“La Cooperazione Strutturata e Permanente (Pesco) deve essere aperta al contributo di Paesi terzi” ha ribadito il capo di stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, dal Centro Alti Studi della Difesa (CASD) in occasione del convegno “Futuro della difesa e della sicurezza europea”.
“Tre Paesi membri devono essere l’asse portante dell’industria della difesa comune, ma ciò può essere fatto con un approccio inclusivo verso gli Stati terzi, come è certamente il caso del Regno Unito” ha proseguito il generale Graziano.
Il sistema integrato di difesa comune, che ha preso ufficialmente il via con la firma della notifica lo scorso novembre a Bruxelles da 23 ministri degli esteri e della difesa Ue (v. articolo), vedrà infatti anche l’inclusione del Regno Unito dopo la Brexit. Come previsto, appunto, da una clausola dell’accordo Pesco, anche Paesi non Ue potranno associarsi ed essere coinvolti nella partecipazione di alcuni progetti senza avere, però, alcuna influenza nelle decisioni politiche. Decisioni che prevedono un’approvazione all’unanimità ad esclusione delle decisioni che riguarderanno la sospensione o l’inclusione di nuovi membri, per i quali il voto deve essere a maggioranza qualificata, come nel caso adesso dell’inclusione del Regno Unito.
Ma se la Gran Bretagna non avrà alcun potere politico in ambito Pesco, decisivo potrà essere il suo apporto nel settore industriale. Sta di fatto che il Regno Unito resta il più grande spender nella difesa in Europa e con una certa influenza nella Nato. Come spiegato dall’ambasciatore Alex Ellis, direttore generale del Dipartimento britannico per la Brexit, il Paese spende “circa il 40 per cento a livello europeo per la ricerca e innovazione nel settore della difesa e intende continuare su questa linea".
La Gran Bretagna, durante la fase di transizione, sarà invitata dall’Ue a proporre offerte per il Fondo europeo della difesa (Fes), per i quali è previsto un incremento a 1,5 miliardi di euro l’anno dopo il 2020.
E relativamente ai rapporti tra Ue e Nato, il capo di stato maggiore ha spiegato come elementi di primaria importanza siano “la cooperazione industriale solida e la creazione di un sistema di difesa ‘inter-operativo e integrato’. Nessuna contrapposizione, quindi, alla Nato, bensì una “complementarietà con l’Ue nelle risposte alle minacce alla sicurezza” ha precisato il capo di stato maggiore britannico, air chief marshal Stuart Peach.
Che la difesa comune europea non possa rappresentare un intralcio alla Nato è chiaro anche agli americani. La posizione degli Usa rispetto alla difesa europea è sempre stata favorevole, sin dai tempi di Kissinger. Interfacciarsi con un unico interlocutore, anziché 27 Paesi, ottimizzare le spese e, non da meno, ricevere un maggior output operativo sono alcuni dei fattori che contribuirebbero a favorire i rapporti tra Ue e Nato, se e quando la difesa europea riuscirà ad ingranare la marcia giusta.
(foto: MoD UK / ministero della Difesa)