Siria: gli USA ripensano agli F-117?

(di Franco Iacch)
30/11/15

Gli Stati Uniti potrebbero essere costretti a rimettere in servizio una formazione di F-117 che sappiamo continuare a volare sotto un programma classificato. Le nuove contromisure russe in Siria, con l’entrata in servizio degli S-400 con quei 500 km di copertura aerea nell’asse formato dall'incrociatore Moskva alla base di Hmeymim, impongono delle profonde revisioni alle attuali tattiche aerea alleate.

Certo, gli USA potrebbero continuare a bombardare l’Isis in Siria con le piattaforme di quarta generazione schierate nella Regione, ma dovrebbe farlo di concerto con Russia ed Iran (legittimati dal governo di Damasco ad operare nel loro territorio su cui, in teoria, avrebbero ancora la sovranità). Utopia probabilmente. Ecco che allora, la scelta di ricorrere agli F-117 preservati in Nevada, per un possibile ed immediato impiego in caso di emergenza, è più di un’indiscrezione.

Nonostante i 52 F-117 siano stati ritirati dal servizio nel 2008, alcuni di essi continuano a volare. Gli ultimi F-117 operativi sono stati avvistati lo scorso luglio. L’Air Force, nonostante l’età, la complessità, i costi elevati e dopo aver dimostrato di non essere immune ad alcune contromisure difensive (come quella serba), continua a volare sugli F-117. Proprio durante la guerra, nel 1999, un Nighthawk fu abbattuto da un SA-3 Goa. Nonostante ciò, gli USA continuano a supportare economicamente e logisticamente i Nighthawk all’interno di bilanci coperti da segreto militare. Così come avvenuto per il suo intero sviluppo, il segreto militare è stato nuovamente imposto sugli F-117.

Oltre al ruolo di tester sperimentali (sia per i radar di ultima generazione che per i nuovi materiali radar-assorbenti), alcuni F-117 potrebbero essere stati riconvertiti in ruolo unmanned. Se così fosse, sarebbero i primi bombardieri tattici stealth senza pilota su cellula operativa “combat proven”. Utilizzare gli F-117 in Siria, per sfuggire ai sistema russi avrebbe senso anche sotto un punto di vista economico. Se gli USA disponessero realmente di una forza Nighthawk combinata (automatizzata e non), potrebbero effettuare attacchi di precisione con munizionamento multiplo come due JDAM o dodici SDB contro obiettivi altamente protetti. A costi, comunque, esorbitanti, ma di certo inferiori a quelli operativi del B-2, sempre più arma deterrente e di propaganda che realmente funzionale in un asset moderno.

Proprio l’utilizzo del B-2, il “bombardiere che costa al grammo più dell’oro”, è centellinato dal Pentagono. Una flotta di 21 bombardieri, sebbene potenti, non possono considerarsi come “game changer”, analizzando anche tutti i teatri operativi in cui sono impegnati gli Stati Uniti. L’utilizzo si riduce ancora di più considerando, infine, che pochi scenari attuali (escludendo un conflitto con le super-potenze ed anche in quel caso sarebbero troppo pochi) richiedono un alto profilo tecnologico come quello del B-2. Se fossimo in un contesto bellico simmetrico tra due super-potenze, l’utilizzo del B-2 sarebbe certo, ma la questione siriana non richiede una tale capacità ed un tale esborso. Ciò significa che l’intera strategia USA impone una rivisitazione.

Teoricamente, contro uno schermo protettivo multilivello formato da piattaforme S-300/S-400, gli USA schiererebbero una “Global Strike Task Force”. Una forza combinata di B-2 e F-22, in grado di “ammorbidire” le difese terra-aria ostili di ultima generazione. La Global Strike Task Force rappresenta la testa di ponte per i velivoli da superiorità aerea ed attacco al suolo di generazione precedente. Questa formazione è strutturata per una guerra contro Russia e Cina. Non è applicabile per un contesto asimmetrico come la Siria dove gli USA dovrebbero colpire l’Isis, evitando di essere intercettati dai russi per aver violato il loro spazio aereo operativo concesso dal regime di Damasco.

I costi infine: non sarebbero sostenibili per una campagna aerea che nonostante i comunicati dei target colpiti, non presenta postazioni “fisse” standard, o centri di comando corazzati tradizionali. Ecco che allora, l’impiego dei “nuovi” F-117 in Siria è più che un’ipotesi al momento vagliata dal Pentagono. Gli F-117 potrebbero, proprio in Siria, testare le nuove tattiche di penetrazione in sistemi altamente protetti. Ricordiamo che il Moskva conferisce una copertura di 150 km a 360 gradi dal porto di Latakia. A 77 km di distanza si trova la base di Hmeymim. Mosca ha messo in linea una doppia linea di difesa. L’S-300 è ritenuto letale contro tutti i caccia di quarta generazione e, comunque, contro tutti i vettori non dotati di tecnologia stealth. La versione S-400, invece, è stata progettata proprio per intercettare le minacce stealth occidentali.

Lo Stato Maggiore russo è stato chiaro: ogni minaccia nemica sarà disintegrata. C’è da capire quando una minaccia, una volta rilevata sui radar, sarà rilevata come tale. Quei 500 km di copertura aerea russa, pretendono una riflessione. Se gli USA non dovessero dare vita alla cooperazione con Russia, Siria ed Iran dovrebbero rivedere l’intera rotta di volo e comunque non potrebbero colpire gli stessi target sotto lo schermo aereo di Mosca. Se così fosse, F-18, F-15 e F-16 potrebbero vedere ridimensionato il proprio compito, pena una possibile escalation nella Regione. E’ anche vero che proprio gli USA potrebbero attaccare elettronicamente le postazioni russe, ma una tale azione sarebbe considerata un atto di guerra. Hackerare un sistema posto a protezione di un’area operativa (concessa dal Paese ospitante), significherebbe minare la già caduca situazione nella Regione. Ed, infine, non si potrebbe pensare di “scaricare” l’intera campagna aerea di attacco al suolo sui B-1 schierati presso la Al Udeid Air Base, in Qatar: sebbene potenti sono troppo pochi (stesso problema anche per gli F-22) e quei 63 mila dollari ad ora di volo per ogni singolo velivolo sono un dato particolarmente rilevante. Ecco che allora, richiamare una componente F-117, potrebbe aver senso.

Oppure gli USA potrebbero scendere a compromessi con i russi (così come hanno già fatto due mesi fa gli israeliani ed adesso i francesi) e creare quella cooperazione auspicata che potrebbe evitare spiacevoli incidenti come quello avvenuto in Turchia. Sarebbe opportuno rilevare che l'accordo siglato tra russi ed americani lo scorso ottobre, definisce le linee guida per le distanze di sicurezza tra gli aeromobili, le frequenze radio per gli Stati Uniti ed piloti russi da utilizzare in volo ed una linea di comunicazione a terra tra i due comandi aerei. L’obiettivo è quello di evitare possibili incidenti tra i velivoli (compresi i droni) che operano nello spazio aereo siriano.

Il Pentagono ha sottolineato che l'accordo "non stabilisce le zone di cooperazione, la condivisione di intelligence o di informazioni dei target sensibili. Non costituisce l’inizio di una cooperazione o sostegno della politica russa a favore di Assad”.

(foto: US Air Force)