Le connessioni del sistema nervoso e del suo organo principale con una macchina non sono una novità scientifica: le prime esperienze nel campo del brain-computer interface (BCI)1 furono sviluppate dall’Università della California a partire dagli anni 70 del secolo scorso, confluite poi in numerose applicazioni pratiche soprattutto in campo sanitario, finalizzate - ad esempio - a restituire il movimento, la vista o l’udito a individui che li avevano perduti.
Gli impianti cocleali, che trasformano i segnali audio in impulsi elettrici da inviare direttamente al cervello, forniscono una chiara dimostrazione dei progressi raggiunti in questo campo, così come le protesi ortopediche controllabili dal cervello del paziente2.
All’interfaccia “computer - cervello” si è di recente dedicato anche Elon Musk, il famoso milionario americano CEO di Tesla e Space X nonché fondatore di PayPal, investendo in una start up, NEURALINK3, che promette di fondere l’intelligenza umana con quella digitale per realizzare un “nuovo dominio cognitivo aumentato”.
L’idea alla base del progetto, presentato lo scorso 16 luglio all’Accademia delle Scienze della California, prevede l’installazione nel cranio del paziente con una siringa robotizzata di 3.072 elettrodi distribuiti su 96 stringhe di dimensioni ridotte e flessibili, in grado non solo di monitorare l’attività celebrale ma anche di collegarsi con un computer esterno tramite un cavo USB-C con il quale scambiare dati in upload alla velocità di un trilione di bit al secondo (contro i circa 100 bit al secondo del nostro cervello).
Musk ritiene sia giunto il momento di “entrare in simbiosi con le macchine4” attraverso una “interfaccia dotata di elevata ampiezza di banda”, che da un lato potenzi le attività del soggetto grazie al computer cui è collegato, dall’altro gli consenta di esercitare le peculiari capacità di giudizio, di discernimento e ingegno proprie del ragionamento umano.
La connessione uomo-computer, secondo Musk, consentirà anche e soprattutto di contrastare gli effetti (da lui giudicati) nefasti prodotti dalI’impiego sempre più frequente della intelligenza artificiale (IA).
Ciò detto, è indubbio che uno dei campi nei quali la BCI troverà maggior applicazione sia proprio quello militare.
Se un tale pronostico non ha ancora trovato conferma in ambito europeo - dove, in aggiunta alle singole iniziative degli Stati, è da tempo attivo lo Human Brain Project (HBP)5 sovvenzionato dalla Unione Europea allo scopo di studiare e replicare alcune funzionalità del cervello -, è invece un dato certo negli USA, nei quali, a livello governativo, la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), già a partire dal 2013 lanciò il progetto "Avatar"6 allo scopo di creare una unità da combattimento robotizzata controllata a distanza mediante interfaccia cervello-macchina (BCI).
A marzo 2018, DARPA ha anche lanciato il Next-Generation Nonsurgical Neurotechnology (N3) program7, coinvolgendo sei atenei e centri di ricerca nazionali (Battelle Memorial Institute, Carnegie Mellon University, Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory, Palo Alto Research Center, Rice University, and Teledyne Scientific) nella ricerca e sviluppo - come si legge su sito dell’Agenzia - “di sistemi non invasivi indossabili, che consentano ai comandanti una conoscenza approfondita delle operazioni in corso”.
Il programma N38 studia tecnologie in grado di leggere e scrivere nelle cellule cerebrali in soli 50 millisecondi, e di interagire con almeno 16 porzioni celebrali con una risoluzione di 1 millimetro cubo (uno spazio che comprende migliaia di neuroni).
DARPA si occupa di BCI da almeno 18 anni, nel corso dei quali ha perfezionato numerosi supporti dotati di elettrodi collocabili per via chirurgica, che hanno ristabilito in molti casi la mobilità di arti, il recupero del tatto e il trattamento di patologie neuropsichiatriche.
L’elemento di novità del progetto partito a marzo dello scorso anno risiede però nella non invasività dei supporti che intende realizzare, destinati a operatori militari per - ad esempio - “assumere il controllo su sistemi di cyber defence, su sciami di droni o per cooperare con altri sistemi informatizzati durante la condotta di operazioni complesse”.
Tra i metodi non invasivi in fase di studio e di sperimentazione rientra anche l’impiego di campi elettrici e elettromagnetici per stimolare i neuroni e la possibilità di immettere nel corpo dell’operatore - tramite ingestione, iniezione e inspirazione - particolari vettori con il compito di fornire informazioni sull’attività dei neuroni.
Anche la Cina non è da meno nel campo della BCI. Su queste pagine, abbiamo più volte scritto dell’impegno profuso da Pechino per sviluppare a fini militari programmi e strumenti dotati di IA.
Al riguardo, merita attenta lettura l’articolo9 apparso nel maggio 2018 sul Giornale Cinese di Traumatologia, col quale tre ricercatori dei dipartimenti di neurochirurgia degli ospedali di Changzheng, del 202° ospedale militare e dell’Università medica dell’Esercito Popolare hanno proposto alla comunità scientifica nazionale addirittura la costituzione di una nuova branca di studio indipendente, denominata Brain Military Science (BMS), finalizzata a:
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comprendere appieno il cervello, la morfologia, la sua struttura, i metodi di connessione neurale e le sue funzioni elementari e avanzate. Nel documento si legge che: “al momento, molte funzioni cerebrali e i loro fattori di influenza non sono stati chiariti. Ad esempio, come fa il cervello a esprimere un giudizio e una decisione sull'ambiente esterno? In che modo il cervello crea una reazione di allarme a un ambiente pericoloso? In che modo il cervello controlla i movimenti e le emozioni della paura? Gli studi hanno suggerito che lo spazio ambientale, i campi magnetici, le onde d’urto, ecc. possono tutti avere un impatto sulle attività cerebrali con danni ai tessuti cerebrali, (….) che devono essere analizzati e risolti per comprendere il cervello”.
