Per noi occidentali è certamente arduo ammettere che un intero popolo durante duemilaseicento anni, possa avere seriamente e incrollabilmente creduto nel dogma della filiazione diretta della famiglia imperiale e del Giappone stesso da un essere divino, eppure è successo. Solo un popolo miticizzato ed esaltato da una convinzione fermissima di questa specie poteva, ad esempio, mutare la faccia del suo paese in meno di trent’anni, fra il 1870 e il 1900, compiendo un balzo per il quale all’Europa furono necessari almeno sei secoli. È vero c’erano i modelli occidentali da copiare, imitare, saccheggiare e manomettere a volontà. In pochi decenni si è passati dall’arma bianca alle torrette trinate delle supercorrazzate, dalla portantina all’aeroplano, è stato un fenomeno assolutamente senza precedenti e senza esempi successivi in tutto il mondo, un caso limite di carattere e di vitalità.
Le leggende giapponesi indicano nel 600 a.C. l’anno in cui Jimmu Tenno discendente della dea Amaterusa (Grande dea che splende nei cieli), una delle principali divinità shintoiste (Kami) parola giapponese per spirito o divinità, sarebbe salito al trono fondando l’impero del Sol Levante. In base a questa tradizione, i sovrani giapponesi sono sempre stati considerati discendenti diretti degli dei.
Notizie più precise si cominciano ad avere tra il II e V secolo dopo Cristo e riguardano soprattutto le popolazioni stanziate nella parte meridionale dell’arcipelago che, per la sua maggior vicinanza alle già evolute Corea e Cina ne subisce più direttamente l’influsso civilizzatore. In queste regioni, e più precisamente nell’isola di Kyushu, la più meridionale delle grandi isole giapponesi, all’inizio del V secolo un clan dei più potenti elevò il suo capo al rango di sommo imperatore e diede inizio alla lenta costituzione di uno stato accentrato sul modello di quello cinese. Con la riforma dell’era “Taikwa o Taika” (645-650 d.C.) fu un’importante riforma politico-amministrativa attuata in Giappone dall’imperatore Kotoku (596–654) è stato il 36° imperatore del Giappone secondo il tradizionale ordine di successione.
Hirohito primogenito del principe ereditario Yoshihito (1879-1926) e della sua consorte Sadako, nacque a Tokyo il 29 aprile 1901. Il nome di Hirohito è composto da due ideogrammi; il primo “Hiro” significa: “Grande, generoso, gentile”. Il secondo “Hito” sta a significare: “Perfetta virtù, benevolenza, umanità”. Quindi l’intero nome può essere reso con espressioni del tipo: “Grande umanità, generosa benevolenza, somma virtù”.
Suo padre, figlio del grande imperatore Meiji (1852-1912) e di una concubina, non godeva di buona salute e non ancora cinquantenne, morirà pazzo. Hirohito invece, benché alla nascita fosse molto gracile, sarebbe cresciuto sano di corpo e di mente. Ancora in fasce, fu affidato al conte Kawamura, viceammiraglio della Marina Imperiale, che provvide a farlo allevare nella propria villa di Azabu, e solo nel 1894 fu riammesso nella residenza del principe ereditario, il palazzo di Akasaka. Questa precauzione di allontanare dalla corte l’erede al trono risaliva ad un’antica tradizione.
Nei secoli passati la gestante di un possibile erede o l’erede stesso al trono imperiale potevano rimanere vittime di morti apparentemente causali o accidentali. Nel caso di Hirohito, l’allontanamento valse probabilmente a salvarlo dalle epidemie di tifo, vaiolo e dissenteria che periodicamente spazzavano il palazzo paterno, ed era considerato sacrilegio che le mani o gli strumenti di un medico toccassero la sacra persona di un principe ereditario. Anticamente questa consuetudine di separare subito dopo la nascita, i figli degli imperatori, affidandoli alle cure di severi processori, era soprattutto una ponderata misura politica degli Shogun che miravano ad isolare totalmente l’imperatore anche dai suoi parenti più prossimi, voluta ad impedire ogni possibile tentativo degli imperatori di conseguire un potere effettivo sul paese. In tal modo tra l’imperatore e i principi non si creavano vincoli di nessun genere, né tanto meno sentimenti di affetto. Era un sistema drastico per impedire che padre e figlio potessero insieme cospirare contro coloro che detenevano effettivamente il potere. Solo all’inizio del XX secolo con l’imperatore Meiji queste regole si allentarono, ma non scomparvero.
