Il XX secolo è stato, se possibile, il secolo peggiore nella storia dell'Indocina, ex-colonia francese che occupava i territori degli attuali stati del Vietnam, del Laos e della Cambogia.
Tra il 22 ed il 26 settembre 1940, le forze dell'Impero del Giappone occuparono la ricca colonia francese dando avvio ad una serie di conflitti che, a partire dalla “Seconda Guerra Mondiale”, avrebbero attraversato tutta la “Guerra Fredda” per concludersi definitivamente solo nel 1999 con la resa degli ultimi Khmer Rossi alle forze governative del Regno di Cambogia, quasi 60 anni dopo.
Variamente descritte ora come “una titanica lotta dei popoli oppressi contro le potenze imperialiste” oppure come “una serie infinita di guerre civili”, in realtà le “guerre indocinesi” sono state un po' tutto questo ma soprattutto un'enorme disastro umanitario che è costato milioni di perdite a tutti i contendenti coinvolti, in particolar modo alle popolazioni locali, ed un lascito di cicatrici ancora non rimarginate. Tuttavia è bene ricordare che, nel corso dei lunghi anni di combattimenti, la morte non arrivava solamente attraverso la canna dei fucili appartenenti ai nemici più disparati, come impararono a proprie spese, per esempio, gli uomini del cosiddetto “Team Rock Mat” nel maggio del 1970.
Il 5 di maggio di quell'anno, mentre tutto intorno infuriava la “Guerra del Vietnam” (detta anche “Seconda Guerra d'Indocina”) un nucleo della “1st Force, Recon Company, 1a Divisione dei Marine” venne inserita a mezzo di elicottero nel mezzo della giungla vietnamita, 40 chilometri a nord-est di Da Nang per una missione di pattugliamento che avrebbe dovuto durare 5 giorni. Il gruppo di 7 marine era guidato dal trentaduenne sergente Robert C. Phleger, un veterano con grande esperienza accumulata nel corso del conflitto e già precedentemente distintosi in altri pattugliamenti nel fitto della giungla, che era appena tornato da un breve periodo di licenza alle Hawaii dove aveva sposato la sua fidanzata conosciuta ai tempi della scuola.
L'inserzione avvenne con precisione da manuale e la pattuglia iniziò il suo giro di perlustrazione attraverso la giungla intricata, tra nugoli di insetti e sotto un caldo afoso. La missione del “Team Rock Mat” era quella di trovare segni di attività da parte degli irregolari Vietcong oppure delle forze dell'Esercito Popolare del Vietnam. I marine in pattuglia portarono a compimento la loro missione per quella giornata ignari che occhi nemici li stessero spiando, aspettando solamente il momento giusto per l'attacco.
Al calare delle tenebre, gli uomini del “Team” predisposero una serie di buche per la notte e vi si accovacciarono mentre il sergente Phleger montava il primo turno di guardia. Attorno alle ore 20:00, il silenzio della giungla venne improvvisamente rotto da un breve scalpiccio seguito da un tonfo e da un urlo spezzato e da rumori di veloce trascinamento. Nonostante l'intera “azione” fosse durata letteralmente una manciata di secondi, il rumore fu comunque sufficiente a svegliare l'intera pattuglia, con gli uomini che agguantarono le armi e si sistemarono in posizione difensiva, chiamando a bassa voce il comando via radio, chiedendo istruzioni sul da farsi e ricevendo come risposta l'ordine di non fare rumore, mantenere la calma e non abbandonare per nessun motivo la posizione difensiva fino al giorno seguente. I soldati trascorsero così l'intera notte in una condizione di perenne tensione, immersi nell'oscurità e nel silenzio della giungla rotto qua e là solamente dal suono degli insetti o di qualche uccello.
