che permetterà al Presidente di vincere due volte: rimanere al potere e provvedere al tanto anelato repulisti interno al mondo militare.
Mentre l’Occidente, dopo ore di paura e attesa ipocrita, manda messaggi concilianti, da Ankara arrivano verità incontestabili: Erdogan da domani sarà più forte e la Turchia un Paese ancora più enigmatico. I militari, finora fiamma dell’indipendenza turca, potrebbero diventare la sponda armata di un potere senza più controllo.
(foto: Türk Kara Kuvvetleri)