Alla vigilia della Grande Guerra, il Medio Oriente era parte integrante dell'ormai decadente Impero Ottomano, considerato come “il grande malato di Europa”, poiché era un'entità statale oltre che in decadenza anche vittima di conflitti e lotte intestine, priva di un esercito forte e preda di una burocrazia incapace di risolvere i problemi che si ponevano al tempo. Nel 1908 un'associazione politica nazionalista e pan-turca, i Giovani Turchi, prese il potere effettivo, sottraendolo al Sultano Abdul Hamid II, il quale verrà poi deposto e sostituito l'anno dopo dal fratello Maometto V. Il nuovo governo nazionalista, il quale si faceva promotore di una modernizzazione e una nuova concezione della Sublime Porta, con l'instaurazione di una monarchia costituzionale, la riforma dell'esercito e una centralizzazione del potere statale, avviò una forte campagna repressiva nei confronti delle popolazioni non-turche, come gli arabi, i quali, sentendosi minacciati da questo clima ultra-nazionalistico e dai progetti di infrastrutture più efficienti (come la ferrovia dell'Hegiaz) sul proprio territorio, cominciarono ad opporsi tramite richieste indipendentiste.
Lo scoppio della guerra fece sì che, con lo schieramento dell'Impero Ottomano a fianco degli Imperi Centrali, gli anglo-francesi, interessati al territorio e alle sue risorse, appoggiassero ed incoraggiassero i fermenti nazionalistici arabi. Londra era terrorizzata anche dalla possibilità che il Sultano Ottomano, guida massima delle popolazioni di fede musulmana, potesse invocare la jihad, la guerra santa, contro gli infedeli. A questo scenario sarebbero potute seguire rivolte ed attacchi alle colonie britanniche compiute da musulmani, poiché alcune delle quali contenevano una forte componente islamica all'interno.
Fu così che il governo di sua maestà iniziò a prendere i contatti con la dinastia hashemita, una delle principali dinastie arabe, in quanto discendenti diretti di Maometto e guide religiose. La corrispondenza tra l'Alto Commissario inglese al Cairo MacMahon e Hussein Ibn-Ali contiene tutte le promesse fatte da Londra agli Arabi: questi ultimi avrebbero avuto, alla fine delle ostilità, un grande Stato Panarabo, affiliato a Londra (Hussein era un anglofilo, desiderava perfino di entrare nel Commonwealth), ma in cambio avrebbero dovuto combattere al fianco dell'Intesa. Ciò rientrava anche nella logica della politica dell'indirect rule, applicata dai britannici anche nelle proprie colonie: essa consisteva nella formazione di elité coloniali capaci di governare la colonia in modo autonomo, restando però legate alla madrepatria. Il paese imperialista, però , avrebbe avuto accesso alle risorse principali del paese, e avrebbe avuto diritto alla creazione di basi militari sulla terra della colonia.
Per gli Arabi, la possibilità di uno Stato panarabo e la liberazione dal giogo turco erano condizioni sufficienti per combattere contro l'Impero Ottomano, in quanto desideravano e sognavano un territorio arabo, esteso in tutta la regione; l'Intesa, però, aveva ben altri piani per il Medio Oriente. Nel 1916 fu firmato un accordo segreto anglo-francese dai due diplomatici Mark Sykes e François Georges Picot nel quale si definivano le rispettive sfere di influenza dopo la caduta della Sublime Porta: ai britannici sarebbero andati l'Iraq meridionale, la Giordania e Haifa, città portuale; ai francesi, l'Anatolia sud-orientale, l'Iraq settentrionale e la Grande Syria, comprendente la Syria stessa e i territori libanesi. Alla Russia degli Zar, sebbene non avesse partecipato alle trattative con un ruolo di rilievo, venne assegnata l'Armenia, mentre la Palestina, centro nevralgico dell'immigrazione sionista, sarebbe stata posta sotto controllo internazionale.
Questa segreta spartizione fu il risultato degli attriti coloniali, mai sopiti, tra Francia e Inghilterra, poiché, sebbene l'Inghilterra avrebbe potuto tranquillamente appoggiare la formazione di uno Stato panarabo anglofilo, legato indissolubilmente a Londra, la Francia, autoproclamatasi protettrice dei Cristiani nel mondo, avrebbe perso potenza e prestigio, e non poteva accettare che un territorio così ricco di risorse come il Medio Oriente potesse finire nelle mani britanniche.
Il 10 giugno 1916, a meno di un mese dalla firma di Sykes-Picot, Hussein Ibn-Ali, ignaro del grande gioco che si stava consumando alle sue spalle, sparò un colpo dalla propria finestra, dando inizio alla Rivolta Araba. In pochi giorni, i rivoltosi arabi giunsero alla conquista della Mecca, poi del Mar Rosso e infine della città di Ta'if. Il loro slancio offensivo si arrestò nella battaglia di Medina, in settembre, ove le forze ottomane, seppur sottovalutassero il problema arabo, riuscirono a respingere e a mandare in rotta, con l'utilizzo di mitragliatrici, le forze dei figli di Hussein, Faysal e Abdullah. Questa sconfitta fece dubitare gli Inglesi delle effettive capacità Hashemite di poter condurre una guerra parallela contro il Sultano. In Ottobre, fu inviato un agente dell'Intelligence britannica a valutare la situazione: il suo nome era Thomas Edward Lawrence, in seguito conosciuto semplicemente come Lawrence d'Arabia, il leggendario colonnello che sconfisse, romanticamente, i turchi tra le dune del deserto.