Una volta sorto il sole, i marine si raggrupparono e si avventurarono nell'intrico della vegetazione per capire cosa ne fosse stato del loro comandante. Immediatamente trovarono per terra lo zaino completo di tutti gli equipaggiamenti, il poncho militare ed il fucile d'assalto M-16 d'ordinanza che non aveva avuto il tempo di sparare nemmeno un colpo, nonostante la sicura fosse rimossa ed il proiettile in canna. La seconda cosa che trovarono fu una copiosa scia di sangue che gli uomini seguirono per circa 50 metri fino a scoprire, riverso contro il tronco di un albero, il corpo martoriato e senza vita del sergente Phleger...
Il suo collo era stato spezzato con una furia animalesca e la divisa completamente lacerata a stento copriva i pietosi resti del suo corpo semi-divorato. I marine ebbero appena il tempo di meditare sommessamente su quanto accaduto al loro comandante che, all'improvviso... apparve dinnanzi a loro il suo assassino! Un esemplare di tigre indocinese pesante almeno 200 chili che, affamata e furiosa, si lanciò alla carica contro i marine responsabili di stazionare troppo vicino al suo “pasto”.
Gli uomini del “Team” aprirono immediatamente il fuoco contro l'animale che, mancato, sparì immediatamente nel fitto della vegetazione, continuando a correre e a ruggire nei dintorni del piccolo gruppo di uomini che, spaventati a morte e con l'adrenalina a mille, raccolsero i poveri resti del loro comandante e si misero a correre, chiamando nel contempo un elicottero al fine di ottenere una estrazione prioritaria da “una zona calda”. Ma la belva non aveva alcuna intenzione di lasciarli andare ed, anzi, continuò ad attaccarli ancora ed ancora con i marine costretti persino a lanciarle contro delle granate a frammentazione pur di tenerla lontana. Infine l'elicottero arrivò e gli uomini del “Team Rocket Mat” poterono salire a bordo, portandosi appresso i resti del sergente Phleger, e lasciare l'area alla volta del campo base.
Quanto appena narrato non è un racconto di fantasia ma il drammatico resoconto di uno dei tanti attacchi da parte di tigri indocinesi “mangiatrici di uomini” ai danni di militari americani nel corso della “Guerra del Vietnam”. Pochi infatti si rendono conto che le giungle del Sud-Est asiatico rappresentavano un autentico inferno dove la morte non arrivava solamente a causa dell'azione dei nemici ma anche attraverso epidemie tropicali, malattie veneree, colpi di calore, acqua infetta, punture di ragni ed insetti, morsi di serpenti e, ovviamente, attacchi di animali feroci di grossa taglia come orsi, leopardi e, per l'appunto, tigri.
Si stima che su circa 1 milione di persone uccise dalle tigri nel corso del XX secolo, ben 373.000 furono uccise proprio in Indocina e la frequenza degli attacchi prese un andamento di natura esponenziale proprio a partire dall'inizio delle guerre indocinesi. I conflitti che insanguinarono i territori del Vietnam, del Laos e della Cambogia nel corso di questo arco temporale ebbero effetti drammatici tanto sulle popolazioni locali quanto sull'ecosistema.
All'improvviso la catena alimentare sulla quale le tigri avevano sempre contato per la loro sopravvivenza venne completamente sovvertita quando le popolazioni locali di ungulati, primati ed uccelli si spostarono verso territori più tranquilli oppure vennero abbattute dagli affamati contadini locali. Rimaste senza prede naturali, le tigri optarono per l'unica fonte di cibo rimasta in gran quantità sul loro territorio: gli esseri umani!
Invero, rilevazioni fatte sul campo, specialmente durante la “Guerra del Vietnam”, provarono che la massiccia presenza di popolazione umana indebolita dalla guerra rappresentata da profughi malnutriti e soldati morti o feriti appartenenti a tutti gli eserciti in campo aveva i seguenti effetti sulla popolazione locale di tigri:
- l'abbondanza di “cibo” faceva sì che le tigri crescessero di dimensioni e avessero una salute più robusta;
- femmine dalla salute più robusta mettevano al mondo cucciolate più sane e numerose;
- l'abbondanza di “prede facili da catturare” come gli esseri umani faceva sì che anche le tigri più vecchie, malate o ferite che in natura sarebbero state condannate alla morte per fame ora vivevano più a lungo;
- tutto questo contribuiva all'aumento esponenziale della popolazione di tigri (per esempio nel 1967 si stimava che nella sola provincia di Quang Tri vivessero oltre 3.000 tigri!) e ad un conseguente aumento degli attacchi ai danni dell'uomo.
