Usa: la strada del cambiamento passa inevitabilmente per l’Iran

(di Giampiero Venturi)
07/02/17

Tra le prime attesissime mosse della nuova amministrazione USA in termini di politica estera c’è l’inasprimento dei toni con l’Iran.

Alla luce dei rapporti tra i due Paesi degli ultimi trentotto anni, non è nulla di nuovo.

Cominciamo dal perché. Al di là della ritorsione ufficiale americana per i test missilistici di Teheran di fine gennaio, gli Stati Uniti hanno impellente necessità di ripristinare un rapporto speciale con Israele dopo la disastrosa esperienza Obama. Dopo aver ingoiato l’accordo sul nucleare e quasi otto anni di gelo fra i due governi, Tel Aviv era in attesa di un rilancio concreto che seguisse le dichiarazioni d’intenti della campagna elettorale USA. Trump ha aperto subito per Gerusalemme capitale ma ha nicchiato sui nuovi insediamenti nei Territori, spiazzando non poco lo Stato ebraico sul futuro delle strategie nella regione. Per poter tranquillizzare l’alleato, una forte presa di posizione americana nei confronti di Teheran era nell'aria.

Il nodo però è il peso geopolitico dell’Iran attuale e soprattutto il ruolo che gioca nei complessi equilibri regionali. Parlare agli ayatollah come fossimo negli anni ’80 infatti, non avrebbe più molto senso.

L’Iran sciita è il principale alleato della Siria di Assad e un riferimento strategico per la Russia di Putin. Se oggi a Damasco c’è lo stesso governo di sei anni fa, sostanzialmente lo si deve a Teheran e Mosca.

Tra i primi tasselli che l’amministrazione Trump deve rimettere in ordine c'è proprio la Siria, variabile fuori controllo dopo anni di sostegno cieco dato da Washington ai ribelli islamisti. Il futuro dei rapporti con la Russia, a cui il nuovo governo USA dice di voler puntare, passa innanzitutto per la chiusura del rubinetto al fronte ribelle sunnita e allo sdoganamento di Assad. Pensare di farlo senza un tacito accordo con l’Iran, allo stato attuale sembra difficile. Nessuno immagina che Hezbollah e Stati Uniti possano un giorno andare a braccetto, ma servire Dio e Mammona non è sempre possibile: se si decide di archiviare i rapporti con le milizie ribelli siriane e quindi di arginare i progetti sauditi appoggiati dalla Clinton, è inevitabile prevedere una maggiore flessibilità con Teheran. Più che utile, in questo senso l’Iran è necessario. 

La strada per la Persia passa anche dall’Egitto, altra tessera del mosaico mediorientale sfuggita dalle mani di Washington negli ultimi cinque anni. Da bastione filo occidentale, Il Cairo è diventato un alleato infido per gli Stati Uniti. Le operazioni di Al Sisi in Libia in contrasto col presidente Al Sarraj, le esercitazioni congiunte con i russi, l’appoggio all’intervento di Mosca in Siria e soprattutto il riallaccio delle relazioni con l’Iran dopo mezzo secolo di buio, sono state un segnale più che esplicito.

Proprio l’Iran sembra incidere non poco sulle scelte del Cairo, anche come possibile variante alla storica dipendenza energetica dall’Arabia Saudita. Il ritiro egiziano dalla coalizione arabo sunnita nella guerra nello Yemen, dovrebbe bastare da sé come indicatore di un’influenza politica crescente dell’Iran nella regione.

A proposito di Yemen: gli americani appoggiano la sempre più scomoda avventura militare saudita contro i ribelli sciiti. Di pochi giorni fa la notizia della morte di un navy seal, coinvolto nelle operazioni a terra. Contro i ribelli houthi e le milizie dell’ex presidente Saleh sono in prima linea anche gli jihadisti sunniti di AQAP (Al Qaeda nella Penisola Arabica), costola dell’organizzazione cresciuta dal saudita Bin Laden. Così come confermava la BBC nel febbraio del 2016, il terrorismo fondamentalista sunnita condivide molti obiettivi con Riad anche sul piano ideologico. Se oggi l’Iran arma e sostiene chi combatte la jihad globale sunnita, la domanda sorge spontanea: con chi devono prendersela gli USA? chi è il nemico più pericoloso?

Se fosse Al Qaeda, USA e Iran devono riavvicinarsi almeno sotto il profilo strategico e in questo caso la mediazione della Russia sarebbe essenziale; se fossero Hezbollah e le milizie yemenite filoiraniane, c’è viceversa il rischio che non cambi nulla rispetto alle amministrazioni precedenti.

Il peso dei rapporti tra Israele e USA in questo senso è decisivo. Tel Aviv preferisce Riad a Teheran, su questo non ci sono dubbi. Per poter dare una svolta reale agli equilibri in Medio Oriente, gli USA di Trump saranno costretti a fare una scelta. Su questo ce ne sono ancora meno. 

Foto: (Navy Seals – Fardanews)