Gli agenti di PS o dei Carabinieri sono in grado di difendersi bene dalle aggressioni all'arma bianca o di bloccare qualcuno senza ricorrere ai rinforzi?
A quanto sembrerebbe per l'opinione pubblica no, perché il popolo si chiede come mai quando un pazzo brandisce un coltellaccio arrivano varie pattuglie per fermarlo. Il dubbio in sè è alquanto legittimo perché dalle statistiche dell'Osservatorio ASAPS, nelle strade italiane nel triennio 2012-14 ci sono state 6842 aggressioni a poliziotti, carabinieri e vigili urbani. Con questi dati risulta evidente che ormai la divisa non è più un deterrente e i delinquenti italiani e di altra nazionalità non fanno sconti.
Per capire davvero come stiano le cose e per approfondire l'argomento ho contattato sia i Carabinieri che la Polizia. Solo l'Arma ha accettato di farmi assistere ai suoi allenamenti.
Prima di andare alla Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma per vedere dal vivo il grado di preparazione specifico, ho ritenuto utile cercare una risposta su quanto e perché fosse pericoloso il coltello in base alle varie etnie. Fortuna ha voluto che due dei massimi esperti dell'argomento fossero disponibili a farsi torturare dalle mie domande. Sandro Martinelli e Marco Bellani sono valenti marzialisti e maestri di Warrior Eskrima, Sayoc Kali, Silat indonesiano e svariati sistemi combatives che hanno portato in Italia con la loro associazione Summa Maxima e sono studiosi seri dell'evoluzione della difesa da coltello e dei coltelli in generale.
«Il tessuto sociale è cambiato, la criminalità ormai è multietnica e usa stili di aggressione e armi a noi sconosciute come il karambit (foto)» dice Martinelli.
Bellani ha analizzato il problema nello specifico, area per area: «I criminali dell'Est usano coltelli da pochi soldi a serramanico, spesso con apertura rapida e con il filo ripassato da loro a rasoio; gli africani usano coltelli tendenzialmente grandi, tipo machete; quelli del Medio Oriente, hanno una cultura del coltello molto raffinata e usano coltelli medio grandi con prevalenza di lame parzialmente curve oppure dritti ma con un manico cha abbia un buon grip e senza guardia; asiatici, i filippini usano molteplici tipi di coltelli economici, anche da cucina (classico coltello da carne) e ovviamente ultimamente il karambit (e non più il classico balisong divenuto famoso negli anni '70-'80). I cinesi prediligono un coltello economico a doppio filo».
Ma lo studio è andato oltre, perché statisticamente è stato riscontrato che i sistemi di attacco si differenziano per area. Est: attacco di peso (del corpo) con tanti colpi di taglio oppure di punta allo stomaco portati dal basso verso l'alto; Africa: colpi larghi e portati di taglio; Medio Oriente: generalmente colpi di punta ai lati del collo o ai fianchi; Asia: i filippini attaccano con molti colpi di punta e taglio ma con movimenti stretti, mentre gli indonesiani attaccano con molti colpi di taglio larghi. L'arma da taglio tradizionale indonesiana è il golok (piccolo machete a punta arrotondata) e poi il karambit (nato in Indonesia e poi adottato dai filippini).
La prova del nove!
Il maggiore Alessandro Basile, capo sezione coordinamento attività ginnico-sportive della Scuola Ufficiali dei Carabinieri (arti marziali/difesa personale e tecniche del disarmo, nuoto, equitazione, scherma, atletica/educazione fisica) mi ha ricevuto nella bellissima struttura ove presta servizio - che tra l'altro è all'interno di quello che si può definire un vero e proprio campus universitario d'eccellenza - e mi ha informato che gli istruttori per l'autodifesa degli allievi ufficiali sono praticamente il massimo della professionalità reperibile all'interno dell'Arma ovvero gli Istruttori sono militari qualificati e quasi sempre provenienti dal Centro Sportivo Carabinieri ove hanno svolto attività nel settore delle arti marziali (Judo/Karate) con risultati di eccellenza.
Arrivato alla palestra ho trovato otto allievi dall'aria disciplinata e coscienti dell'importanza dell'argomento trattato, tra loro anche una graziosa ragazza, e cinque istruttori (dal curriculum professionale impressionante).
Dopo le presentazioni di rito, ci siamo avviati verso il tatami per le dimostrazioni pratiche, prima però ho voluto capire il grado di conoscenza sulla tipologia delle aggressioni, perché era la base della nostra ricerca. Alle mie domande, su quali armi e come avvengono gli attacchi in base alle varie nazionalità, hanno risposto gli istruttori che - prima confortante sopresa - hanno detto praticamente quanto mi avevano accennato i due esperti di coltello da me precedentemente contattati per fare il confronto. La mia prima impressione è stata estremamente positiva.