Lawrence, grande conoscitore e appassionato del mondo arabo, comprese che quei popoli avessero bisogno di mezzi e armi adeguate per combattere: fu così che convinse Londra ad inviare soldi e rifornimenti, necessari a costituire una forza di combattimento efficace. Allo stesso modo, la diplomazia inglese si era già messa in moto, promettendo ai figli di Hussein, Faysal e Abdullah, delle terre da poter amministrare: a Faysal sarebbe andata la Syria, mentre ad Abdullah l'Iraq. Al padre, sarebbe andata la Mecca.
Le forze hashemite, all'inizio della rivolta, potevano contare su circa 30.000 beduini, disponenti dei più disparati armamenti e privi di una disciplina militare. L'arrivo di Lawrence, però, mutò gli schieramenti in campo: Faysal avrebbe guidato 6.000 uomini contro gli Ottomani a Nord, Abdullah 9.000 verso il settore meridionale, e venne costituito anche un esercito arabo regolare di 2.000 uomini, di cui 1.500 appartenenti all'esercito anglo-egiziano; tutto ciò in supporto alla forza anglo-egiziana del generale Allenby, il quale aveva il compito di sconfiggere la Sublime Porta. A queste forze, si aggiunsero alcune truppe e artiglieria francesi, delle colonie nordafricane, poiché il governo francese si voleva mostrare più sensibile alla religiosità araba.
Gli Ottomani, per contro, disponevano di circa 23.000 uomini, numerosa artiglieria e aviazione tedesca dislocati in tutto il Medio Oriente, al comando del generale Fakhri. Il piano elaborato da essi era semplice: mantenere le linee di comunicazione e le città principali, rispondere con limitate controffensive e non dissanguare forze in questa “rivolta tribale”, definita così dai turchi, in quanto sottovalutarono assolutamente il problema.
In seguito alla sconfitta nel 1916 a Medina, l'armata del generale Fakhri prese l'iniziativa e riconquistò buona parte del territorio perso. Nella città di Yanbu, però, 1500 arabi, coadiuvati dalla Marina e dall'Aviazione britannica, riuscirono a respingere la controffensiva turca. Fu però durante la battaglia di Rabegh che gli ottomani, respinti, persero ogni slancio offensivo e furono costretti, da allora, a rispondere in maniera passiva agli attacchi dei guerriglieri arabi.
Nel 1917 la situazione divenne più complessa: i soldati di Lawrence d'Arabia intensificarono gli attacchi di disturbo alle linee di comunicazione ottomane, distruggendo ampie porzioni della Ferrovia dell'Hegiaz, utilizzata, seppur limitatamente, per il trasporto truppe/rifornimenti e completata nel 1914. Fu a quel punto che Lawrence elaborò il suo capolavoro militare: la presa di Aqaba.
Aqaba era una città portuale circondata dal deserto. Era fortemente difesa dalle piazzeforti ottomane, le quali pullulavano di cannoni difensivi che potevano ruotarsi solamente di 180° . Prenderla dal mare sarebbe stato un suicidio letterale. Fu così che Lawrence decise di attraversare 600 miglia nel deserto, arruolando altri miliziani nel tragitto e di lanciare la sua offensiva da terra, prendendo di sorpresa la guarnigione ottomana in difesa. Ciò che rende più straordinario, leggendario e spettacolare quest'impresa non è solamente l'aver attraversato il deserto Al-Houl (il terrore) in quella lunga distanza, e né l'aver vinto con solo 700 uomini perdendone 2, ma l'aver anche attaccato in Luglio, fatto che in quei territori significava che vi erano temperature oltre i 50° gradi. Era un'impresa quasi impossibile. La conquista di Aqaba permise a Lawrence di trasformarla in un centro di comando e di logistica efficiente, da cui poi continuare le offensive.