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proteggere il cervello, ossia individuare misure, farmaci, equipaggiamenti e strategie idonei a preservare la sua funzionalità in combattimento;
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monitorare l’attività celebrale del soldato;
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colpire il cervello dell’avversario, ossia studiare “gli effetti dannosi prodotti da armi acustiche, armi laser, armi ad alta esplosività ed elettromagnetiche (…) e stabilire la relazione tra i parametri dell'arma e i loro effetti ”;
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influenzare il cervello inficiandone la normale attività mediante lo sviluppo di agenti invalidanti del sistema nervoso e del corpo. Le ricerche in questo campo si propongono di sviluppare,“secondo le caratteristiche cognitive della popolazione nemica, armi ad infrarossi che siano in grado di interferire con le strutture cerebrali e causare follia attraverso la risonanza(…). Le tattiche psicologiche saranno utilizzate per interferire con le credenze e il pensiero originali del cervello, causando al nemico lesioni psicologiche, diminuendo la sua volontà di combattere e incrementando quella di arrendersi. (…) Sulla base delle caratteristiche celebrali peculiari dei combattenti nemici, si potranno sviluppare rumori, segnali acustici e altri suoni speciali che interferiscano con il cervello e producano paura, depressione, disforia e altre emozioni che riducono l'efficacia del combattimento”;
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riparare il cervello del combattente, ossia studiare come “innovare i concetti di trattamento correlati alle lesioni cerebrali e condurre ricerche nei settori del trapianto di nervi e protesi intelligenti per ripristinare la funzione del cervello. Questo mediante “il perfezionamento di tecniche per la rigenerazione della retina, impianti cocleari artificiali, la stimolazione cerebrale profonda, protesi meccaniche e nuove tecnologie e attrezzature utili allo scopo”;
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simulare “i processi decisionali del cervello e i suoi meccanismi neurali” per sviluppare “chip e robot ispirati al cervello, che combinino capacità visive, uditive, di pensiero e di esecuzione da utilizzare in combattimento al posto di combattenti umani”. Lo studio e la simulazione delle modalità di funzionamento del cervello permetteranno di mettere a punto tecniche per “prevedere le decisioni del comandante nemico” adattando di volta in volta quelle amiche;
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migliorare le funzioni celebrali del personale che svolge compiti speciali, per metterlo nelle condizioni di aumentare la propria resa e sostituire i compagni eventualmente caduti in combattimento. A tale scopo - si legge nel documento - occorrerà “studiare i meccanismi e le tecnologie per migliorare la funzione cerebrale, ad esempio attraverso il suono, la luce, l’elettricità, il magnetismo e altri mezzi; svolgere ricerche basate sulla tecnologia di stimolazione magnetica transcranica per migliorare la funzione cognitiva; studiare la tecnologia di riattivazione della memoria di destinazione in uno stato di sonno; sviluppare prodotti di allarme e intervento per l'affaticamento cerebrale; sviluppare farmaci anti-fatica senza effetti collaterali; e sviluppare farmaci che possono migliorare la cognizione e le capacità operative del soldato”.
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armare il cervello mediante lo studio del interfaccia cervello computer (BCI): “L'obiettivo è studiare la tecnologia bidirezionale diretta tra il cervello e i sistemi di rilevamento radar, i sistemi di comando, i sistemi d'arma e altre apparecchiature esterne”.
Il contributo dei tre ricercatori cinesi indica come mai era stato fatto prima la direzione intrapresa dai principali attori globali nel campo della BCI, e conferma il cervello, anche in campo militare, come la nuova frontiera da esplorare.
Sarà la storia a indicarci vincitori e i vinti di questa nuova sfida, che si presenta come qualcosa di profondamente diverso dalle competizioni tecnologiche del passato.
“Aumentare” il cervello collegandolo direttamente a un computer implica “diminuirlo” nel suo primato evolutivo, e al tempo stesso modifica la nostra collocazione nel pianeta, sminuendo la primazia della specie homo.
Il pericolo è che si arrivi al giorno in cui l’intelligenza artificiale, strutturata funzionalmente a similitudine di quella umana con reti neurali, abbandoni la sua culla e si renda autonoma: la chiamano “singolarità”.
Se mai succedesse, a cadere sarebbe soprattutto una barriera ontologica: quella che dall’alba della nostra civiltà separa materia e spirito, corpo e anima, proclamando il primato del pensiero e del sentimento sulla fisicità dei luoghi in cui questi vengono originati.
Il tempo dirà chi vincerà la sfida; la storia indicherà la reale portata di questo ulteriore balzo in avanti per la nostra specie.
Sempre che si rimanga noi gli unici in grado di raccoglierne il responso.
9https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6235785/
Foto: DARPA / NEURALINK / Chinese Journal of Traumatology / U.S. Air National Guard