E' mattino presto quando si avvicina la sagoma di una nave che inizia la manovra di avvicinamento verso il bacino che, ormai allagato, è pronto ad accoglierla al suo interno. Una manovra delicata, l'ingresso in bacino, che richiede professionalità e grande lavoro di squadra, ma la sosta di una nave in bacino è fondamentale per svolgere lavori di manutenzione impossibili in galleggiamento.
Il bacino di carenaggio è una complessa costruzione, indispensabile per eseguire controlli, manutenzioni e riparazioni allo scafo di natanti, in particolare alla carena e alle sue appendici. Esistono due tipi di bacini, fissi (quelli tradizionali in muratura) e mobili, detti bacini galleggianti. I bacini fissi sono vaste conche rettangolari con pareti per lo più in calcestruzzo o pietra da taglio, disposte in modo da potere essere messe in diretta comunicazione col mare. Il lato a mare, detto “bocca”, è chiuso di solito mediante un galleggiante d’acciaio, la “barca-porta” o “battello-porta”, che può essere fatto affondare impiegando come zavorra acqua di mare e disposto simmetricamente rispetto al piano longitudinale di simmetria del bacino. La barca-porta è guarnita, lungo i fianchi e il fondo, con un paglietto di canapa con cui fa tenuta nella propria sede, ricavata sulle fiancate e sul fondo del bacino.
La base della Marina di Taranto ospita uno storico bacino in muratura, il Ferrati, il più grande del Mediterraneo, capace di ospitare navi delle dimensioni della portaeromobili Cavour. Lungo 250 metri, largo più di 50, è stato costruito nel 1916 ed è intitolato a Edgardo Ferrati, illuminato ingegnere del genio navale, famoso per aver diretto la costruzione di importanti unità tra cui Benedetto Brin, Vittorio Emanuele e Conte di Cavour e, soprattutto, per il geniale intuito nella progettazione di soluzioni navali e sistemi di difesa avveniristici.
L’attività del Bacino Ferrati è stata interrotta per circa tre anni, dal 2010 al 2013, per lavori di consolidamento statico, inseriti nel programma di ristrutturazione del nostro ottocentesco arsenale, il “Piano Brin”. Il primo intervento cantieristico di rilievo, dopo la ristrutturazione, è stato quello su nave Garibaldi, entrata in bacino a gennaio 2014.
L’ammodernamento dell’infrastruttura ha rappresentato un punto di partenza per il rilancio dell’Arsenale e dell’economia locale, in particolare delle imprese specializzate nel settore navalmeccanico. Infatti, negli ultimi anni, l’Arsenale Militare Marittimo di Taranto, insieme al Comando Logistico, ha avviato una politica di uso duale delle proprie strutture, in particolare dei bacini di carenaggio, destinandole anche alla manutenzione di navi mercantili, con l’obiettivo di autofinanziarsi e, contestualmente, sostenere l’industria navalmeccanica e portuale della città.
In tale ambito, nel marzo 2015, è stato messo in secco il Dimonios, un traghetto Ro-Pax del Cantiere Navale Visentini, unità gemella del Norman Atlantic. Si è trattato della nave più grande mai ospitata in un bacino militare dal dopoguerra e, in assoluto, seconda solo alle corazzate che presero parte al secondo conflitto mondiale.
La manovra d’immissione di una nave in bacino è complessa e richiede grande coordinamento tra il personale del bacino, l’equipaggio della nave e i mezzi di supporto (imbarcazioni, rimorchiatori).
Nella prima fase il bacino è allagato, aprendo le valvole principali. In seguito la barca porta (la parete che separa l’interno del bacino dallo specchio d’acqua circostante) è movimentata da un rimorchiatore che la terrà in posizione tale da non interferire con la manovra dell’unità che deve essere immessa.
A questo punto la nave, con il supporto dei rimorchiatori, si porta sull’allineamento d’ingresso del centro del bacino e si avvicina lentamente fino a passare i cavi di ormeggio per poi tonneggiarsi (spostare la nave utilizzando i soli cavi) fino alla posizione centrale. Una volta in posizione il personale del bacino corregge la posizione della nave utilizzando dei paranchi, per assicurarsi che sia perfettamente centrata rispetto al piano delle taccate (sostegni in legno posti sullo scalo del bacino sui quali, dopo lo svuotamento del bacino, poggia la nave). Nel frattempo la barca porta è riposizionata per chiudere il bacino.
Inizia quindi la fase di svuotamento del bacino. Utilizzando potenti pompe il livello dell’acqua comincia a scendere. A 2 metri circa dalle taccate parte l’intervento dei sommozzatori specializzati, che s’immergono per verificare che l’unità si adagi correttamente.
La fase di appoggio sulle taccate rappresenta un momento molto delicato della manovra che richiede ronde continue nei locali interni dall’equipaggio, per verificare che non vi siano problemi strutturali connessi con l’appoggio sulle taccate.
L’ingresso in bacino, dalla fase d’ingresso dell’unità allo svuotamento e posizionamento sulle taccate, dura circa 10 ore.
Una manovra delicata e lunga, quindi, ma che consente, una volta messa in secco la nave, di eseguire interventi manutentivi che non si possono svolgere in galleggiamento per i quali è indispensabile utilizzare un bacino.