Nel maggio del 2002 il Parlamento approva l’ingresso dell’Italia nel programma F-35, come partner di secondo livello. Il ritorno industriale previsto per il nostro Paese - nella sola fase SDD (System Development and Demonstration) – era di circa 800 milioni di euro.
I partner sono stati divisi a seconda degli investimenti effettuati per la fase di sviluppo. Il livello 3, il più basso, includeva il Canada (con un contributo di 150 milioni di dollari); la Danimarca e la Norvegia (125 milioni ciascuna); la Turchia (150 milioni) e l’Australia (150 milioni). Del secondo livello fanno parte i Paesi Bassi (800 milioni) e l’Italia (1.028 milioni da spalmare in 10 anni). Il Regno Unito è invece un partner di primo livello grazie a un investimento par a 2,3 miliardi di dollari.
Quando si parla di programmi aeronautici, specialmente se assai complessi e sofisticati, i rischi di ritardi nelle consegne, nonché di incrementi dei costi, aumentano in maniera esponenziale.
Infatti, il primo F-35A italiano, assemblato nello stabilimento FACO (Final Assembly and Check Out) di Cameri – proprietà del Governo italiano ma gestita da Alenia Aermacchi in partnership con la Lockheed Martin -, riesce a compiere il primo volo inaugurale solamente nel 2015. Quello del velivolo italiano è stato il primo volo di un F-35 al di fuori degli Stati Uniti. Mentre la versione B ha compiuto il primo volo ufficiale il 30 ottobre 2017.
Inizialmente l’Italia aveva previsto una commessa di 131 velivoli, 69 F-35A (versione a decollo e atterraggio convenzionale) e 62 F-35B (versione a decollo corto e atterraggio verticale, STOVL), solo 21 dei quali destinati all’Aviazione della Marina Militare - per andare a costituire il Gruppo di volo della prima vera portaerei italiana (il CAVOUR) – quindi i restanti sarebbero stati acquisiti dall’Aeronautica Militare.
A questo punto è lecito porsi una domanda: cosa ci fa l’Aeronautica Militare con la versione B? La quale, rispetto alla versione A, ha una capacità interna di carburante inferiore di 350 kg e quindi, conseguentemente, meno autonomia; inoltre è priva del cannone GAU-22/U da 25 mm a 4 canne rotanti e ha una stiva meno capiente per il trasporto degli armamenti...
Proprio in occasione del primo volo inaugurale dell’F-35B, la Lockheed Martin, e non il Ministero della Difesa, aveva dichiarato che il primo velivolo della versione STOVL sarebbe stato destinato all’Aeronautica e non alla Marina Militare.
Le ultime disposizioni, direttamente emanate dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta (nella foto, a sx), assegnano i primi due esemplari di F-35B alla Marina Militare. Questo a riprova del fatto che è assai difficile giustificare l’assegnazione di velivoli STOVL all’Aeronautica da momento che, visti i lunghi tempi di consegna, il CAVOUR rischierebbe di rimanere senza aerei imbarcati (gli HARRIER II PLUS termineranno la loro vita operativa non più tardi del 2025/2027).
Come è noto l’Arma Azzurra non ha alcun background nell’utilizzo di velivoli ad atterraggio verticale!
La motivazione dichiarata dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica, in merito a questa scelta, rispondeva all’esigenza, in caso di rischieramento fuori area, di poter impiegare piste improvvisate e di ridotte dimensioni. Tesi tra l’altro portata avanti, negli anni ʿ60 dello scorso secolo dalla RAF, per giustificare la progettazione degli HARRIER GR.7.
Tuttavia, tale spiegazione, appare quanto mai singolare in quanto trattandosi di macchine ad elevato livello tecnologico (e quindi soggette ad avarie qualora ingerissero grossi quantitativi di corpi estranei), quindi necessitano di apposite piste per il decollo, opportunamente sterilizzate.
Nel 2012, ad opera dell’Esecutivo Monti, avviene la decurtazione del numero di F-35 da acquisire. Pur lasciando quasi inalterata la quota di F-35A (da 69 a 60), la versione B viene più che dimezzata (da 62 a 30 velivoli)!
Appare evidente che, per poter preservare la componente ad ala fissa della Marina, si poteva lasciare inalterata la quota di 21 velivoli. Ciò non è avvenuto: si sono divisi in egual misura gli F-35B (15 AM e 15 MM).
Tuttavia, 15 velivoli non sono sufficienti per poter equipaggiare il Gruppo di volo della CAVOUR!
Nel 2022 entrerà in linea la LHD TRIESTE, un’unità d’assalto anfibia di 33.000 tonnellate in grado (si auspica) di trasportare un certo numero di velivoli STOVL, con il compito di fornire appoggio diretto alle operazioni anfibie della Forza di Proiezione dal Mare.
È altresì vero che i magri Bilanci della Difesa non permetterebbero di acquisire più di 20/25 F-35B, quindi costituire due gruppi di volo (1 MM e 1 AM) non avrebbe alcun senso. Meglio quindi un solo gruppo di volo assegnato alla Marina, con possibilità di rischieramento a terra in contesto joint (i costi di esercizio di un gruppo di 8 /10 velivoli imbarcati sono comunque inferiori di quelli per una stessa aliquota basata a terra).
A questo punto ci permettiamo di dare un suggerimento al prossimo Esecutivo: non esiste nessuna nazione seria che abbia reparti organici joint, i mezzi devono appartenere a una Forza Armata per motivi logistici, addestrativi e legali; la jointness è invece necessaria nei Comandi per impiegare al meglio, in modo sinergico e integrato le risorse di ciascuna Forza Armata, quando inserite in un contesto interforze. Qualunque altra interpretazione è fuorviante nonché priva di connotati logistici e operativi.
Un gruppo di 25 STOVL sarebbe più che sufficiente per le esigenze della Nazione e inoltre comporterebbe un significativo risparmio sia in termini di acquisizione che di addestramento.
Una componente STOVL, voluta dall’Aeronautica, è solo un cavallo di troia per tornare alla vecchia legge fascista che pretendeva che tutto ciò volasse fosse sotto il comando organico dell’Aeronautica, condizione ormai superata dagli eventi storici.
Infine, sarebbe il caso di evitare l’accentramento di tutti gli F-35B nella base di Amendola, abbandonando quella di Grottaglie (che dispone di un simulatore di volo, per gli HARRIER ma riadattabile), con conseguente aumento dei costi di gestione e di addestramento.
Foto: U.S. Navy / Marina Militare / ministero della difesa / web