Al piccolo Hirohito venne inculcata la coscienza del futuro che l’attendeva: sarebbe stato il divino sovrano del popolo prediletto dagli dei. A sette anni iniziò a frequentare la scuola Gakushin, fondata, per volere dell’imperatore Ninko, nel 1847 a Kyoto come centro di studi per i giovani della corte imperiale e delle famiglie imperiali. Nel 1877 venne trasferito a Tokyo, nel quartiere Toshima. Con questo nome si intendono tutte le diverse scuole aperte nel corso degli anni, che attualmente ricoprono l’intero ciclo di studi dalla scuola materna fino all’università e ai master o ai dottorati di ricerca. A queste si sommano anche le scuole medie e superiori femminili e l’università femminile. Riservata agli aristocratici che avrebbero governato il paese diretta da un eroe nazionale, il conte Mareseku Nogi (1849-1912). Figlio di un samurai, nel corso della sua carriera riuscì a raggiungere i vertici della gerarchia militare e gli furono conferiti anche dei titoli nobiliari di danshaku e hakushaku (equivalenti al barone e al conte europeo) per via delle sue importanti vittorie nella prima guerra sino-giapponese e nella guerra russo-giapponese.
Dodici nobili rampolli scelti con cura frequentavano la stessa classe del futuro imperatore. Il programma era più complesso di quello delle elementari ordinarie, ma anche qui veniva inculcata la fedeltà al sovrano regnante. Ogni mattina, infatti, dopo l’inchino di un minuto in direzione della reggia, e il canto dell’inno nazionale iniziavano le lezioni.
Il 30 luglio 1912 il nonno imperatore (foto) morì, aveva 60 anni ed aveva regnato per 45, traghettando il Giappone da un’epoca feudale all’era industriale. Alla vigilia del funerale Nogi si trattenne per qualche ora con Hirohito, interrogandolo su tutte le materie di studio, ed infine soddisfatto gli regalò un libro di precetti confuciani. Il giorno dopo il giovane principe apprese, costernato ma impassibile che il suo padre adottivo il conte e generale Nogi, per seguire nell’aldilà il suo imperatore, secondo un antico rito si era fatto, con la moglie “Seppuku”.
Alla morte di Meiji salì al trono Yoshihito unico sopravvissuto di dodici figli e assunse il nome di “Taisho”, “Grande Rettitudine”. Due anni dopo scoppiava in Europa la prima guerra mondiale e il Giappone alleato con l’Inghilterra, nell’agosto del 1914 dichiarò guerra alla Germania ed occupò tutti i possedimenti tedeschi in Estremo Oriente: in Cina e gli arcipelaghi delle Caroline delle Marshall e delle Marianne.
Nel frattempo Hirohito terminati gli studi primari aveva iniziato a frequentare un corso di studi sotto la guida di un altro eroe nazionale; l’ammiraglio Heihachiro Togo (1848-1934) il distruttore di due flotte russe durante la guerra del 1904/05. Il giovane principe dimostrava interesse e non comune capacità in geografia, fisica, matematica, lingue straniere e soprattutto biologia. Catturare insetti, raccogliere fiori, studiarli, catalogarli, sotto la guida del suo professore di scienze naturali Hirotaro Hattori (1867-1941) fu l’attività preferita dell’adolescente principe. Una passione che lo accompagnerà per tutta la vita, facendo del futuro imperatore un esperto in materia.
Il 3 novembre 1916 Hirohito fu ufficialmente nominato principe ereditario, e secondo la tradizione ricevette in dono le due spade da Samurai. Il 3 marzo 1921 in divisa di ammiraglio Hirohito s’imbarcò a Yokohama sull’incrociatore Katori che, scortato dall’incrociatore Kajima e da cinque cacciatorpediniere, salpò per l’Europa. La squadra sostò a Okinawa, Hongkong, Singapore, Colombo, Port Said.
A Malta gli onori di casa vennero fatti dal duca di York secondogenito del re d’Inghilterra e futuro sovrano col nome di Giorgio VI (1895-1952). Per l’occasione il principe giapponese assistette alla rappresentazione dell’Otello data da una compagnia italiana, era la prima volta che entrava in un teatro. L’8 maggio la squadra nipponica fu accolta a Portsmouth dall’Home Fleet e Hirohito ricevuto alla stazione Victoria da re GiorgioV (1865-1936). A fine maggio Hirohito visitò la Francia, poi il Belgio e l’Olanda. Quindi raggiunse Tolone per imbarcarsi alla volta di Napoli, proseguendo in treno per Roma dove fu accolto da Vittorio Emanuele III (1869-1947) e il 15 giugno entrava in Vaticano per essere ricevuto da papa Benedetto XV (1854-1922). Visitò Tivoli e Pompei, quindi dal porto di Napoli salpò per il rientro in Giappone.