Sostanzialmente, le “guerre indocinesi” avevano creato la più grande popolazione di “mangiatrici di uomini” che la Storia ricordi. Non esistono dati precisi riguardo al numero totale di militari americani uccisi o feriti nel corso di attacchi di tigri dato che la censura militare fu efficacissima nel non diffondere i dati e la stampa venne autorizzata solamente in due occasioni a parlare di due casi di morte di militari americani (in entrambi i casi marine) a causa delle zanne dei felini: uno fu il marine di prima classe Frank Baldino, nel 1968, e l'altro fu il già citato sergente marine Roger C. Phleger, nel 1970. Tuttavia il fatto che gli attacchi da parte delle tigri fossero diventati un vero flagello per i soldati al fronte lo si deduce, oltre che dalla mole di storie circolanti all'interno della vasta comunità di reduci del Vietnam, anche dalla testimonianza diretta da parte di John Walter Ripley (foto), figura leggendaria della guerra e pluridecorato eroe del “Corpo dei Marine” che nel suo “Tiger Tales” del 1967 (quindi nel pieno svolgimento degli eventi) descrisse proprio l'incontro-scontro tra l'uomo e la belva nelle giungle del Sud-Est Asiatico a partire dalla sua esperienza personale e degli uomini sotto il suo diretto comando, e dal fatto che per descrivere le perdite sofferte nel teatro d'azione, a fianco dei canonici “KIA” (“killed in action” - “uccisi in azione”), “WIA” (“wounded in action” - “feriti in azione”) e “MIA” (“missing in action” - “dispersi in azione”) le forze armate americane introdussero anche la sigla “EIA” (“eaten in action” - “sbranati in azione”)!
Non solo, tali eventi avevano un effetto particolarmente demoralizzante sulla truppa perché i soldati (persino quelli delle forze speciali e delle unità da ricognizione dei Marine, come visto sopra) non avevano ricevuto alcun particolare addestramento su come fronteggiare tale “minaccia” e sovente si facevano prendere dal panico e scappavano via abbandonando le armi; l'unica notevole eccezione era rappresentata da coloro che, indipendentemente dal grado o dall'assegnazione operativa, nella vita civile negli USA avevano avuto esperienza come cacciatori.
Le tigri impararono persino a trarre beneficio dalle tattiche di combattimento e dalle strategie utilizzate dagli eserciti opposti per trovare cibo più facilmente. Lo conferma la testimonianza del veterano Bob Konrardy che, nel corso di una conferenza alla St. Ambrose University, nel 2014, raccontò come in una occasione lui e la sua unità, in transito verso una nuova base militare seguendo un percorso nell'erba alta a dorso di elefanti, scorsero in lontananza una tigre che stava seguendo un'altra colonna di militari americani questa volta appiedati. Determinati ad avvisare i loro commilitoni dell'imminente pericolo, Konrardy e i suoi decisero di operare una deviazione ma prima chiamarono il quartier generale per descrivere la situazione e mettere al corrente il comando della loro iniziativa. La risposta del comando gli fece raggelare il sangue:
Negativo! Non avvicinatevi assolutamente all'altra pattuglia ed anzi fate dietrofront e tornate immediatamente alla vostra base di partenza. La ragione per la quale la tigre sta seguendo l'altra pattuglia è perché sa che i Vietcong hanno preparato un'imboscata più avanti e per questo lei avrà presto cibo a disposizione. Tornate indietro subito! Non possiamo perdere due pattuglie! Chiudo!”.