Le dimostrazioni pratiche alle quali ho richiesto di assistere comprendevano coltello, bastone, machete, disarmi e bloccaggio. Tutto eseguito a mani nude e contro aggressori con caretteristiche fisiche diversissime: dal ragazzo alto al piccolo e robusto. Insomma, ho cercato di riprodurre diverse varianti tra gli aggressori per rendere la prova quanto più realistica possibile. Inoltre, non è stato tralasciato anche il fatto che oggi anche le donne sono impegnate nel difficile compito dell'ordine pubblico e pertanto anche loro devono difendersi bene.
Luigi Guido, mar.ca. c.te della sezione Judo del centro sportivo, è un uomo corpulento e dall'aspetto bonario e nulla al mondo farebbe pensare che è stato un vero combattente sul tatami e pluricampione della sua specialità a livello mondiale. Mi si è affiancato per spiegare in maniera chiara, durante l'esecuzione delle tecniche, tutti i vari passaggi fino alla conlusione. Il maresciallo capo Guido ha subito sottolineato: «il nostro compito all'interno dell'Arma è quello di dare una formazione agli aiuto istruttori ed agli istruttori di difesa personale. Facciamo una formazione generale comprensiva sia di tecniche di difesa personale sia di psicologia applicata, perché sono tutte cose delicate. Bisogna avere una certa tipologia di approccio e capire le intenzioni, cercando naturalmente di intervenire anticipando le intenzioni. Sono comprese anche nozioni di primo soccorso».
Nella sostanza, una volta formati gli istruttori, gli stessi faranno insegnamento nelle varie scuole dislocate sul territorio italiano, mentre i 250 allievi ufficiali, una volta finito il corso, diventeranno operativi.
Il sistema di autodifesa insegnato è un misto di Judo e Karate, con alcune tecniche di Aikido.
Il primo scenario è stato un attacco di coltello alla pancia portato in maniera diretta. L'allievo ha eluso l'attacco e con una mossa fulminea ha atterrato l'aggressore con tanto di bloccaggio e ammanettamento. La dettagliata spiegazione mi ha permesso di capire che la tecnica era un misto di Judo e Aikido. L'idea è quella di anticipare, fermare e controllare mettendo in sicurezza.
Secondo scenario: attacco di coltello al collo portato in maniera frontale dall'alto al basso. Il militare para, devia e atterra l'aggressore.
Terzo scenario: attacco di coltello in maniera circolare portato con la mano destra e indirizzato da destra a sinistra. Elusione del fendente e successivo bloccaggio e disarmo.
Quarto scenario: attacco con machete con la modalità del terzo scenario. Identica conlusione.
Quinto scenario: attacco con machete brandito con la mano destra ma partendo da sinistra verso destra in maniera circolare. La tecnica, più complessa, è consistita nell'elusione, disarmo e blocco.
Fin qui, dunque, gli allievi ufficiali hanno dimostrato di saper gestire gli attacchi. Per rendere le cose ancora più complicate e vicine alla realtà, ho chiesto di vedere alcune tecniche difensive da eseguirsi in un contesto particolarmente difficile, tipo la corsia di un treno tra i sedili. Ho preso spunto da un fatto realmente accaduto ultimamente che ha visto il triste epilogo del ferroviere al quale un sudamericano ha quasi amputato il braccio.
Subito è stato delimitato lo spazio più o meno identico alla corsia che si trova nel vagone di un qualsiasi treno italiano e i due contendenti si sono affrontati. La tecnica in questo caso è stata eseguita efficacemente, pur considerando la difficoltà dovuta dal poco spazio di manovra. In questo caso specifico è stato usato un mix di Karate e Judo.
Siamo passati allo strangolamento eseguito da dietro, caso tipico del criminale che interviene in soccorso del suo complice. In questo caso un gigantesco allievo ha preso di sorpresa al collo una collega. Considerata la differenza notevole sia di peso sia di altezza, la ragazza si è liberata con disinvoltura.
Da quanto ho potuto appurare sul campo, la formazione degli allievi ufficiali dell'Arma tiene conto dei vari aspetti teorico-pratici dell'autodifesa. Ma la domanda cruciale che ho posto agli istruttori è la seguente: perché se sono così allenati quando succede un fatto grave arrivate in tanti anche contro un uomo solo?
Secondo il corpo istruttori, si deve arrivare in tanti per creare un anello di sicurezza attorno al criminale. L'anello serve per isolare il criminale e mettere in sicurezza le persone che malauguratamente dovessero trovarsi nei paraggi.
I nostri militari appaiono preparati a dovere durante il corso base. Successivamente, con i periodici corsi di aggiornamento e allenamenti continui (previsti dall’art. 718 del DPR 90/2010) e probabilmente con il quotidiano lavoro in strada, non potranno che migliorare.
(Nota: In questo articolo, per ragioni di sicurezza, non sono state spiegate nel dettaglio le tecniche marziali adottate. Divulgarle significherebbe dare un vantaggio ai criminali.)