La guerra stava volgendo al termine, ma sebbene il fronte mediorientale poteva apparire agli occhi europei come “secondario” continuò a procurare numerosi grattacapi agli Alleati. Infatti, sul finire del '17, i britannici, nel tentativo di ingraziarsi le simpatie della comunità sionista (e i soldi dei banchieri) inviarono, a nome del ministro degli Esteri di sua maestà Arthur Balfour, una lettera (passata alla Storia come “Dichiarazione Balfour”) a Lord Rothschild, banchiere e esponente di spicco della comunità internazionale sionista, affermando come il governo britannico fosse a favore della costituzione di uno Stato ebraico. Anni prima, gli stessi inglesi, avevano cercato di offrire l'Uganda ai sionisti, nell'ottica di costituire un primo nucleo dello Stato ebraico, senza che potesse intaccare il giusto equilibrio di potere e tolleranza presente in alcuni territori. Il movimento ebraico rifiutò e allora si cercò di guardare alla Palestina, sebbene essa contenesse già le prime scintille che avrebbero appiccato il focolaio decenni dopo. Gli arabi, venuti a conoscenza della dichiarazione inglese, e in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre, anche dell'accordo Sykes-Picot (i bolscevichi hanno reso pubblici tutti i documenti della diplomazia zarista) si sentirono traditi e usati per gli scopi imperialistici anglo-francesi.
L'imposizione dell'immigrazione ebraica in Palestina e la prospettiva di un futuro privo di una Nazione panaraba fecero sì che le stesse popolazioni arabe divenissero disilluse. Questo, al contrario di quanto ci si potesse aspettare, non deformò la combattività araba, né la arrestò. Nel 1918, i guerriglieri seguitarono a fornire aiuto alle truppe di Allenby tramite attacchi dietro le linee nemiche e incursioni, permettendo agli anglo-egiziani di conquistare Gerusalemme e di sfondare, poco dopo, la linea difensiva tedesco-ottomana a Nord della Città Santa. La guerra si inasprì: gli ottomani avviarono una forte repressione e una campagna di rastrellamenti sistematici, distruggendo villaggi e uccidendo indiscriminatamente civili; gli Arabi, infuriati, si vendicavano reagendo in modo brutale, sfigurando i morti e massacrando i vivi.
Il 1° ottobre del 1918, in seguito a questa furiosa guerra, le truppe di Faysal, assieme alle colonne di avanguardia del generale Allenby, composte da reggimenti di cavalleria australiana e neozelandese, presero Damasco, atto finale di quella guerra. Lawrence, nel suo libro “I sette pilastri della Saggezza”, racconto autobiografico della sua guerra orientale, ci descrive un tripudio incredibile, una festa quasi ossessiva e una contentezza immane per la liberazione di Damasco da parte dei suoi abitanti. Il discorso di Wilson sui suoi 14 punti, in particolare quelli riferenti all'autodeterminazione dei popoli, entusiasmarono gli arabi, delusi dalla Dichiarazione Balfour e dalla rivelazione di Sykes-Picot, che tornarono a bramare uno Stato panarabo libero e indipendente. La rinata illusione, però, sarebbe durata ben poco.
Con la firma dei trattati di pace in Francia e la costituzione della Società delle Nazioni, i territori appartenenti all'ex-Impero Ottomano vennero affidati a delle potenze mandatarie, tra cui rientravano, principalmente, Francia e Inghilterra. Faysal, avendo come interprete Lawrence d'Arabia, tentò nel corso delle trattative di far valere i propri diritti e quelli del popolo arabo, senza successo. La decisione era stata presa da tempo e a nulla valsero le ragioni esposte, il ridimensionamento delle pretese e la capacità negoziatrice. Il Medio Oriente sarebbe stato spartito, a cui sarebbero stati affidati a Parigi la Grande Syria, mentre a Londra la Palestina e l'Iraq. Sul trono Iraqeno fu posto, nonostante tutto, Faysal, mentre su quello Giordano Aballah; la penisola araba fu conquistata da Ibn-Saud, un altro discendente della Dinastia; la Palestina, invece, viste le sue tensioni tra la comunità ebraica e quella raba, fu posta sotto controllo militare diretto di Londra. La suddivisione amministrativa operata dai britannici rispondeva ancora una volta alla politica dell'indirect rule, ovvero ai locali l'amministrazione, agli imperialisti la gestione delle risorse.
Non bisogna però credere che l'illusione infusa dagli inglesi agli arabi fosse solamente una questione riferente a una data realpolitik, cinica e priva di onore, bensì va collocata in un contesto ben preciso: per quanto i britannici volessero controllare determinate risorse e fossero interessati a un dato territorio, essi dovevano tenere conto, prima che delle aspirazioni delle popolazioni coinvolte, delle necessità e delle ambizioni degli alleati, come la Francia. Essa, nel piano britannico, doveva essere contenuta, ma allo stesso tempo non si poteva stringere troppo il cappio al collo dell'alleato: Parigi avrebbe reagito con veemenza. Per questo, furono concesse alcune zone di influenza senza strafare (e così si fece dall'altra parte dello schieramento).
Alla fine, coloro che ci hanno rimesso sono stati proprio gli arabi, coloro che avevano sopportato il peso dell'offensiva, del giogo e della brutalità della guerra, per gli interessi di pochi. Probabilmente, col senno di poi, se la questione araba fosse stata affrontata con più lungimiranza da parte delle autorità alleate adesso non avremmo problemi in quella regione, e nel limite del possibile, sarebbe stata pacificata.
Ad ora, ci resta solo che imparare da quell'esperienza nefasta, per commettere meno errori.
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