A malincuore, Konrardy ed i suoi diressero gli elefanti indietro lungo il sentiero dal quale erano venuti e, non molto tempo dopo, udirono in lontananza il crepitio dei fucili d'assalto e delle mitragliatrici nemiche che facevano il loro lavoro e le urla disperate dei loro commilitoni che venivano sterminati; quella notte la tigre si era guadagnata un facile banchetto!
Se questa era la situazione degli americani e dei loro alleati delle “Forze del Mondo Libero”, quella degli uomini dell'Esercito Popolare del Vietnam, dei Vietcong, del Pathet Lao e dei Khmer Rossi era, se possibile, ancora peggiore dato che essi dovevano letteralmente “vivere” nella giungla in pianta stabile, a quotidiano contatto con le sue mortali insidie.
Le fonti militari vietnamite e degli altri stati indocinesi sono mute tanto quelle americane nel nascondere l'entità reale degli attacchi sofferti da parte degli animali feroci di grosse dimensioni ma è interessante notare che i regolamenti di campo distribuiti alle truppe nel corso del conflitto così recitavano: “Uscite sempre nella giungla in grandi gruppi e mai da soli! Non temete gli americani ed anzi fate attenzione alle tigri, ai serpenti e agli orsi, in quest'ordine!”, ogni ulteriore commento pare superfluo.
Tutte le guerre però finiscono, prima o poi, e ciò è avvenuto anche in Indocina. Sebbene il territorio indocinese tornasse completamente alla pace solamente nel 1999 con la resa degli ultimi Khmer Rossi alle truppe governative del Regno di Cambogia, già verso la metà degli anni '80 le condizioni generali di sicurezza attraverso la penisola cominciarono a migliorare sensibilmente ed i governi dei tre paesi poterono iniziare un lento processo di ripresa di controllo del territorio e di ricostruzione della vita materiale delle persone e, in questa nuova fase storica, una popolazione di tigri “mangiatrici di uomini” vasta e fuori controllo costituiva un fattore non più tollerabile.
Gli anni che seguirono furono segnati da uno sforzo metodico per giungere all'eliminazione totale delle tigri e nulla venne lasciato al caso, nonostante le proteste di numerose organizzazioni ambientaliste occidentali. C'è da dire, a parziale scusante dei governi vietnamita, laotiano e cambogiano, che ben difficilmente sarebbe stato possibile implementare una politica di “recupero delle tigri” dato che, una volta che la tigre assaggia la carne umana, quasi mai vi rinuncia, ed in ogni caso le tigri erano ormai diventate davvero troppo numerose e costituivano un pericolo reale per la sicurezza delle popolazioni locali, e non solamente nelle aree più isolate. Tutto ciò non rende meno triste quanto poi inevitabilmente avvenne.
Nel 1997 la tigre venne dichiarata estirpata dal territorio del Vietnam quando l'ultimo esemplare in libertà venne abbattuto. Si ritiene che anche in Cambogia le tigri siano state completamente eradicate, mentre in Laos sopravvive una minuscola popolazione che non dovrebbe comunque contare più di 20 esemplari al massimo.
Nonostante quando si parli della “Guerra del Vietnam”, o degli altri conflitti indocinesi avvenuti prima e dopo di essa, si tenda sempre a pensare agli scontri tra gli eserciti in campo o ai drammi umanitari che tali eventi hanno causato, è bene ricordare che anche la natura e le sue “fiere” hanno pagato un prezzo altissimo, forse il più alto, a causa dei disastri causati dall'uomo.
Questo è stato in definitiva e al netto della geopolitica e della storia militare, il lascito ultimo delle “guerre indocinesi”; una serie di conflitti efferati come pochi altri nella Storia dell'Umanità, iniziati da una pluralità di attori sia locali che internazionali tutti animati dalle loro ambizioni geopolitiche e conclusasi... con la sconfitta delle tigri.
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