La Convenzione di Montego Bay – entrata in vigore il 16 novembre 1994 e ratificata dall’Italia nel dicembre successivo – suddivide il mare in varie zone.
In primis ci sono le acque interne, ovvero quelle che si trovano all’interno della linea di base, che congiunge i punti estremi dell’area costiera; poi le acque territoriali che, partendo dalla linea di base si estendono per 12 miglia nautiche (circa 22.000 metri). Al limite di queste inizia la zona contigua, ampia oltre 12 miglia, nella quale lo Stato litoraneo può esercitare il controllo necessario in vista di prevenire la violazione delle proprie leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria oppure d’immigrazione nonché di contrastare le violazioni alle medesime leggi, nel caso in cui siano state commesse sul suo territorio o nel suo mare territoriale.
È altresì vero che l’ambiente litoraneo - per quanto concerne il sistema difensivo di una nazione - non costituisce un’area geografica ben definita, ma piuttosto un incremento del livello di minaccia man mano che ci si avvicina alla costa e si è maggiormente influenzati dagli elementi che operano al suo interno.
Quando ci si avvicina alla costa, quindi, cresce la possibilità di essere rilevati da un’ampia gamma di sensori passivi e attivi, spesso integrati in una complessa rete di comando, controllo, comunicazione, computer e intelligence (C⁴I).
Ovviamente, imbarcazioni di piccole dimensioni, sono assai difficili da intercettare, specialmente quando si trovano in prossimità della costa. La complessità di controllare fisicamente diversi chilometri di coste si somma con il crescente volume di dati apparentemente casuali acquisiti dai sistemi radar, strumenti di intelligence e sensori acustici ed elettro-ottici man mano che le imbarcazioni dei migranti si avvicinano alla costa.
Proprio per contrastare l’approdo illegale di piccoli natanti, la Marina Militare è in grado di mettere in campo unità navali di dimensioni ridotte, progettate specificatamente per la guerra litoranea. Le corvette della classe Comandanti, equipaggiate con un efficace sistema di combattimento polivalente ed impiegate insieme ad altri tipi di piattaforme navali e aeree, possono diventare un eccellente strumento nelle operazioni di contrasto all’immigrazione clandestina.
In alcuni ambienti politici si sta diffondendo l’idea di applicare un blocco navale onde limitare fortemente il fenomeno migratorio.
Tuttavia tale soluzione, a nostro avviso, se applicata all’interno del mare territoriale italiano, non sarebbe risolutiva, in quanto comporterebbe comunque il trasbordo dei clandestini sulle unità della Marina e quindi il successivo sbarco nei porti nazionali.
Quindi, il raggio d’azione delle nostre unità navali dovrebbe estendersi fino a lambire le acque territoriali libiche - sempre che si possa parlare di sovranità in riferimento alla Libia, in cui lo ricordiamo non esiste uno governo unitario e la capitale Tripoli è da tre mesi sotto attacco delle milizie della Cirenaica - impedendo con ciò la libertà d’azione delle cosiddette navi madre dei trafficanti di uomini.
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