Mai, in 2850 anni, un membro dell’augusta dinastia aveva abbandonato l’arcipelago giapponese. Naturalmente la visita di Hirohito in Europa e soprattutto in Inghilterra avvenne per uno scopo politico ben preciso, riconfermare e rafforzare il trattato di alleanza anglo-nipponico che tanto si era dimostrato utile per gli interessi del Sol Levante in Estremo Oriente, fin dalla guerra contro la Russia del 1904. Ma gli interessi della Gran Bretagna ora collimavano maggiormente con quelli degli Stati Uniti che non vedevano di buon occhio l’espansione giapponese nel Pacifico e in Cina. Sotto la pressione di Washington, che ostacolava l’alleanza anglo-nipponica, la Gran Bretagna preferì rafforzare l’intesa con gli Stati Uniti e l’alleanza con il Giappone venne denunciata e decadde il 13 dicembre dello stesso anno.
Il 26 gennaio 1924 si celebrò il matrimonio di Hirohito con Nagako (1903-2000), nel tempio schinto annesso al palazzo imperiale, e in tutto il paese echeggiarono le salve di gioia dei cannoni. Due anni dopo moriva nel palazzo estivo di Hayamo l’imperatore Yoshihito. Il reggente Hirohito salì ufficialmente sul trono imperiale, divenendo il centoventiquattresimo imperatore del Giappone, scegliendo per il suo regno l’appellativo di “Showa”, le due sillabe “Sho e Wa” furono prese da una frase in cinese classico, che significa “Pace Illuminata”. Con l’episodio di Mukden tutta l’Asia orientale entrò nel suo periodo di travaglio. Si aprì la fase più drammatica della sua storia e che divenne una tragedia.
Con l’esplosione del 18 settembre 1931, iniziò la catena di eventi che condussero all’agonia mortale della Società delle Nazioni, all’invasione della Cina da parte del Giappone, all’attacco di Pearl Harbor, all’invasione di tutta l’Asia orientale, alle due bombe atomiche e alla sconfitta del Giappone. Pur nella tragedia senza precedenti che aveva sconvolto il Giappone, la figura dell’imperatore mantenne sempre il primo posto nei sentimenti del popolo, anche nei momenti più tragici.
A mezzogiorno del 15 agosto 1945 l’intero Giappone trattiene il respiro, scuole, uffici, fabbriche sono chiuse, i campi deserti; i treni hanno ricevuto l’ordine di fermarsi alle stazioni. Tutti aspettavano di udire la voce dell’imperatore, che non avevano mai udito prima. L’annunciatore della radio invitò tutti gli ascoltatori ad alzarsi in piedi e tutto il Giappone ascoltò la voce di Hirohito. I plenipotenziari giapponesi firmarono l’atto formale di resa la mattina del 2 settembre 1945 a bordo della corazzata Missuri ancorata nella baia di Tokyo.
Il rispetto sacrale verso l’imperatore era evidentemente troppo radicato nel popolo giapponese, perché anche la nuova situazione del Giappone umiliato e sconfitto potesse scalfirlo. I padroni di fatto potevano essere cambiati, ma al di sopra di tutto intangibile, rimaneva Hirohito.
Vorrei citare un significativo episodio: diversi mesi dopo la fine della guerra e dall’annuncio dell’imperatore che dichiarava di non essere divino e di non esserlo mai stato, un vecchio contadino si fermò davanti al palazzo dove si trovava il quartier generale di MacArthur (1880-1964). Prima si inchinò profondamente davanti al vessillo americano, poi si girò e altrettanto profondamente si inchinò in direzione del palazzo imperiale che si trovava dall’altra parte della piazza. Il vecchio rendeva omaggio senza riserve al potere temporale dello Shogun, ma contemporaneamente riveriva l’altro potere, quello eterno dell’imperatore.
Il 7 gennaio 1989 l’imperatore Hirohito si spense, e con la sua scomparsa si concluse l’era “Showa”, la più lunga nella storia del Giappone. Solo dopo l’annuncio della sua scomparsa l’agenzia della casa imperiale diffuse le cause della morte del sovrano, che stabilirono essere un tumore ghiandolare all’apparato digerente. Per onorare la memoria dell’imperatore furono celebrati funerali di stato, alla presenza di molti capi di stato e di governo, e contemporaneamente cerimonie funebri shintoiste, ufficialmente non previste dalle vigenti leggi.
Bibliografia
John Toland – l’eclisse del Sol Levante – Mondadori 1971
Tsunetomo Yamamoto, L. V. Arena- Hagakure. Il codice dei samurai -RCS MediaGroup 2006.
Roger Bersihan – Storia del Giappone – Cappelli 1961
Daniela De Palma -Storia del Giappone contemporaneo, 1945-2000 - Roma, Bulzoni editore, 2003.
Il Milione, vol. XII – Istituto Geografico De Agostini di Novara 1967