Lo scorso 17 giugno dei caccia russi Sukhoi Su-27 hanno intercettato una formazione di bombardieri strategici B-52H che si stavano avvicinando al confine della Federazione Russa dal Mar Nero al Baltico (v.video in fondo), secondo quanto affermato dal portavoce del Centro Nazionale di Difesa della Russia.
È indubbio che l’Alleanza stia stendendo una linea fortificata che va dalle tre Repubbliche Baltiche alla Romania, alimentando così la sindrome d’accerchiamento dei russi.
Anche l’Italia contribuisce con un proprio contingente, su base 1° reggimento bersaglieri della brigata Garibaldi equipaggiato con i Dardo - inserito nel battle group a guida canadese della Enhanced Forward Presence (EFP) NATO -, rafforzato ultimamente con l’arrivo di 7 MBT Ariete (primo dispiegamento operativo all’estero dalla fine dell’operazione Babilonia in Iraq).
Ovviamente un attacco convenzionale russo agli stati baltici sarebbe alquanto improbabile, specie dopo il rafforzamento del dispositivo militare della NATO.
Tuttavia, nel 2016 il presidente Putin ha inviato un segnale molto chiaro (recepito da pochi osservatori internazionali), infatti ha modificato la formulazione del documento che enunciava la strategia militare complessiva della Federazione Russa e andava oltre il documento del 2015 che illustrava la strategia navale: per la prima volta, gli Stati Uniti d’America venivano definiti una minaccia esterna per la Russia.
Se Mosca decidesse di inviare forze militari nelle Repubbliche Baltiche, giustificherebbe l’attacco affermando che le comunità russe presenti in quei territori sono oggetto di discriminazione. Sia in Estonia sia in Lettonia, circa un quarto è di etnia russa, mentre in Lituania la percentuale è solo del 6%.
Le popolazioni di lingua russa potrebbero essere sobillate allo scopo di creare instabilità politica, inoltre Mosca controlla la fornitura di gas ai Paesi Baltici quindi, potrebbe decidere di interromperne l’erogazione.
Passando sulla sponda del Mar Nero, una regione importante per la strategia di Mosca è certamente la Moldavia.
La Moldavia offre spunti geopolitici interessanti, in quanto un attacco da parte della Russia comporterebbe un attraversamento dell’Ucraina, del fiume Dnepr, e poi di un altro paese sovrano. Pur non scatenando la reazione automatica della NATO (la Moldavia non ne fa parte), un attacco russo provocherebbe massicce sanzioni economiche con conseguente ritorno allo status di guerra fredda.
La domanda a questo punto sorge spontanea: perché ai russi (e quindi alla NATO) interessa tanto un paese come la Moldavia? La risposta ce la dà la geografia.
Dove i Carpazi si incurvano verso sud-ovest per formare le Alpi transilvane, a sud-est si forma una pianura che sbocca nel Mar Nero, ovvero una sorta di corridoio che porta direttamente all’interno della Russia. Così come Mosca vorrebbe controllare la pianura nordeuropea nel tratto più stretto, in territorio polacco, così vorrebbe controllarla anche nella parte più prossima al Mar Nero – la Moldavia -, nella regione che un tempo si chiamava Bessarabia.
Il Trattato di Parigi del 1856, dopo la guerra di Crimea, restituì alcune parti della Bessarabia alla Moldavia, escludendo così l’Impero russo dal Danubio. Quasi un secolo dopo riesce a riaffacciarsi sul Danubio, ma con il crollo dell’URSS ha dovuto arretrare ancora verso est.
In verità Mosca controlla già una fetta della Moldavia, la Transnistria, collocata ad est del fiume Dnepr, che costeggia l’Ucraina. Durante il periodo stalinista vennero insediati un gran numero di russi, con la conseguenza che oggi nella regione almeno il 50% della popolazione è di lingua russa, e ovviamente controllata da Mosca.
Un’invasione della Moldavia della Russia è assai improbabile, tuttavia il Cremlino può sfruttare l’instabilità politica della Transnistria (Stato indipendente dal 1991) per ostacolare i piani del governo moldavo di aderire alla NATO.
Immagini: MoD Fed. russa / Cremlino / U.S. Army National Guard